Il tempo che scorre inesorabile ci
porta via, ad uno ad uno, tutti i protagonisti del rock, quelli che hanno accompagnato
con la loro musica le vicende della nostra vita alimentando la nostra passione,
ed è verosimile pensare che, nello spazio di tre o quattro lustri, si potrà
godere solo delle loro creazioni, non certo della loro presenza.
Ma se il passare ad una dimensione ultraterrena fa parte della logica delle cose, a cui ci si abitua piano piano, ci sono dipartite che pesano più di altre.
Ho appena saputo che Michael Lang è
morto: aveva 77 anni, era ricoverato allo Sloan Kettering di New York City e la
causa del decesso è una forma rara di linfoma di Hodgkin.
Non era musicista, ma senza le sue intuizioni la stagione dei grandi raduni non sarebbe mai nata, così come è probabile che molti artisti avrebbero percorso un sentiero buio e caratterizzato dall'anonimato.
Io ho “incontrato” Lang a 14 anni, in
una sala cinematografica in cui restai per ore, il tempo di vedere per tre
volte consecutive il film dedicato al Festival di Woodstock.
A quell’età si è facilmente
influenzabili e visto che il rock non mi ha più abbandonato - o forse sono io
che gli sono rimasto fedele - l’immagine di Michael a "cavallo" della sua moto è
diventata il simbolo della mia iniziazione musicale, sicuramente il primo viso
che associo a quell’evento che mi porto dietro da tutta la vita e che, assieme
ai compagni di MAT2020, ho celebrato al compimento dei 50 anni.
Appare quasi superfluo sottolineare cosa
accadde in quei giorni, quando un giovanissimo Lang, insieme a John Rosenman,
Artie Kornfeld e John P. Roberts, fu colpito da una visione e progettò quello
che poi sarebbe diventato l'evento più importante della storia del rock sotto
forma di live.
Per chi volesse rinfrescarsi la memoria su quanto accadde nel mezzo del mese di agosto del 1969 sul lato est degli Stati Uniti e su quanto creato da Michael Lang, propongo a seguire un documento unico, realizzato per celebrare il mezzo secolo di Woodstock e scaricabile gratuitamente:
https://www.mat2020.com/files/MAT2020_Woodstock_2.pdf
Di quella manifestazione Lang disse: "Ebbi la folle idea di far chiudere il festival a Roy Rogers e alla sua Happy Trails, la conclusione perfetta per una tre giorni di pace e musica, ma il suo manager rifiutò la proposta. Fu invece Jimi Hendrix, com’è risaputo, a chiudere il festival alle 9 di lunedì mattina, di fronte a un pubblico più esiguo ma composto pur sempre da 20.000 persone. Jimi si esibì alla luce del sole per creare quella che in seguito diventò la storia di Woodstock, un’esecuzione di The Star Spangled Banner, ripresa dalle telecamere, che mi dà i brividi ancora oggi".
Riposa in pace Michael, sei tu la vera storia del Rock!