Conoscevo Federico Sirianni per avere
ascoltato parte della sua musica, ma non avevo mai avuto occasione di assistere
ad una sua performance live, e quel poco che visto di lui in occasione del
concerto benefico organizzato da Aldo De Scalzi alcuni giorni fa - un paio di
brani - è servito ad alimentare la mia
normale curiosità musicale, cosa per altro stimolata anche dal GNU Quartet - normale
compagno di viaggio di Federico - e dai fratelli Alloisio.
Il cantautorato genovese ha la sua storia,
la sua enorme importanza, ma come spesso accade il popolo si impregna di ciò
che maggiormente gli viene fornito, tra tributi ed esibizioni in tempo reale di
chi va per la maggiore, e forse si perde di vista l’orizzonte, costituito da
numerosi elementi che vale la pena mettere in luce.
Beh, Federico Sirianni non ha certo bisogno
di sottolineature, ma forse le sue parole a seguire possono essere di interesse
comune, alla stregua delle sue canzoni.
Genovese, trapiantato a Torino da molto
tempo, esprime una decisa modernità che supera lo stereotipo del cantautore, quello
che nell’immaginario comune è ancora legato agli anni’70, un modello espressivo
a cui moltissimi “uomini del settore musicale” attribuiscono il merito o la
colpa di aver soppiantato un certo rock che andava per la maggiore in quegli
anni. Quella figure credo non esista più, anche se una chitarra, una voce e due
occhi espressivi riescono sempre a creare magia. E a quel punto ogni parola
diventa superflua…
Lo
scambio di battute…
Parto
dall’ultimo evento genovese, quello del Teatro Verdi, organizzato da Aldo De
Scalzi: che cosa ha permesso secondo un tale afflusso di pubblico, premesso che
non credo al boom legato allo scopo benefico, alla “genovesità” della
situazione e nemmeno al cast fantastico?
Beh, se togli tutti e tre questi motivi, rimangono particolari
congiunzioni astrali favorevoli o il passaggio di una cometa sconosciuta. Penso
invece che l’insieme di questi tre fattori abbia spinto finalmente una
popolazione notoriamente restìa alla vita mondana come i genovesi ad alzarsi
dal divano e ad affollare un teatro dove, effettivamente, andava in scena la
migliore musica genovese degli ultimi 40 anni. Non esserci significava perdersi
un momento di grande storia.
Nell’occasione
ti sei esibito, anche, con il GNU Quartet, presentando “Nella prossima vita”,
tratto dall’album che avete realizzato assieme: come nasce la vostra
collaborazione?
Io e gli Gnu abbiamo collaborato spesso insieme, sin da quando
non erano ancora Gnu. Dopo tanto tempo è capitata l’occasione per realizzare
questo lavoro “a dieci mani”. Non è stato facile mettere insieme personalità
particolari come le nostre ma il risultato è stato decisamente positivo. E’
stato definito da alcuni critici musicali “il disco italiano più bello del
2013”.
E’
invece recentissimo “Vinile di Natale-Dio dei Baraccati”, realizzato in sole
100 copie, per i fans più vicini: che tipo di rapporto hai in generale con il
pubblico che ti segue? Esiste una certa interazione in fase live?
Certamente. Ed esiste anche prima e dopo il live. La possibilità
di utilizzare piattaforme come i social o i blog permette un contatto diretto e
continuo con gli appassionati che sono il vero motore di questo lavoro
bellissimo, precario e faticoso. L’idea delle cento copie numerate del vinile è
nata per ringraziare, appunto, i fans più fedeli e presenti.
Parlando
di musica, di cantautori, di Genova, è facile cadere su argomentazioni
retoriche: mi dici qual è il tuo pensiero sullo stato della cultura? Riesci a
vedere la “testa che riemerge dalla melma”, dopo anni bui?
Non sono così informato perché vivo a Torino da quindici anni.
Ho però attraversato “da fuori” anni che mi parevano davvero bui a Genova per
quel che riguarda attività legate a cultura e spettacolo, parlo del primo
decennio del ventunesimo secolo. La sensazione che ho è quella di una lieve
ripresa da questo punto di vista, parlo a titolo personale ovviamente. In più
ho avuto il piacere di conoscere l’attuale assessore alla cultura del Comune,
Carla Sibilla, e ne ho tratto un’ottima impressione.
Chiedere
a un cantautore cosa pensa della musica priva di liriche potrebbe sembrare una
provocazione ma… riesci a concepire il trasferimento dei messaggi senza
l’utilizzo del verbo?
Assolutamente sì. Ascolto molta musica strumentale. Per quel che
mi riguarda, un testo deve raccontare delle cose interessanti o, se non sono
interessanti, raccontarle bene. Come per un buon libro. Se no è molto meglio
una musica senza parole.
Sono
fortemente attratto dalla fusione delle arti, tra musica, immagine e parola:
cosa significa per te l’unione tra canzone e movimento teatrale, ambiti in cui
ti muovi nel quotidiano?
In questi vent’anni ho avuto modo di lavorare con artisti legati
a forme espressive diverse, mescolando la musica e la canzone con il teatro, il
circo, la poesia, il varietà, perfino il burlesque. Sono perciò assolutamente
in linea con il tuo pensiero e credo che ogni esperienza con qualcosa di
diverso da te, porti un immenso arricchimento.
Se
dovessi puntare su uno o più cantautori genovesi di ultima generazione, chi
consiglieresti?
Mi sembra, ma forse mi sbaglio, che negli ultimi anni sia più
forte la componente femminile nell’ambito della canzone d’autore genovese. Ne
scelgo due, secondo me molto brave, Giua e Roberta Barabino.
Guardiamo
un attimo al passato e al tuo percorso: esistono strade che non hai imboccato
per eccesso di cautela e che ora rivaluti con un po’ di rammarico?
Forse è accaduto il contrario. Strade che ho imboccato a tutta
velocità senza saper guidare benissimo il mezzo. Sono arrivato in anticipo su
molte situazioni, mi capita attualmente di vedere artisti molto apprezzati da
pubblico e critica che fanno la musica che facevo io vent’anni fa. Non sempre
arrivare in anticipo è qualcosa di positivo, insomma.
Ma
tu… a chi ti sei ispirato da adolescente?
Da adolescente non avevo gusti musicali ben precisi. Diciamo che
intorno alla maggiore età mi sono innamorato di Tom Waits, Bob Dylan e Leonard
Cohen, ho respirato nei vicoli di Genova le note di Faber, ho avuto la fortuna
di conoscere e frequentare l’attuale miglior cantautore italiano, Max Manfredi,
mi sono sbronzato ascoltando blues, folk orientale e rockabilly.
Si
può svelare qualche piano per il futuro?
Sopravvivere decentemente continuando a fare questo mestiere.