Leandro Cioffi intervista Athos Enrile e Oliviero Lacagnina dopo la lettura del loro libro appena uscito, “Suite Rock-Il Prog tra passato e futuro”
L: È appena
uscito il vostro libro “Suite Rock-il Prog tra passato e futuro” e vorrei
saperne di più. Come sapete gestisco una pagina su facebook
dedicata alla figura di Keith Emerson e parto quindi chiedendovi perché
ELP è secondo voi tra i gruppi irrinunciabili da cui un giovane neofita
dovrebbe necessariamente partire?
A-O: Stiamo parlando
di musica progressiva e lo stiamo facendo soprattutto rivolgendoci ai giovani.
Nel libro abbiamo scelto alcune band straniere utili a delineare gli inizi e
l’innovazione rispetto al passato, e tra queste abbiamo inserito gli ELP,
ovviamente. Il grande merito di questi gruppi risiede nella proposta, una
diversa dall’altra, tutte caratterizzanti, e resta per noi un mistero il fatto
che siano nati nello stesso periodo tanti talenti con tante idee differenti e
tutte di estrema qualità.
ELP ha
inventato qualcosa di unico perché, grazie alla formazione musicale di Keith
Emerson - e alla sua esperienza pregressa nei The Nice - è riuscito a innestare
il rock in trame strettamente classiche, realizzando l’esempio più efficace di
contaminazione, cioè quell’azione che è alla base del concetto di “Prog”.
Nel 1970
si parlava soprattutto di rock band, spesso formate da più elementi, ma con ELP
si cambia registro e troviamo “solo” tre musicisti - sicuramente strumentisti
geniali - che dal vivo propongono un sound stratosferico che lascia, anche,
spazio allo spettacolo, ma nella sostanza la loro azione è quella che favorisce
in modo maggiore l’avvicinamento dei giovani all’immortalità del genere
classico, dando nuova linfa ad una musica considerata superata e buona solo per
la seriosità e l’austerità di certi ceti sociali, modelli non certo in voga tra
le nuove generazioni.
Musica
Classica o Rock? Strumentale o con aggiunta di voce e liriche? Sinfonica o
carica di ritmi?
ELP mettono tutti d’accordo e a nostro giudizio - che è compendio di conoscenze tecniche e studi/ascolti - la loro musica non ha perso smalto e dovrebbe essere utilizzata a scopo didattico, con qualche ausilio, magari tratto proprio dal nostro “Suite Rock…”
L: Che cosa si può dire di questa copertina vorticosamente multicolore di Arianna Degni…
A-O: Come
credo tu sappia la copertina non è stata scelta da noi - neppure il titolo - e
la nostra proposta era molto più tradizionale, seppur di qualità, perché
elaborata da una amica esperta, ma la cosa non ci ha tolto il sonno.
Occorre
che ognuno faccia il proprio lavoro, e chi è esperto di editoria e di marketing
sa cosa colpisce l’attenzione e la curiosità della gente. Non bisogna
dimenticare che lo scopo è quello di vendere più copie possibili e gli aspetti
economici per noi autori non hanno rilevanza, perché il book riguarderà
comunque una nicchia di persone; conta invece molto l’aspetto divulgativo, la
condivisione, perché è il nostro vero obiettivo, mentre l’editore si preoccupa,
giustamente, di avere un prodotto in linea con la filosofia aziendale, oltre
naturalmente ad un profitto, essendo il suo un lavoro.
Ci è
capitato ad esempio di commentare le note di copertina, per noi non esattamente
rappresentative del contenuto, ma chi si cimenta nel campo da anni, tanto da
farne una professione, sa sicuramente cosa serve per vendere un libro.
E per dirla
tutta ci siamo abituati sia alla copertina che al titolo.
Vorremmo anche sottolineare una cosa per noi molto importante: il target prevedeva un libro attorno alle 300 pagine, ma il volume finale è risultato molto più ricco. Abbiamo deciso di inviare la bozza completa, in attesa di sapere dove e quanto tagliare, ma con grande sorpresa Graphofeel ha deciso di lasciare intatto lo scritto che, anche secondo loro, con la riduzione avrebbe perso la completezza di significati. Questo è stato per noi davvero gratificante, un primo riconoscimento “interno” della bontà del nostro lavoro.
L: Cosa ha fatto scattare in voi l’impulso di creare una staffetta prog per le giovani generazioni?
A: Quando
Oliviero mi ha proposto di scrivere questo libro a quattro mani ci ho
riflettuto un po’, non perché ami farmi pregare, anzi, ma ero preoccupato del
fatto che nulla di nuovo poteva essere scritto. Sappiano bene come il fenomeno
prog abbia dei limiti temporali molto ristretti, almeno se ci si riferisce al
suo momento d’oro, e quindi non era possibile aggiungere nulla di interessante
ad una bibliografia già molto ampia. Ma… abbiamo trovato estremamente motivante
rivolgerci ai neofiti, più o meno giovani, cercando di percorrere un percorso
completo che dal 1969 arrivasse ai giorni nostri, evitando lunghe liste di band
e album, privilegiando aspetti sociali, culturali e didattici.
Questo, ne siamo certi, porterà a qualche critica da parte degli “esperti” che troveranno mancanze e lacune, ma una volta compreso l’obiettivo - nei vari capitoli lo sottolineiamo più volte - tutto dovrebbe risultare chiaro: fornire al giovane elementi con cui iniziare la propria ricerca.
L: Vi siete in qualche modo divisi i compiti, avendo voi competenze diverse?
A-O: I progetti possono nascere e svilupparsi nella testa, ma gli aspetti organizzativi sono fondamentali per non perdere il filo. Una volta focalizzato l’obiettivo abbiamo condiviso un layout che prevedesse tutti gli argomenti per noi necessari e l’iter realizzativo. Nella suddivisione degli articoli abbiamo tenuto conto delle nostre differenti competenze e quindi è nata la ripartizione dei compiti. In ogni caso abbiamo convenuto che alla fine di ogni episodio partisse il doppio controllo, e questo ha portato spesso a integrazioni e modifiche migliorative. Sottolineiamo come non sia mai nato il minimo problema, nonostante fosse la prima volta che operavamo insieme, e questo non era affatto scontato.
L: La
parola suite è spesso vista come sinonimo di prolissità secondo uno stereotipo
diffuso anche dagli addetti ai lavori. Ma voi non avete avuto paura ad
utilizzarla nel titolo.
A-O: Come
già evidenziato il titolo non è stato proposto da noi, ma l’idea di “suite” ci
appare comunque perfetta per rappresentare il genere progressivo.
Il
termine arriva direttamente dalla Classica, ma sappiamo bene come siano tante e
pregevoli le “suite” legate al mondo prog, dai Genesis ai Jethro Tull, dagli
Yes ai VdGG.
La
prolissità di cui parli è parte oggettiva di quel tipo di musica e il concetto
è strettamente legato sia al virtuosismo - che può apparire, in alcuni casi,
fine a sé stesso - sia alla lunghezza.
Difficile spiegare come in un attimo si sia potuti passati da brani tradizionali da tre minuti a lunghi e interminabili “pezzi”, senza soluzione di continuità e con l’apprezzamento totale di un largo pubblico, ma crediamo che riuscire a catturare la varietà e la quantità di stimoli racchiusi nelle famose “Suite Prog” sia l’obiettivo del percorso intrapreso nel libro, per cui, anche se pomposo e ambizioso, il concetto espresso nel titolo è al contempo coraggioso e obbligato.
L: Nell’introduzione, Athos, ricordi un’età strategica nella storia musicale di ciascuno, i tuoi sedici anni al concerto dei Van Der Graaf Generator: a quanto pare, ritenete che ci si possa appassionare al prog anche superata questa età, o approfondirlo se già lo si ama da sempre...
A: La tua
domanda mi permette intanto di rimarcare come la vita ci riservi spesso
sorprese ed eventi inaspettati. Conosco personalmente Oliviero da una decina di
anni, anche se il nostro primo incontro risale a moltissimi anni fa, visto che
ci siamo “trovati” il 30 maggio del 1972 - io avevo 16 anni come tu hai citato
- nel corso del mio primo concerto - VdGG - all’Alcione di Genova. Il gruppo
“spalla” era “Latte e Miele” di cui lui era tastierista, per cui questo
contenitore rappresenta un po’ la fermatura del cerchio.
Venendo
alla tua richiesta, posso dirti che è questo un periodo in cui mi pongo spesso
una domanda relativa alle distanze generazionali, e lo faccio soprattutto
pensando a quanto sia inascoltabile, a mio giudizio, la proposta maggiormente
in voga attualmente. Qualcuno ha detto che la musica misura il tempo che fluisce
e in effetti esistono brani particolari che ci permettono di ricordare
all’impatto un particolare momento vissuto, stimolando tutti i sensi, una
colonna sonora della vita che abbiamo più o meno volontariamente creato. Io ho
fortunatamente una certa sensibilità musicale che mi permette di saper gestire
le emozioni con brani precisi che so come scegliere, devo solo dare lo start al
brano giusto che ho ben impresso nella mente, ma tutto questo mi accade quasi esclusivamente
con la musica che è oggetto della nostra intervista, e credo che ci siano
motivazioni specifiche legate alla qualità e non all’effetto nostalgia.
Nel book
c’è una sezione dedicata al significato vero del prog e mi pare bellissima
l’esperienza di Antonello Giovannelli - musicista e collaboratore di MAT2020 -
che a fronte del quesito del figlio sedicenne a proposito della differenza tra
prog e musica attuale, risponde: “Ciò che sei solito ascoltare serve per far
muovere il culo, la musica progressiva serve per far muovere il cervello…”.
Sono tanti i giovani che suonano o ascoltano il prog, ma non è un miracolo, è
quasi esclusivamente l’azione genitoriale quella che incide, perché i media non
passano nulla che non sia legato al business musicale attuale e per allargare i
propri orizzonti bisogna essere curiosi e trovare qualcuno che lanci dei
segnali, come cerchiamo di fare noi con “Suite Prog…”.
L’ultimo capitolo del libro fornisce la spiegazione di un’esercitazione che mi sono inventato per spiegare a chi ho occasionalmente davanti quale sia la valenza del lavoro in team; sono esperienze reali che ho fatto, anche al livello didattico, ed è stato gratificante vedere la reazione positiva di adolescenti al cospetto di qualcosa che non avevano mai provato. Certo, ci vuole un po' di immaginazione e intraprendenza e chissà che qualche insegnante delle scuole superiori non prenda spunto per provare, almeno una volta nel corso dell’anno, un test di gruppo… io sono disponibile per ogni tipo di dimostrazione!
L: "Nel nostro gruppo abbiamo docenti di musica. Nel libro troviamo un esperimento collettivo basato su 'The Dark Side Of The Moon'. Lo vedreste possibile per ELP, magari a scuola? E quale album scegliereste?".
A: La tua
domanda mi porta ad approfondire ciò a cui ho appena accennato.
Una
premessa: quando faccio riferimento alla didattica in ambito scolastico non mi
riferisco ad una azione per professionisti - docenti musicali e affini -, anche
perché in un paese in cui ci si riempie la bocca con la parola cultura, nelle
scuole superiori non esiste una materia che si chiama “Musica”, se non in corsi
specifici.
Ora,
proviamo ad immaginare di essere in un liceo qualsiasi e di poter contare su di
un insegnante di lettere - ma non solo -
illuminato, che una volta
all’anno decide di uscire dagli schemi con un ascolto comune di un album
(avendo almeno la copertina del vinile a disposizione) e la successiva suddivisione
dell’aula in gruppi: chi si occupa del commento musicale (non importa se è
acerbo), chi dell’artwork, chi della traduzione dei testi, chi della
decodificazione delle liriche e poi si arriva a opera di sintesi onorando il
lavoro di squadra.
Non sarebbe
uno stimolo da tantissimi punti di vista? Non sono cultura le immagini, i testi
poetici, l’esercizio di traduzione, la musica?
Impossibile?
Difficile? No, basta volerlo, ed essendo episodico potrebbe essere considerato
un progetto, un esperimento, e forse i nostri giovani potrebbero incontrare ciò
che non sapevano esistesse.
Veniamo
al caso specifico, quello che chiude il libro e che mi sono “inventato” … per
necessità.
In
questi ultimi anni il mio lavoro mi ha portato a proporre docenze in ambito lavorativo,
legate soprattutto alla sicurezza sul lavoro e per fare comprendere la valenza
del team work ho utilizzato spesso la “mia” musica, usando il mio test più
volte, con persone di ogni età, uomini e donne, e sempre con grandi risultati.
L’utilizzo
del brano “The Great Gig in the Sky” ha una sua storia: ho catturato uno
scritto di Max Pacini che faceva parte di un suo libro, dove lui immaginava
storie che inizialmente non davano indizi, ma alla loro conclusione risultavano
a tutti conosciute; nel caso specifico ha ricamato di suo per descrivere quanto
accaduto quel giorno in cui Clare Torry fu ingaggiata da Alan Parsons per la
famosa registrazione. Quindi, uso una storia inventata ma basata su di un fatto
vero, cosa che i discenti comprendono solo alla fine della lettura, rimanendo
così sorpresi. Il passo successivo è l’ascolto del brano con la proiezione del
prisma di “The Dark…”
Quattro
minuti di concentrazione in cui l’abbinamento tra racconto e musica provoca
spesso qualche lacrimuccia, almeno tra i più sensibili. La fase successiva
prevede che ogni persona rovesci su carta ciò che ha provato, delineando una
sorta di spiegazione ad un terzo che non conosce il brano, mettendosi poi in
gioco parlandone all’aula.
L’ultimo
passaggio è il riascolto, con le stesse modalità, ma l’elaborazione successiva
verrà fatta a gruppi, che esporranno poi in aula il proprio giudizio.
Ogni
volta il risultato di gruppo è superiore a quello dei singoli, come qualità e
completezza, e sto parlando di un esercizio che per i presenti è un’assoluta
novità.
Lo scopo
di tutto questo? Secondo me ce ne sono molteplici ma lascio a te e a chi
leggerà la lista dei benefici.
Per
quanto riguarda ELP o qualunque altra band, per poter ripetere la stessa
esperienza occorrerebbe trovare una storia legata a un brano, anche se credo
che sia difficile individuare un aspetto così interessante come quello che ha
portato la Torry ad essere ignorata per anni dai Pink Floyd, nonostante un
contributo di grande valore fornito al brano. Se a qualcuno venisse in mente -
o volesse inventare - qualche vicenda sarò ben lieto di introdurla in future
sessioni formative.
Tanto
per avere un’idea di quanto ho descritto ecco il ricordo che mi hanno lasciato
degli adolescenti di un istituto tecnico, circa tre anni fa:
https://athosenrile.blogspot.com/2017/02/i-giovani-del-ferraris-pancaldo-di.html
Certo è che utilizzare “Trilogy” mi piacerebbe moltissimo!
L: Questa opera come può scardinare i pregiudizi (purtroppo indotti da una cattiva stampa) di chi non ha conoscenza diretta di questo universo musicale? E, persino, i giudizi consolidati di tanti che l’ascoltano da decenni?
A-O: I
pregiudizi di cui parli, i luoghi comuni, le leggende metropolitane… tutti fenomeni
quasi impossibili da demolire. Quando parliamo di Prog abbiamo da un lato
persone che non lo conoscono e che lo giudicano sorpassato e adatto solo a chi
ha una certa età, emettendo così una sentenza immotivata. Ci sono poi gli
“esperti”, l’élite, quella che crea un recinto confortevole entro il quale
accogliere solo chi ha gli stessi gusti musicali, creando così la famosa
nicchia di appassionati, quelli che spesso issano barriere ritenendo che chi non
apprezza non può essere della partita. È fatto risaputo… prima di un evento
prog è possibile ipotizzare, con un buon margine di successo, quante persone
parteciperanno.
È molto complicato scardinare idee ben radicate in persone che hanno vissuto i seventies e come in ogni campo i cambiamenti più difficili sono quelli culturali, che richiedono anni di impegno; con “Suite Prog…” cerchiamo di dare il nostro contributo alla causa, indirizzandoci principalmente a chi nulla sa della materia, esortando a provare prima di rifiutare e bocciare una musica che, ed è questo un dato di fatto, ha raggiunto lo status dell’immortalità.
L: Leggendo il libro, ciò che balza subito all’occhio è che non è accademico, del tipo “secondo me le cose stanno così”. Ha il taglio di un’inchiesta, con tante voci e tante esperienze dirette. Quanti mesi ci sono voluti per intervistare tutti questi musicisti, tecnici, fotografi, finanche negozianti?
A-O: La
stesura del book ha richiesto circa sei mesi e l’uscita era prevista in
primavera. La nota emergenza sanitaria ha modificato ogni programma e ci sembra
un miracolo essere arrivati ugualmente alla pubblicazione, tra l’altro in un
momento in cui è impossibile realizzare delle presentazioni, solitamente
momenti culturali di condivisione e, perché no, di vendita.
Come
segnali nella domanda, del progetto fanno parte moltissimi musicisti e
operatori di settore, una necessità, vista la cura di certi dettagli che
necessitavano di esperti specifici.
Ma il
motivo preminente è legato al nostro credo profondo, a quel modo di operare in
team che è caratteristico di ogni nostra attività. Abbiamo ripescato scritti
che avevamo nel cassetto, effettuato ricerche, scavato nelle nostre esperienze,
ma il piacere più grande è arrivato quando, chiedendo aiuto/consiglio, abbiamo
trovato una risposta immediata e convincente, il che significa che esisteva una
reale voglia di partecipare.
Un
piccolo esempio che penso possa essere esaustivo.
Abbiamo creato
una sezione dedicata ai musicisti eccelsi del prog, anche in questo caso solo
un numero esiguo ma rappresentativo. Trattando l’argomento “fiati” (flauto e
sax), ci siamo rivolti ad un professionista - anche lui collaboratore di
MAT2020 -, Edmondo Romano, fiatista genovese. Cercavamo la sua opinione su Ian
Anderson e David Jackson, un’analisi che lui ha fornito interpellando a sua
volta Vittorio De Scalzi e Martin Grice, una sorta di effetto domino che ha
portato ad una pluralità di idee che è peculiarità del libro.
Ci teniamo poi ad evidenziare che non possediamo nessuna verità assoluta, sono solo le nostre opinioni, le nostre idee, la nostra vita che mettiamo a disposizione del lettore, ma non parliamo certo di dogmi.
L: Ad un certo punto del libro avete dedicato spazio alle band prog italiane del terzo millennio: solo per i nomi, due pagine fitte! Ma allora il punk non ce l’ha fatta a vincere!
A-O:
L’elenco delle nuove prog band italiane è stato stilato un anno fa e
probabilmente oggi le due pagine non basterebbero più. La lunga lista ha lo
scopo di sottolineare la forte attività in corso, la testimonianza che non è
solo roba per dinosauri.
Il punk
non ce l’ha fatta a vincere e sostituire in toto il prog, ma ha contribuito a
dare una spallata decisiva, accompagnato peraltro da altri fenomeni dell’epoca,
come la Disco, il Reggae (indimenticabili i fischi a Peter Hammill, “spalla” di
Peter Tosh) e, soprattutto, il cantautorato. Ma alla fine tutti i generi citati
entrano a pieno diritto nella storia della musica, ognuno con la sua dignità
per effetto del gradimento e del seguito del pubblico, perché occorre non dimenticare
mai che la musica ha la capacità unica di fornire emozioni positive ed è alla
portata di tutti, e se allo stato di grazia si arriva attraverso autori e trame
sonore differenti, beh, non sarà quello il momento giusto per i distinguo,
perché lo scopo sarà stato raggiunto.
Nel libro un capitolo è dedicato al rito del vinile, solitamente inteso come attimo esclusivo caratteristico del prog, ma è questa un’idea fuorviante. Lo stesso identico approccio avveniva in contemporanea presso gli amanti della musica classica, però con una differenza notevole legata al ceto sociale e alle possibilità economiche: da un lato persone affermate - e sensibili - che esercitavano il loro diritto di critica nei salotti buoni della città, dall’altro ragazzotti senza una lira in tasca che scoprivano la bellezza della condivisione musicale: situazioni agli antipodi ma fine comune.
L: I giovani musicisti prog si trovano oggi a confrontarsi con un mondo più difficile dei loro predecessori settanteschi: cosa pensate che questi ragazzi abbiano più di loro?
A: Riprendo
un concetto già espresso in precedenza. Una delle domande che spesso ci si pone
parlando del prog e più in generale del rock degli anni ’70, riguarda la
quantità di talenti nati nello stesso periodo, come quando si descrive con
soddisfazione una “buona annata” facendo riferimento ad una vendemmia e in
prospettiva al vino conseguente.
Il
momento vissuto è ovviamente determinante, così come il tessuto sociale in cui
si vive, e non è difficile trovare miti del rock senza alcuna preparazione
“scolastica”. Per contro il prog ci ha regalato musicisti sublimi, ma la
differenza rispetto ad oggi risiede nella novità e nell’unicità della proposta
e obiettivamente è difficile - ma non impossibile - trovare di questi tempi l’originalità,
perché molto è già stato detto.
Nei
nostri esempi basici abbiamo considerato le otto band britanniche più visibili
in quegli anni e salta subito all’occhio - sarebbe meglio dire all’orecchio -
come abbiano prodotto proposte molto differenti tra loro, ed è questa la
testimonianza di come giovani ventenni siano stati in grado di inventare ciò
che prima non esisteva e lo hanno fatto distinguendosi l’uno dall’altro.
Usciamo dal prog e immaginiamo un chitarrista storico come Keith Richards. La sua grandezza non risiede nella tecnica ma nell’innovazione, basta pensare che tutti i suoi licks chitarristici, quelli che hanno reso famosi gli Stones, nascono dalla sua idea - “rubata” al blues - di utilizzare una accordatura aperta (in SOL) ed eliminando una corda della sua chitarra (il MI).
I nuovi musicisti sono mediamente preparatissimi e all’avanguardia dal punto di vista della tecnica, ma non esistono le condizioni per renderli mitici come quelli del passato, semplicemente perché il contesto attuale non lo permette, non è colpa loro. Trovarsi al posto giusto al momento giusto è una regola che vale sempre e in ogni campo, e non esistendo una conoscenza universale delle nuove creazioni - nonostante la tecnologia - le nuove perle musicali - che sono tante - rimangono all’interno della nicchia di cui parlavamo prima. Certo è che i novelli musicisti del prog sono davvero bravi!
L: Luciano Boero della Locanda delle Fate sottolinea all’inizio un grande concetto: quello della gioia del prog nel creare ed ascoltare. È la ricerca di questa gioia l’elemento più forte del movimento prog? E ne siamo davvero tutti consapevoli?
A: Probabilmente la gioia di cui parli è uno degli ingredienti, e Luciano Boero ha la possibilità di esprimersi nel doppio ruolo di ascoltatore e musicista. Posso solo esprimere i miei sentimenti più intimi, quelli a cui accennavo anche in una risposta precedente e la speranza è che il mio status possa essere rappresentativo.
Userò un
esempio concreto e personale, così non si rischia di sbagliare.
La musica in genere ha il potere di “rispondere” al mio mood del momento e ho imparato a soddisfare la domanda interiore reagendo con alcuni pulsanti ideali che vado a pigiare a mio piacimento. Quando ad esempio ho voglia di provare un brivido intenso, quello che parte dal collo e percorre tutta la schiena, so di andare sul sicuro se ascolto la seconda parte di “The Cinema Show” dei Genesis. È un fatto irrazionale, perché non è quello il loro brano che amo maggiormente, ma conosco la reazione a quella sonorità, ed è un motivo di grande benessere, la gioia a cui forse facevi riferimento nella domanda. Tutto questo mi accade soprattutto col prog - ma non solo - e so che esiste una vasta scelta nell’ambio della “mia” musica che potrà venire incontro ad ogni mia semplice necessità.
L: Il vostro consiglio a chi dovesse acquistare suite Prog, sia esso ragazzo anagrafico o interiore.
A-O:
Pensiamo che la cosa migliore sia quella di impostare la lettura prendendosi il
tempo necessario e non saltare di palo in frasca, nel senso che esiste una
linea temporale e razionale che va seguita.
Non c’è
da correre, il libro nasce già “adulto”; sarà una sorpresa per i giovani, sarà
in ogni caso portatore di esperienze per i più navigati, nella speranza che gli
eventuali commenti costruttivi non facciano riferimento ad una probabile
lettera sbagliata in un nome straniero… per mettere tutto a posto sarà
sufficiente aspettare… una ristampa!
Noi ci abbiamo messo tanto impegno e abbiamo sacrificato molto del nostro tempo libero e la speranza è quella di aver dato un piccolo contributo alla causa.
L: Forse anche noi attempati “proggettari” possiamo ricevere molto da questo libro. Io lo avevo comprato per regalarlo a un giovane, ma sarà la prossima copia che regalerò. Grazie del vostro impegno.
A-O: Grazie a te per l’interessamento e la divulgazione.
SUITE ROCK
IL PROG TRA PASSATO E FUTURO
Prefazione di Luciano Boero
Di Athos Enrile e Oliviero Lacagnina