Trovarsi tra le mani un nuovo album e doverlo commentare è una situazione che ha sempre a che fare con la coscienza. In un dischetto di policarbonato, diametro 12 centimetri, è spesso raccolto il lavoro di un periodo significativo di vita. A volte l’intera esistenza. Perché entrare negli intimi e personali anfratti e commentarli? Rendendosi visibile, un musicista, chiede davvero di essere radiografato?
Ho ricevuto in regalo tutta la storia di Davide Camerin, album, libro, pensieri, e modo di proporsi. Sto parlando di una discografia che comprende quattro “dischi”, il primo del 1999, e un libro con CD annesso. Un oceano di visioni e stimoli. Tutti i dettagli relativi a questo cantastorie quarantenne sono fruibili nel suo sito:
Da li occorre partire, perché la preparazione all’ascolto non è cosa da sottovalutare.
A dire il vero in ogni episodio le note di copertina sono esaustive e svolgono perfettamente la funzione didascalica che le cover dovrebbero contenere, ma la visita ad un sito organico dedicato può essere il giusto ausilio per comprendere… ciò che c’è da comprendere!
Davide Camerin rientra nella categoria musicale dei cantautori, ciò quegli artisti che propongono in prima persona ciò che creano, spesso solitari su di un palco minimalista. La differenza tra il buono e il meno buono sta nel messaggio, nel modo in cui viene proposto, nella qualità della musica e nella capacità di comunicare correttamente tutto ciò che si ha dentro e che si decide di condividere.
Mi sono creato un’immagine, anche se non so se ho bene interpretato.
E’ quella di un uomo calato nella sana provincia, che non ama i riflettori e che, magari inizialmente, ha faticato nel venire allo scoperto, rifugiandosi in alcuni casi nel “rassicurante dialetto” di casa.
Eppure Camerin di cose da dire ne ha molte e conosce la chiave per raccontarle con originalità, passione e senso della misura.
I temi vanno dal sociale al personale (e spesso le due cose si incontrano), dalla guerra all’amore, dai malesseri interni a quelli generazionali.
La cosa che ho molto apprezzato è l’integrazione tra i differenti mezzi espressivi, l’intreccio tra letteratura e musica che è assolutamente riuscito.
Ogni album ha un tema conduttore (a mio avviso anche la raccolta “Canzoni in Economia”), cosa abituale per chi, ad esempio, si è cimentato con la musica progressiva, ma non certo usuale per il cantautore tipo.
La musica non è un contorno e mi piace proporre il pensiero di Loris Furlan della Lizard che mi ha detto, a proposito dell’intervista a seguire:
"Davide non può che esprimersi in maniera genuina, schietta e molto modesta. E così si è scordato di dirti che ha pure composto un brano di musica pressoché strumentale di circa dieci minuti, "Dedalo" (nell'omonimo cd), bellissimo, arrivato al secondo posto nell'Omaggio a Demetrio Stratos di qualche anno fa. Glielo dico a Davide, talvolta, sapendolo appassionato anche di progressive, un prossimo passo potrebbe essere una favola musicale, strumentale, o con canzoni ad ampio respiro, ispirata al folletto Mazariol (la canzone principale c'è già, molto apprezzata e ancora inedita)".
Avevo già sentito “Dedalo” e sono pienamente d’accordo con Furlan; Davide Camerin ha caratteristiche tali che gli possono consentire espressioni libere e variegate, con la garanzia della piena riuscita. In fondo è il pubblico che ama incasellare l’artista in una confortevole categoria (e li che andrà a cercarlo in caso di bisogno…), mentre l’artista è molto di più di quanto riusciamo a carpire e capire.
Per chi come me trova soddisfazione nel condividere la buona musica nasce l’amarezza, la frustrazione, di un incontro casuale, avvenuto per una strana concatenazione di occasioni. Sarà mia cura raccontare il più possibile (anche) di Davide Camerin, nella speranza che tanti incontri fortuiti come il mio forniscano un alto grado di conoscenza, di Davide e della sua musica, in un mutuo, positivo scambio(artista/ascoltatore) che dovrebbe essere alla base di ogni rappresentazione artistica.
L’INTERVISTA
Mi sono avvicinato al tuo mondo partendo dalla coda. L’integrazione tra musica e letteratura, tra storie e immagini, è qualcosa di estremamente completo e soddisfacente se tra gli obiettivi ci sono la condivisione e la ricerca dell’efficacia nel trasferire il proprio messaggio. Quale percorso, quale evoluzione ed esigenza culturale ti ha portato da “40 METRI QUADRI” a “Le storie del Cognato”?
Credo che alla base di tutto ci sia la necessità di comunicare qualcosa di irrisolto, sperando che sia condiviso, scrivere per me è sempre stato terapeutico. In questi 12 anni ho sempre usato la canzone come forma espressiva, perché è il linguaggio che conosco meglio. In questo senso non c’è stata quindi nessuna evoluzione artistica, se non di crescita personale.
Quando mi trovo davanti ad un artista come te, che parrebbe non poter prescindere dalla “parola”, mi viene spontaneo chiedere quale tipo di reazione avviene al cospetto della sola musica. Riesci a concepire, ad apprezzare, a proporre qualcosa che è legato unicamente al mondo dei suoni?
Amo moltissimo la musica strumentale, da ascoltatore, trovo però che sia una forma d’arte piuttosto diversa rispetto alla canzone. La canzone è un campo anche povero, ma molto antico, regolato da discipline particolari e interessanti, e per inciso consente anche agli artigiani come me di potersi esprimere. Detto questo, non riuscirei mai a scrivere musica sola, perché non ne sono proprio capace!
L’utilizzo della forma dialettale rappresenta la volontà di mantenere salde le radici o corrisponde ad una precisa necessità espressiva?
È una necessità espressiva: se devo parlare della mia zona o della mia bici, mi viene spontaneo usare il dialetto delle mie parti, anche perché lo parlo abitualmente. Il grosso problema sono stati i grafemi da utilizzare per trascrivere i testi. La mia parlata si differenzia dal veneziano lagunare, dal trevigiano, dal bellunese e feltrino, dal cenedese... ci sono non poche differenze fonetiche perfino tra la parlata di San Vendemiano, dove abito, e quella di San Fior, a tre kilometri di distanza! E poi parlano di “lingua veneta”! Per non dire della velocità con cui il mio dialetto sta cambiando, o meglio, morendo. Insomma, il problema è che a scrivere in dialetto mi sento proprio ignorante, e proprio nei confronti di mio nonno!
Che cosa ami e, se accade, cosa ti “preoccupa” delle performance live? Che tipo di interazione riesci a stabilire con l’audience?
Mi preoccupa più che altro rispettare il brano, non renderlo impresentabile, a causa dei miei limiti tecnici. L’obiettivo è regalare qualche emozione, far scattare qualche molla in chi ascolta.
Nel mio seguire l’evoluzione musicale mi verrebbe da pensare che sia nata una nuova stagione del “cantautorato italiano”, ricca di talento e di novità( l’eventuale successo è argomento a parte!). Qual è il tuo pensiero in proposito?
Il talento in giro di sicuro non manca, secondo me però un grande artista al giorno d’oggi non sceglierebbe mai la canzone come forma espressiva, perché è proprio svalutata; uno si trova a dire cose già dette con medesime modalità. Tuttavia bisogna dire che molto spesso un grande artista non sceglie, viene scelto lui, e allora è dura…
Qual è la musica, la band o l’artista che ti ha fatto decidere o comunque ti ha influenzato a tal punto da spingerti verso la direzione attuale?
Sicuramente i cantautori italiani! In passato sono stato famelico e onnivoro. Ma mi sono accorto in tempo che essere in un supermercato ed poter scegliere tra migliaia di offerte non è che serva granché. Insomma, preferisco conoscere poche cose, ma conoscerle sul serio, anche perché solo il tempo dà la reale misura di un artista… insomma, per prudenza vado sul sicuro! Se ho voglia di musica classica magari metto la nona di Schubert, o Nobody’s Fault But Mine dei Led Zeppelin, o Jimmy Ballando di Paolo Conte.
Una domanda che forse non dovrei fare a te, ma è comunque interessante conoscere il tuo pensiero. Tutti gli artisti dell’etichetta Lizard che, con l’aiuto di Loris Furlan ho avuto l’opportunità di sentire, seppur diversi tra loro, hanno come comune denominatore l’assoluta, in alcuni casi ardita, libertà di espressione con la probabile realizzazione di un prodotto di nicchia. Ti riconosci in questa grande “famiglia”?
Assolutamente sì, e il merito va tutto a Loris, che culturalmente è una persona molto preparata e tollerante.
I temi sociali e le tue denunce sono ad ampio raggio. Puoi delineare un tuo giudizio relativamente al business che gira attorno alla musica?
E’ la favola di Esopo, del tale che aveva una gallina che faceva le uova d'oro; credendo che dentro di essa ci fosse un tesoro enorme, la uccise e la trovò simile alle altre galline. Per avidità fu privato anche di quella piccola ricchezza quotidiana.
Riesci a trovare il tempo per aiutare i più giovani sulla via della “corretta educazione musicale”?
Mi sono esibito, solo voce e chitarra, per una cinquantina di ragazzi, di età compresa tra i 12 e i 16 anni. Me li avevano descritti come un branco di scatenati e pensavo ad un interesse pressoché nullo. Con mio grandissimo stupore, ho scoperto un’ attenzione e una curiosità inaspettate; io sono padre di due figli, ma dentro mi sento ancora figlio e allievo, e così buona parte della mia generazione. Bisogna assumere la propria responsabilità di crescere e diventare padri e maestri, pur con tutti i nostri limiti.
Che cosa potrebbe accadere dopo… “Le storie del Cognato”?
In questo momento non ne ho la più pallida idea!