Da alcuni anni racconto periodicamente l’evoluzione di Airportman, e sono indeciso se sia
la cosa più difficile da fare o, al contrario, la più semplice.
Non sempre parlo di chi conosco personalmente… un commento musicale non
richiede altro che un po’ di attenzione, equilibrio e sensibilità, perché ciò
che viene richiesto/fornito è giusto un’opinione, da semplice fan o da pseudo
esperto. Certo è che il contatto diretto facilita sempre le cose e permette di
trovare chiavi di lettura che in altro modo non arriverebbero.
Ho incontrato la band nella loro terra, nel cuneese, dopo una loro
rivisitazione radicale di “Behind Blue
Eyes” degli Who, all’interno di un contenitore ideato a scopo benefico. L’incontro
a domicilio, il profumo della loro terra e del loro modo di vivere la Musica,
mi permette di contestualizzare ogni loro lavoro, e collegare il minimalismo
imperante alla sostanza, all’essenza, all’ultimo stato evolutivo del “Toro di
Picasso”, che iniziando dall’estrema complessità raggiungeva alla fine, dopo libere
progressioni, il nocciolo, il significato, il fondamento da cui partire o a cui
arrivare: questione di prospettiva.
Ritorno alle righe iniziali: l’apparente semplicità contrasta con una
filosofia espressiva che va raccontata, e meglio sarà se ciò avviene attraverso
l’intervento dei diretti interessati, perché… tutto quanto emerge nell’intervista
a seguire non aveva altro canale da cui fluire per testimoniare l’oggettività.
La Musica, forse, non va spiegata, e alla fine ha poca importanza per l’ascoltatore
sapere che un album strumentale - David
- tratta di un suicidio; forse le
atmosfere cupe e rarefatte possono portare verso altri pensieri, in un gioco
interattivo che è parte del progetto, ma il tratto greve conduce in ogni caso
ad uno stato di tensione che risulta, giustamente, condizionante.
Airportman disegna "David" come “irritante
e fastidioso”, se ascoltato in modo sommario, uno di quegli album, aggiungo
io, a cui si rischia di non dare una seconda chance, senza un minimo di
preparazione all’ascolto, o senza conoscere il modus operandi di questo gruppo
un po’ anomalo.
Alla base una grande libertà di azione, sei momenti in cui ogni elemento
esprime sé stesso in modo autonomo e sganciato dall’esigenza di gruppo. Ma gli episodi
si riuniscono e si fondono grazie ad un magistrale lavoro in fase di mixaggio,
e ciò che ne emerge dal continuo gioco dei ruoli determina l’omogeneità che
parrebbe un’utopia, viste le premesse esecutive.
L’artwork e le parti scritte, contenute nel booklet allegato, seguono la stessa
logica e sono elementi necessari per arrivare ad una buona comprensione di un’idea
di Musica completamente innovativa, fatta di ricerca, sperimentazione,
coraggio, assoluto disinteresse per i meccanismi di mercato a favore della
coerenza, che fa sì che la qualità, i principi e il credo personale, aiutino a
mantenere le coordinate scelte per raggiungere l’obiettivo.
Non un album facile… un album da ascoltare!
L’INTERVISTA
Vi ho lasciato poco più
di un anno fa con l’album “Modern”: che cosa vi è accaduto di significativo in
un anno e mezzo di vicende musicali?
In realtà quello che accade sempre quando nasce
qualcosa di nuovo... e per noi è sempre lo sperimentare qualcosa di diverso,
qualcosa che ci restituisca qualche nuova sensazione, qualche nuovo sentimento,
e “David” corrisponde a questa
ricerca. Nel
frattempo Stefano (Giaccone ) è tornato in Inghilterra e quindi anche i live di
“Modern” si sono interrotti, e noi ci
siamo riappropriati dei nostri spazi.
”David” è il vostro ultimo disco, da poco uscito: potete
sintetizzare i concetti racchiusi nel nuovo lavoro?
“David” è
una materia sonora strana, non so dare giuste indicazioni per rappresentarlo, è
certamente il risultato di un collettivo lasciato a briglie sciolte. L’idea è
stata quella di dare spazio ad ognuno di noi in modo assolutamente libero,
senza troppe indicazioni, in modo che venisse fuori la parte più intima di
ognuno di noi. L’idea musicale ruota intorno a sei momenti di
base sui quali ognuno di noi ha inserito il proprio intervento con il proprio
strumento in assoluta libertà ed in momenti separati, in piena solitudine, in
presa diretta per tutta la durata del disco, in modo da poter registrare una
parte irripetibile ma assolutamente rappresentativa di se stesso. Poi,
grazie a Pol (Paolo Bergese) ed alla sua bravura nel mix è scaturito quello che
si sente, ma che è ovviamente il frutto di un successivo mix che ha, di
volta in volta, evidenziato come parti solistiche parti che erano state suonate
come accompagnamento e viceversa, creando un cortocircuito sonoro che ben
rappresenta lo stato d’animo del collettivo.
Seppur minimalista il
contenitore fisico racchiude un booklet che disegna e racconta l’album: come ci
si può avvicinare alla comprensione totale del lavoro con il solo ascolto -
magari in rete - di trame strumentali? La diversa percezione e interpretazione
della proposta fa parte del gioco interattivo?
La parte testuale e grafica è stata ideata con lo
stesso principio della parte musicale. E’ stata scritta in primo luogo la scena
ove si svolge l’azione che ha come protagonista David, ma ognuno di noi ha
potuto inserire parti personali che interagiscono con la storia principale, in
modo da dare alla parte testuale le stesse caratteristiche adottate per la
parte musicale. La grafica è stato il regalo di Chiara (Chiara
Dattola), bravissima illustratrice, che a suo modo è diventata membro degli Airportman,
perché con lo stesso principio ha inserito il suo contributo, raffigurando
l’idea di David. Ovviamente il tutto è avvolto da un respiro tenebroso,
i toni sono gravi e cupi, ed in generale ne esce un atmosfera angosciante. Ma
la storia di David è la storia di un suicidio ed il tema ha ovviamente
caratterizzato tutto il mood.
“David”, come tu dici, è
stato realizzato lasciando spazio all’improvvisazione: è perfettamente
riproponibile dal vivo?
Guarda, appena riascoltato ci siamo
detti che era praticamente impossibile riproporlo dal vivo; ma in realtà è
semplicemente perché doveva essere riassorbito da ognuno di noi in maniera
diversa da come ognuno di noi aveva suonato nei takes. Il risultato live, che
abbiamo testato qualche giorno fa al “Tago Mago Festival”, racchiude l’essenza
del disco con qualche impennata sonora più marcata, ma direi che risulta
assolutamente suonabile, semmai ci sarà qualcuno che lo vuole ascoltare dal
vivo…
Mi dite qualcosa dell’artwork?
Come ti dicevo prima la grafica è stata un enorme
regalo di Chiara; le abbiamo inviato il testo e il provino del disco e le
abbiamo chiesto di interpretare a sua libera ispirazione il lavoro. Conoscevamo ed
apprezzavamo il tuo tocco grafico, ma ritengo che le tavole che ci ha regalato
sono magnifiche, in piena sintonia con l’atmosfera del disco.
Che cosa rappresenta
“David” all’interno del vostro percorso globale?
Una nuova ricerca, una via di fuga, uno spiraglio di
luce, seppur nascosta, in una proposta musicale generale piatta e conformata.
Non pretendiamo che “David” apra nuove porte musicali, ma lo spirito di
sperimentare nuovi modo di concepire la musica, nuovi canoni di ricerca, seppur
con un risultato ostico ai più, ci rende orgogliosi di quanto fatto. Penso che “David” sia un lavoro viscerale che non
ha compromessi, non puoi dargli un ascolto sommario, in quel modo è irritante e
fastidioso, ma con il dovuto tempo ed attenzione allora ti può trasportare in
luoghi diversi da questa realtà.
Non sono molto bravo nel
decodificare le etichette: cosa significa essere una band di Post-rock, termine
che viene associato alla vostra musica?
Non so cosa voglia dire post-rock, noi siamo una band
rock a nostro modo di vedere; non pensiamo di avere nulla di post; capisco che
dire che gli Airportman siano una band post-rock renda più facile
individuare il nostro suono (mogwai, sigur ros, silver mt. zion, etc..),
ma quello che mi piace sia detto di noi è che siamo una band di ricerca.
Troppo presto per parlare di progetti futuri?
Davvero troppo presto. Unica cosa,
abbiamo fatto dal vivo, in un paio di occasioni, una suite musicale inedita
dedicata a Violeta Parra.