“Penso alla vita come un flusso continuo di
esperienze, un passaggio di eventi, un rituale quotidiano della memoria.
Forse la musica è il modo migliore, proprio come una
poesia, di fermare il tempo e afferrare il senso della vita in costante
cambiamento e mutevolezza”.
Ho trovato questa frase sul CD di Salvo
Lazzara e il Pensiero nomade, “Materia e Memoria”, e con questa affermazione/speranza, l’introduzione
all’album potrebbe già essere completa, senza l’aggiunta di un mio commento. Se
da un lato è la vita stessa a fornire le occasioni e gli stimoli per
rappresentarla attraverso le forme di arte più disparate, trasformare gli
attimi quotidiani in poesie, pitture, sculture e musica, significa rendere quei
momenti vivi per sempre. E se tutto questo può apparire retorica basterà
rileggere, ad esempio, una “storia” rovesciata sulla carta anni prima, e
improvvisamente diventeranno “fresche” e di giornata, le motivazioni (gioiose o
dolorose) che avevano condotto a quella creazione. E magari salteranno al naso
gli odori di chi in quel momento lontano stava cucinando accanto a noi.
Per realizzare certi momenti catartici non occorre
essere estremamente talentuosi, ma è sufficiente avere sensibilità e bisogno di
attimi in cui fermare il mondo e riflettere.
Se poi il talento esiste tanto meglio, e in questo
caso un musicista come Salvo Lazzara lo si può inserire nella casella dei
“fortunati per volere divino”. Non è il suo know how che me lo fa considerare
speciale, ne la sua tecnica sullo strumento, ma è piuttosto l’impressione che
d’istinto mi arriva dopo lo scambio di battute tra di noi, unitamente
all’ascolto dell’album, è cioè quella sensazione che lui sia arrivato ad un
concetto di vita/musica di livello superiore.
Nella mia prima domanda propongo a Salvo un quesito su
cui cado spesso nelle mie disquisizioni, relativo al creare per se, per gli
altri, per se e per gli altri…
Concordo sul fatto che “ … non ci sia
nessuno che suoni o componga senza pensare a se stesso, e al benessere che
farlo gli da…”, ma sono altresì convinto che subentrino
successivamente alcuni aspetti, più o meno positivi: la voglia di condivisione
e un po’ di narcisismo. Tutto questo, unitamente al fatto che molti vivono di
musica, e quindi avere visibilità diventa imperativo.
La musica di Lazzara sembra invece assolutamente pura,
incontaminata nello spirito e negli ideali, libera e liberatoria, al completo
servizio di chi ha bisogno di non pensare per un attimo o di chi invece, nello
stesso attimo, vuole ricercare se stesso.
“ Materia e Memoria” è un album strumentale,
sicuramente non alla portata di tutti.
Le atmosfere sognanti si uniscono alla sperimentazione,
nella ricerca di portare sempre un po’ più in la l’evoluzione del proprio
strumento.
La comunicazione cammina attraverso la completezza di
suoni e di situazioni e non si può scindere la musica dalla cover del CD e dai
titoli dei dodici brani, titoli che uniti tra loro forniscono la base per un
racconto concettuale.
Come scrivevo poc’anzi, una musica non per tutti, ma
per esseri sensibili e virtuosi, che nel mondo non rappresentano una minoranza,
ma è forse cospicua la parte che ha dimenticato, e che ha bisogno di uno
stimolo per diventare parte attiva e reagire.
Questo “Materia e Memoria” può rappresentare un ottimo
“risveglio”.
Line up:
Salvo Lazzara: chitarre, bassi, oud, loop and samples.
Alessandro Toniolo: flute.
Davide Guidoni: drums, percussions, samples.
Fabio Anile: piano, keyboards, percussioni, samples.
Luca Pietropaoli: trumpet, flugelhorn.
Info:
http://www.myspace.com/pensieronomade
http://www.materiamemoria.blogspot.com
INTERVISTA
La maggior parte dei musicisti che intervisto sottolineano che, prima di
tutto, si suona per se stessi. Nondimeno, “venire allo scoperto”, presentare il
proprio credo musicale al mondo, significa provare a migliorare attimi di vita
di sconosciuti regalando qualcosa di estremamente intimo, qualunque sia la
musica che si propone. Qual è la tua personale linea di confine tra la
soddisfazione del creare tra quattro mura e la gratificazione di “vedersi
utilizzato” per ottenere un momento di serenità?
Posso dirti in prima battuta che, dal mio punto di
vista, si suona perché succede che la musica ti cerchi. Provo a
spiegarmi: io non so mai perché mi accade che una melodia o un passaggio
armonico entrino in testa, e questo può anche significare che il primo atto creativo
sia del tutto inconsapevole. Poi però, immediatamente dopo, comincia una fase
di sperimentazione e di ricerca e proprio in quel momento ti potresti anche
chiedere perché e per chi stai componendo, ma le risposte possono essere tante.
Credo che non ci sia nessuno che suoni o componga senza pensare a se stesso, e
al benessere che farlo gli da. Personalmente, penso poi che chi ascolta le mie
cose abbia tutto il diritto di interpretarne il senso come vuole, e quindi fare
della mia musica quello che meglio crede, dal sottofondo per altre attività ad
un momento di benessere o di consolazione, ma anche al supporto per il
proprio momento creativo. Sapere che il passaggio della mia musica nella vita
degli altri non è indifferente, questo si che mi da soddisfazione!
” Materia e Memoria ”, propone già nel titolo elementi di larga
riflessione. Il vostro è un album strumentale e attraverso la “sola” musica
comunicate il vostro verbo. Cosa pensi, in generale, dell’utilizzo delle
liriche? Se immagini una voce all’interno di un tuo progetto, vedi anch’essa
come strumento?
C’è stato un momento in cui ho deciso che, almeno per
me, sarebbe stato meglio concentrarmi sulla musica, senza dovermi preoccupare
anche di una componente narrativa più esplicita, collegata al testo. Diciamo
che preferisco utilizzare le voci degli strumenti e, se mai fare ricerca su
questi. Se mi chiedi però che tipo di voce potrei desiderare per la mia musica,
risponderei che mi piacerebbe una voce, come tu stesso hai detto, strumento di
per sé, come era quella di Demetrio Stratos, o come potrebbe essere quella di
Meredith Monk, di Bjork, di Diamanda Galas.
Ho letto come al momento non esista fase live per “Pensiero Nomade”. Al
di là delle difficoltà attuali, ripensando al passato, cosa ti da il
contatto diretto col pubblico? Cerchi e riesci ad ottenere interazione?
Vengo da una storia di gruppi musicali, prima nella
new wave e poi nel progressive, dove la componente live era ricercata come
momento in cui si fa sentire al pubblico cosa si sa fare, come fenomeno di
narcisismo, fondamentalmente; è un aspetto che non mi entusiasma più. Oggi mi
piacerebbe ritrovarmi in situazioni in cui la mia musica non fosse l’unica
fonte di spettacolo, e dove il pubblico non fosse lì per me, ma lì con me, a
vivere un’esperienza che arricchisca entrambi. Difficile immaginare cose di questo
tipo in una situazione di concerto canonica; diciamo che sono attirato da
un’idea di performance musicale come componente di un’esperienza estetica e
sensoriale più ricca. Chissà se esiste!
Mi ha colpito una tua frase, apparentemente “secondaria”, dove dici “
… nessuno di noi vive di musica…”,
che probabilmente doveva finire con “…
purtroppo…”. Ma cosa bisogna fare, di questi tempi, per campare
suonando?
Francamente non lo so. Conosco molti validi musicisti
che vivono “nella musica”, ma non necessariamente nella loro. Oggi credo che il
problema non stia tanto nell’interpretare un ruolo o un mestiere di musicista,
fatto per il quale basta avere un po’ di dignità, da accompagnare alla perizia
tecnica, al buon gusto e a un bravo agente. In questo senso è possibile vivere
suonando, e tanti ci riescono benissimo, nel rock come nel jazz o in altri
generi compresi i più “indie”. Il fatto è che questo non significa
necessariamente essere immerso in una dimensione musicale appagante.
Estremizzo, ma credo che alla fine devi sempre chiederti qual è la reale
differenza fra te e un onesto pianista da piano bar; se la trovi sei a buon
punto!
Esco un attimo dal discorso specifico, utilizzando le tue conoscenze
filosofiche e agganciandomi alla domanda precedente. Il mio avanzato stato
cronologico mi fa credere di possedere qualche saggezza. Il mio punto di
arrivo, se penso alla definizione di felicità e se mi guardo indietro, risiede
nella possibilità di far coincidere il proprio lavoro con la propria passione,
fatto difficilissimo da realizzare. Quanto è grande la frustrazione di chi sa
trasformare le idee in musica, ma ad essa è costretto a dedicare un minima
parte del tempo che vorrebbe?
Non parlerei di frustrazione, anche perché non credo,
personalmente, ad un’idea di musicista del tipo: scrivo brani, li
provo, faccio il disco e vado in tour. Diciamo che con me non funziona
così. Non sono, musicalmente parlando, un bulimico. Certo, alla musica dedico
scampoli di giornate, oppure alcuni giorni in un mese,ma diventa comunque
appagante, perché c’è grande concentrazione, disciplina, metodo, insomma, non è
un mestiere, è una passione! Poi sono stato fortunato, perché faccio comunque
un mestiere che da senso a quello per cui ho studiato e a gran parte delle mie
aspirazioni.
Esistono teorie che si riferiscono soprattutto al passato(dimostrate con
nomi e fatti), che dividono musicalmente la nostra penisola in zone omogenee,
come a dire che esiste la scuola genovese, napoletana ecc. Quanto possono
influire le coordinate geografiche nella propria formazione musicale?
Difficile dirlo: credo che dipenda dal’età artistica
di chi suona e dal proprio bisogno di riconoscimento e appartenenza; a 41 anni
mi sono definitivamente affrancato dal provincialismo musicale che mi
portava a preferire una proposta inglese o americana a una qualunque altra.
Oggi sono molto più interessato alla musica dei paesi emergenti, a quella
tradizionale della mia terra, la Sicilia, e in generale del Mediterraneo, che
alla scena underground di questa o di quella città europea. Senza per questo
mettermi a fare folk a tutti i costi!
Esiste un artista che è stato determinante per farti imboccare la strada
della musica?
A 16 anni mi sono fatto regalare la mia prima chitarra
elettrica perché volevo confrontarmi con la musica di artisti come i Joy
Division o i Bauhaus. Poi è arrivato il progressive dei King Crimson, quello
italiano del Banco e della Pfm, l’etno jazz degli Area. C’è stata la
folgorazione sulla via di Damasco con David Sylvian e Sakamoto, con Brian Eno e
la musica elettronica e ambient. Il fatto è che potrei fare una lista nutrita
di influenze o comunque di curiosità e frequentazioni, ma non saprei dirti
veramente di chi sia stata la colpa del fatto che oggi scrivo musica.
Chiedo costantemente una definizione di “musica progressiva”, quella con
cui sono cresciuto e che solo successivamente ha assunto un nome così
significativo. Dalle risposte che ottengo ho capito che non è esiste un
significato unico. Qual è il tuo pensiero? Qual è il tuo rapporto con il prog
targato anni ’70?
Voglio essere molto franco nel risponderti e quindi ti
dico che non sono un cultore enciclopedico del genere. Diciamo
che mi sono sempre lasciato affascinare da gruppi progressive non “manieristi”,
né autocelebrativi. Mi sono sempre piaciuti gruppi italiani e stranieri
che hanno dimostrato il coraggio di esplorare strade nuove, anche scomode,
senza per forza voler ricalcare quelle di altri. In questo senso trovo
ancora attuale il discorso degli Area, ma decisamente datato quello di gruppi
che hanno voluto a tutti i costi appartenere ad una “scena” definita e che
ancora oggi ripetono un cliché per nostalgici. La musica progressive aveva una
componente vitale e di ricerca, ma è difficile ritrovarla oggi, molto
raramente.
Immagino che il tuo processo creativo segua diverse strade e non sia
legato a schemi rigidi. Può un’immagine statica, un quadro, un disegno,
portarti alla realizzazione di un brano, non perché esista una spinta a
ricordare, ma per la mera ammirazione verso una scoperta improvvisa?
Si, sono molto sensibile alle arti visive come fonte
di ispirazione, compresa la fotografia. Penso che la forza evocativa di queste
forme di arte lavori su di me per analogia di struttura. C’è l’ammirazione per
la composizione, che può anche essere un fatto di geometrie, di armonie, poi
c’è la suggestione, la fascinazione che un’immagine può comunicarti, e che
richiama la musica come un’urgenza creativa ed emotiva.
Che ruolo ha l’amicizia in una creazione di gruppo? Si può lavorare e
raggiungere obiettivi con la sola professionalità?
In una creazione di gruppo,sia che la musica sia
creata da tutti i componenti in forma collettiva sia come arrangiamento, non
credo che siano distinguibili i momenti in cui scambi musica da quelli in cui
scambi emozioni personali sulla musica e sulla vita. In questo senso non credo
che sia possibile lavorare senza avere la curiosità di sapere qualcosa della
vita dell’altro. Credo che questo sia vero anche per il più mercenario dei
session man. Certo,poi la professionalità ti aiuta quando devi lavorare per
qualcuno che esprime una musica che non ti appartiene del tutto e che non
condividi artisticamente. Devo dirti che non mi è ancora capitata una
situazione del genere.
Un ultima domanda. Se potessi disegnare il tuo futuro musicale nei
prossimi tre anni, cosa metteresti sulla tela?
Sto lavorando molto sulla “voce” pura del mio
strumento, operando non per stratificazione ma per sottrazione. Penso che
sarebbe una tela con poche linee, e colori decisi, in alcuni tratti molto
“materica”.