L'otto luglio di trentanove anni fa veniva sepolto Jim Morrison, morto sei giorni prima.
Gianni Lucini, nel suo blog "Rock e Martello", lo ha ricordato così.
Venerdì 9 luglio 1971 al cimitero Père Lachaise di Parigi non sono molti i testimoni dell’ultimo atto della breve storia di Jim Morrison, il cantante dei Doors. Dopo sei giorni di varie peripezie legali la moglie e un gruppo di amici decidono di tumulare la salma nel cimitero parigino che ospita i resti mortali di altri personaggi illustri come Oscar Wilde, Edith Piaf, Fryderyk Chopin e Honorè de Balzac. Si chiude così a ventotto anni non ancora compiuti la storia di Re Lucertola, come si autodefiniva nelle sue liriche, stroncato da un attacco cardiaco nella vasca da bagno. Con la sua band, i Doors, aveva interpretato, almeno fino al 1969, l’ansia di ribellione della sua generazione, ma negli anni successivi era entrato in una fase calante, frutto della divaricazione tra il suo delirio visionario, un po’ aristocratico e concettuale, e la realtà dell’esplodere di “dieci, cento, mille Vietnam” nelle coscienze dei giovani di tutto il mondo. Altri erano ormai gli interpreti musicali della grande ventata che annunciava gli anni Settanta e lui aveva deciso di ritirarsi a Parigi, in un appartamento sulla Rive Droite, per cercare nuove strade alla sua creatività. Aveva rotto i ponti con i suoi compagni e pensava di lasciare la musica per passare decisamente alla letteratura. La sua scomparsa aggiunge un anello alla tragica catena di morti illustri del rock, dopo quella di Jimi Hendrix e di Janis Joplin. Già in questo fatto ci sono i presupposti della trasfigurazione in mito. Le sue liriche e le sue interpretazioni negli anni Settanta verranno riscoperte prima dalle correnti del rock decadente e dall’underground barocco e metafisico, poi dal punk, che vedrà in Morrison e nei Doors degli anarchici capaci di esprimere un profondo disgusto per la società.