Ha appena
compiuto 60 anni Gianni Nocenzi, nato il 27 dicembre del 1952.
Gianni, assieme al fratello Vittorio e
a Francesco Di Giacomo, ha fondato il Banco del Mutuo
Soccorso, gruppo di cui ha fatto parte dal 1970 sino al 1984.
Considerato agli esordi un enfant prodige, è diventato
uno dei più grandi pianisti/arrangiatori/compositori della scena musicale.
Da molti anni avevo perso le sue tracce sino a che,
nel giugno del 2010, l’ho ritrovato a Volpedo, in una reunion del BANCO a cui
lui non poteva mancare, essendo il saluto a Rodolfo Maltese, il
chitarrista, che rientrava on stage dopo qualche peripezia di natura fisica:
Grande emozione nel risentirlo suonare, ed enorme
fortuna quella di poter rivedere il gruppo simile all’originario, dopo che
avevo assistito ai loro concerti degli anni 70.
Persone a lui vicine indicano Gianni come a proprio
agio lontano dalle luci dei riflettori, ma completamente immerso nella musica.
Ho rispolverato un’intervista del 2008 concessa a
Giancarlo Bastianelli per “Popular”.
Dopo l'uscita dal gruppo Nocenzi ha intrapreso una
strada particolarmente interessante che, come vedremo tra poco, lo ha portato a
fare musica per il puro piacere di farla ed offrirla, quando possibile, alla
fruizione del pubblico.
Gianni negli ultimi anni hai viaggiato molto, cosa è successo?
Il
mio viaggiare tra Stati Uniti, Giappone ed Europa è dovuto principalmente alla
ricerca che continuo a fare da alcuni anni sull'aspetto tecnologico della
musica, in particolare sui mezzi di produzione dell'audio, una passione nata
molti anni fa, dal momento che a me interessava avere con la musica un
approccio simile a quello che avevano i pittori, quando artigianalmente
creavano con le loro mani non soltanto i quadri, ma anche i colori. La mia ricerca non riguarda la solo la registrazione
vera e propria, ma anche la creazione dei suoni anche sfruttando il grande
impulso che nell'ultimo ventennio si è avuto grazie al digitale; per quanto mi
riguarda quello della ricerca timbrica è stato sempre un punto molto importante
nel discorso compositivo. Questo avveniva anche ai tempi del Banco, quando, nonostante la poca tecnologia
disponibile, usavamo già creare suoni particolari, che venivano poi organizzati
e utilizzati per i dischi. Oggi sto portando avanti questa ricerca, che mi
porta a partecipare spesso anche ad eventi come: fiere, convegni e seminari. La
tecnologia a mio avviso può dire qualcosa di nuovo proprio per il timbro e il
colore del suono.
Questa ricerca particolare del timbro quindi esisteva già agli inizi della tua attività...
Sì, ad esempio con il Banco filtravamo il mio
clarinetto con il Minimoog di Vittorio o addirittura ne "Il Giardino Del
Mago" lo stesso strumento veniva filtrato dal wha wha (distorsore che di
solito si usa per la chitarra), come dire il suono di Jimi Hendrix applicato a
uno strumento di liuteria come è appunto il clarinetto. Sono stato sempre
catturato dall'interesse per il "colore" del suono, non solo come
veste superficiale della melodia, ma come parte sostanziale della stessa. Una
delle caratteristiche del suono del Banco è stata quella di avere due tastiere:
un pianoforte e un organo Hammond, con la presenza nella band della doppia
tastiera c'è stata una quasi automatica predisposizione per un linguaggio più
complesso di quello che può venire in una formazione rock classica. Il mio
background era classico e così anche quello di Vittorio che era allievo di
Diego Carpitella, Rodolfo che veniva dal jazz e Francesco dal blues, una
miscellanea che ha portato all'originalità del Banco e della sua musica.
Cosa rappresenta per te oggi la musica e qual è il tuo rapporto con il pubblico?
La musica per me è fondamentale e la uso anche per
arricchirmi interiormente. Il rapporto con il pubblico è determinante per il
musicista: l'ultima volta che ho suonato il Italia risale ormai a 5 anni fa in
occasione del 30esimo anniversario di attività del Banco a Roma è stata una
serata fantastica e commovente; il pubblico era attentissimo migliaia di
persone presenti che ci seguivano con grande attenzione e maturità. Nei
"pianissimo" con il piano si sentiva un grande silenzio. Ultimamente
ho fatto un concerto in Giappone con musicisti di questo paese, nel corso di un
importante festival con un quartetto d'archi: io ho usato il pianoforte è stata
una bella esperienza, che mi piacerebbe ripetere anche in altri paesi.
Per me la musica è veramente una cosa seria che può portarci a vivere meglio, dal momento che a mio avviso stiamo vivendo in una società dove l'occhio prevarica l'orecchio ed in ogni caso trovo che non si possa ridurre la musica a una sorta di semplice "tappezzeria sonora" del quotidiano.
Per me la musica è veramente una cosa seria che può portarci a vivere meglio, dal momento che a mio avviso stiamo vivendo in una società dove l'occhio prevarica l'orecchio ed in ogni caso trovo che non si possa ridurre la musica a una sorta di semplice "tappezzeria sonora" del quotidiano.