The Tarot Album è il secondo disco dell’Elias Nardi Quartet.
Ho provato a scavare,
a trovare qualche riposta che gentilmente Elias mi ha fornito.
L’incontro con la sua
musica è stato per me una sorpresa.
Difficile trovare una
similare composizione strumentistica, che di base è rappresentata dall’ oud, il
fretless bass, tastiere e percussioni.
Inusuale l’utilizzo
dell’oud,
il liuto arabo di cui Elias racconta l’importanza, che trascende il mero
fatto musicale.
Diciotto tracce che
utilizzano il doppio binario, digitale e analogico (è previsto un doppio
vinile) per raccontare un mondo pieno di fascino e di simboli, quello dei tarocchi,
per l’esattezza degli Arcani Maggiori.
La spina dorsale è il
binomio “oud - fretless”, Nardi-La Manna,
ovvero la continuità tra il precedente Orange Tree e The Tarot Album, e su
questo muro portante si costruisce un mondo da favola, fatto di magia, di suoni
mediterranei, di trame intimistiche di atmosfere sognanti.
Nello scambio di
battute a seguire Elias si sofferma su di un rito, quello del vinile, fatto di
tempo necessario per ”preparare la musica”,
di condivisione, di pause necessarie per
assorbire i suoni e i loro significati.
Anche un disco
strumentale parla, così come il silenzio comunica, e quante storie si
potrebbero raccontare, inventare e modellare, descrivendo la luna, il sole, la
morte, la giustizia… il mondo intero? La parola si somma all’immagine musicale,
e i suggerimenti che derivano dai “trionfi” innescano un disco
concettuale di rara efficacia.
Impossibile dare una
definizione chiara della musica di questo ensemble di rango: etnica? Certamente
sì. Classica? Anche. Sperimentale… poetica… innovativa? Tutto affermativo.
Il consiglio è di
lasciarsi andare, immaginare i simboli noti e godere della musica che si
diffonde nell’aria… e a quel punto, anche ad occhi chiusi, i tarocchi ci passeranno
davanti, stimolando riflessioni che forse avranno scarsa connessione con la
previsione del futuro, ma ci spingeranno verso un naturale viaggio tra il tempo
e lo spazio, e forse, a quel punto, parte degli obiettivi di questa innovativa
band saranno stati raggiunti.
L’INTERVISTA
Qualche parola su Elias
Nardi. Come nasce e come si evolve la
tua passione musicale?
Sono
cresciuto in una famiglia dove si è sempre ascoltata musica, ma mi sono
avvicinato relativamente tardi ad uno strumento, avevo circa 15 anni e ho
cominciato con il basso elettrico e la chitarra cercando di imitare con scarsi
risultati qualche mio mito del rock. Dopo pochi anni ed un po’ di studi jazz ho
deciso di procurarmi un contrabbasso e superato lo stato confusionale iniziale
("ma chi me l'ha fatto fare?") nel vedermi accanto quel
"mobile" con una tastiera nera ed indecifrabile, ho deciso di
intraprendere anche un percorso di studi classici, non riuscendo poi ad
ultimarlo in quanto nel frattempo l'oud era entrato prepotentemente nella mia
vita. Ovviamente ciò mi ha portato a conoscere e a studiare la musica araba per
un certo periodo di tempo. Dietro tutto questo peregrinare in realtà c'è sempre
stato il bisogno e il desiderio di dedicarmi solo a qualcosa che fosse
musicalmente mio, a creare la mia musica, ad esprimermi in tal senso attraverso
l'esplorazione di diversi mondi sonori.
Quali sono i punti di
contatto con il primo album, “Orange Tree”?
The Tarot Album e OrangeTree
sono due dischi molto differenti nel suono, nell'approccio e nella direzione. The Tarot Album ha un suono molto più
moderno e verticale rispetto ad OrangeTree,
che era più vicino ad un sound folk, quindi più orizzontale, anche se comunque con
spunti sperimentali già marcati. Per arrivare a questo cambiamento la
formazione è stata rivoluzionata per il 50%, sostituendo uno strumento melodico
come la Nyckelharpa in favore di
Piano,Tastiere e Synth, che hanno favorito lo sviluppo armonico, mentre
le percussioni mediorientali hanno lasciato il posto ad un set minimale di
batteria con un uso particolare e preponderante dei piatti. Inoltre sono aumentate le collaborazioni. Nel
rimanente 50% ci sono io ed il bassista
Carlo La Manna, e non è un caso che il principale punto di contatto nel suono e
nel concepire le composizioni si trovi nell'ossatura creata dall'interazione
tra oud e basso fretless. La nostra intesa anche in sede compositiva, che già
era evidente in OrangeTree, si è qua
rafforzata e quindi proprio l'utilizzo
di oud e basso fretless all'interno delle composizioni è l'elemento comune dei
due lavori, assieme all'idea di concepire i brani dal punto di vista tematico e
armonico seguendo quello che è ormai un nostro personale modo, un nostro linguaggio.
Qual è il lato più
affascinante del mondo dei tarocchi, un contenitore carico di simboli e magia,
capace in questo caso di stimolare la nascita di un album come “THE TAROT ALBUM”?
I
tarocchi sono così densi di significati che non è un caso che molti personaggi
della storia più o meno recente, parlo di filosofi o esponenti delle varie arti
figurative e anche molti musicisti, si siano cimentati nella loro personale
interpretazione. A livello personale non credo all'aspetto strettamente
esoterico, ma sono molto affascinato da tutto ciò che riguarda la storia degli Arcani Maggiori e il loro sviluppo nel corso dei secoli, dalla loro
origine arcaica e da come ci si possono rispecchiare le antiche virtù e paure
dell'essere umano fin dai tempi antichi, dalla correlazione con gli archetipi e
l'inconscio collettivo, come nel pensiero di Jung, e in fondo anche
dall'aspetto ludico. Sono veramente molteplici i punti di interesse che possono stimolare delle forme creative
sui tarocchi. Basti pensare che l' idea di concepire un lavoro sui Trionfi ci è
venuta dopo una visita al Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, nei
pressi di Capalbio (GR), dove le incredibili sculture a tema dell'artista
franco-americana ci hanno fornito a loro volta una grandissima fonte di
ispirazione; direi forse la principale. Proprio da lì abbiamo deciso di partire
per documentarci ancora di più sul mondo dei tarocchi e mettere in musica una nostra personalissima
interpretazione di tutti gli Arcani Maggiori.
Il disco esce anche in
versione doppio vinile, formato che sta tornando prepotentemente a galla,
anch’esso fortemente legato alla
tradizione e ad una simbologia comportamentale. Cosa rappresenta per te, che
non hai potuto vivere per ragioni anagrafiche l’età d’oro dell’LP, questo
percorso parallelo al CD?
Comincio
subito col dire che per me è una cosa molto romantica. Poi il dibattito tra i
sostenitori del vinile e quelli del cd sarà qualcosa di eterno. Personalmente,
io che sono del 79 , ho vissuto a cavallo tra la fine dell'LP e la nascita del
CD e sono cresciuto in una famiglia nella quale il passaggio dal vinile al digitale
è stato lento e fatto un po’ a malincuore,
anche se naturalmente necessario ad un certo punto. La discussione su quale
supporto sia migliore è e resterà infinita, anche se io ritengo il vinile molto
più vicino al bisogno di calore dell'uomo. L'uomo è una "perfetta macchina
analogica” e per quanto sfrutti tutte le comodità dell'era digitale alla fine
ciò che più continua ad emozionarlo credo risieda ancora nell'analogico.
Personalmente preferisco di gran lunga l'LP anche se le caratteristiche
tecniche del CD offrirebbero più possibilità. Purtroppo però il Cd non è mai
stato un supporto amato e sfruttato in pieno per quelle che erano le sue
possibilità tecniche, anche per il target a cui il mercato lo ha indirizzato
nel corso degli anni, con l'ascolto medio fatto su autoradio o comunque su
impianti audio di scarsa qualità, per la corsa a compressioni esasperate e la cosiddetta Loudness War. Un altro capitolo
meriterebbe: l'era della musica liquida che sta rivoluzionando sempre di più le
modalità di ascolto non solo in riferimento alla scarsa qualità degli mp3 (teoricamente
è prevedibile il download di files ad altissima qualità e definizione) o degli
apparecchi di riproduzione, ormai ridotti alle casse del proprio personal
computer, ma anche a come la gente fruisce della musica stessa, alla quale
dedica sempre meno tempo per un ascolto attento e dedicato e che prende sempre
più campo come elemento di mero sottofondo nella "nostra" quotidianità.
Fare un vinile oggi non vuol dire quindi solo fornire una scelta in più
all'acquisto a chi è legato alla bellezza timbrica e alla spazialità del vinile,
giusto per citare alcune caratteristiche, ma anche e soprattutto comunicare un
bisogno di tornare ad ascoltare un disco con attenzione e dedizione, mettendosi
da soli in poltrona o su un divano con amici, come era abitudine fino a qualche
anno fa, prendersi cura del proprio disco, pulirlo, cambiare lato maneggiandolo con cura, tornare
a dare un valore alla cosa che si sta ascoltando, quel valore che la musica si
merita.
Che cosa può esprimere
“l’oud”, strumento che personalmente
non conosco?
L'oud è uno strumento molto evocativo.
Abbracciare un liuto arabo e sentire le sue vibrazioni sulla pancia, godere da
vicino dell'emissione del suo suono è
qualcosa per me di altamente
terapeutico. E' lo strumento con il quale riesco ad esprimermi al meglio non
solo artisticamente ma anche emozionalmente, con il quale posso avere una
ricerca interiore profonda, e lo è stato fin da subito. Ricordo ancora il
momento in cui ho aperto la custodia del mio primo oud e ho cominciato a strimpellarlo. E' stato amore a prima vista e
sono rimasto folgorato. Mi sono veramente detto: "Io qui ci sono già stato", proprio come se lo strumento e il
suo timbro fossero un luogo-non-luogo dove risiedeva la mia anima di musicista
un po’ stanco di tutto quello che stava studiando, suonando ed ascoltando in
quel momento. L' oud è lo strumento principe della musica araba e tutta la
teoria musicale araba è stata teorizzata sulla tastiera del suo manico corto.
Il maqamat (il sistema musicale arabo) è così ricco di modi che ognuno di essi
riesce ad essere diretta espressione di un sentimento e di uno stato d'animo
specifico.
La tua musica profuma
di cultura ed etnia. Non amo molto le suddivisioni in generi, ma sono spesso
utili per far comprendere di più al lettore curioso. Come inquadreresti la tua
musica?
Neanche a
me piacciono le suddivisioni e sono ben contento che la musica che faccio col
mio quartetto metta in difficoltà un po’ chiunque da questo punto di vista. Non
appartenere ad un genere definito e proporre un proprio linguaggio può portare
anche non pochi problemi nelle varie catalogazioni, e già da un po’ vivo questa
situazione. In realtà quello che ricerco è propriamente la creazione di
un'unicità. Se proprio vogliamo chiudere un occhio, una volta ci hanno definito
come "Ethno-Jazz-Progressive del 21°Secolo". Forse ci siamo quasi!
Che cosa ti affascina
maggiormente della cultura araba?
Sono
sempre stato attirato dalle varie forme di arte di quei posti, dalla storia
dall'archeologia, da quanto queste civiltà siano state importanti in passato per
lo sviluppo delle arti stesse della musica e delle scienze. Poi mi sono trovato
sempre a mio agio nel mondo arabo. Sarà per i miei tratti somatici da siro-libanese
e per il mio nome che sembra davvero un segno del destino.
Credo che un ensemble musicale, quando
funziona, sia un grande esempio di efficacia del lavoro di squadra. Come
funziona il “tuo” team?
Per me è
importantissimo il rapporto umano con i musicisti con cui collaboro e posso
dire serenamente che questo gruppo è davvero come una famiglia, siamo molto
amici e questo contribuisce a godere del poter fare musica insieme, a condividere
i palchi, gli spazi e i viaggi, le gioie e le fatiche di questo mestiere. In
questo disco il contributo del quartetto al completo è stato fondamentale.
Oltre a Carlo La Manna col quale abbiamo affrontato integralmente il lavoro a
quattro mani fin dall'inizio, anche Roberto Segato ha portato idee preziose.
Carlo per me è un fratello in musica, e la nostra sintonia compositiva continua
a farci produrre materiale senza sosta. E' un bassista eclettico ed eccentrico
e il suo suono al fretless è ormai
per me qualcosa di imprescindibile per
creare musica. Allo stesso modo Roberto è dotato di un gusto infinito e di una
raffinatezza unica sia nell'utilizzo del piano che delle tastiere. Infine Zac
ha fatto un lavoro encomiabile mettendosi completamente al servizio della
musica e distaccandosi dal tradizionale ruolo del batterista portatore di
groove e ritmo.
Al di là del
quartetto vorrei aggiungere che in questo lavoro fondamentale è stato anche l'apporto degli ospiti come Andrea
Vezzoli al sax baritono e clarinetto basso, Emanuele Le Pera alle percussioni,
Dania Tosi, voce soprano, Savino Pantone
alla viola, e un ringraziamento speciale va al fonico e amico Giacomo Plotegher
che ha trovato la formula giusta per far coesistere nel disco tutte le
componenti stilistiche e timbriche.
Tra le tue tante
collaborazioni, ne esiste una che ti ha lasciato maggiori soddisfazioni dal
punto di vista umano?
Non ho
una classifica particolare in tal senso. Non penso neanche che sia giusto
averla. Tutte le collaborazioni mi hanno lasciato qualcosa di importante sotto
molti punti i vista. Posso dire di essere felice e fortunato di condividere
musica con i ragazzi del mio gruppo, sono le persone migliori con cui posso e
voglio fare musica ed è bellissimo lavorare così. Poi da ex-contrabbassista
quale sono posso tranquillamente dire che lavorare e suonare con Ares Tavolazzi
è ed è stato un grande onore per me come musicista, ma anche e soprattutto
umanamente visto che è una persona meravigliosa.
Che cosa significa per
te la performance live?
Per un
musicista la performance live è tutto. Ovviamente la musica è nata per essere
suonata dal vivo e non certo per essere registrata su un supporto, quindi
ritengo che quella live debba essere la dimensione naturale per uno
strumentista. Io non riesco a concepire la mia vita senza starmene in giro a
suonare. Il rapporto con il pubblico, l'interazione con chi ti sta ascoltando e
l'interplay con gli altri musicisti sul palco è pura linfa vitale per me. In
realtà trovo molto stimolante e
appagante concepire e realizzare dischi,
continuerò a farne e continuerò a scrivere musica da poter
"incidere", ma per quello che riguarda il mio quartetto il massimo
dell'energia la si ottiene indubbiamente dall'esecuzione live.
Elias
Nardi bio
Nato a Pescia (Pistoia)
nel 1979 Elias approfondisce lo studio dell' OUD (liuto arabo) compiendo
numerosi viaggi in tutto il Medioriente. Segue le lezioni del virtuoso
palestinese ADEL Salameh, sviluppando un
personale approccio allo strumento se pur nel pieno rispetto della
tradizione liutistica mediorientale. Contestualmente porta avanti i suoi studi
di contrabbasso classico e jazz.
Grazie al contatto costante con musicisti arabi, ha
assorbito, secondo l’antico metodo della tradizione orale, la tecnica del liuto
e le conoscenze teoriche relative al sistema musicale arabo, lo spirito e il
senso di una musica modale che si tramanda da secoli da maestro a discepolo.
Oltre a sviluppare la propria ricerca musicale e
compositiva con il suo progetto "Elias
Nardi Quartet" col quale svolge
regolarmente l'attività concertistica in tutta Europa, ha suonato, registrato, collaborato tra gli
altri con il contrabbassista Ares
Tavolazzi; con l'organettista Riccardo
Tesi e Banditaliana; con il
virtuoso di NyckelHarpa Didier François, con il pianista Pino Jodice e la fisarmonicista
Giuliana Soscia; con il cantautore Max Manfredi partecipando alle registrazioni del suo
ultimo disco "Luna Persa" (Premio Tenco 2010); con il fiatista Edmondo
Romano; con il virtuoso di Tar Azero Fakhraddin Gafarov; con
il clarinettista Ermanno Librasi e il percussionista Zakaria
Aouna nell' Ensemble Sharg Uldusù; Riahi; con il TrioAmaro.
Il suo disco di esordio OrangeTree (ZDM 1006 - 2010) si è
classificato 3° tra le migliori produzioni Etno/Folk/Revival al Premio Italiano
della Musica Popolare Indipendente 2011 (MEI) e al n. 172 nella TOP 200 della
World Music Chart of Europe.