Intervista già pubblicata sul web
magazine UNPROGGED (http://www.unprogged.com)
Paolo Siani è stato uno dei capisaldi di una
formazione storica italiana, la genovese Nuova
Idea. Festival, album, TV e grande visibilità per una band di Prog Rock
innovativa, carica di talenti puri e capace di incredibili performance live.
Tra mille difficoltà il gruppo si è ricostituito e ha dato
prova di rinnovato entusiasmo e immutato talento da palco. E ancora una volta
il protagonista, il collante, l’uomo della sintesi, è Paolo Siani. A lui ho
chiesto di soddisfare qualche curiosità.
Sei stato uno dei
fondatori della Nuova Idea, evoluzione del “complesso” dei Plep: come ricordi
il passaggio dal beat al pop (a quei tempo il termine prog non era ancora nato)?
Ma in
verità noi (Plep) siamo sempre stati curiosi nel senso che, quando non
scrivevamo ancora brani nostri, ci piaceva elaborare quelle che oggi si
chiamerebbero covers, cioè i brani che avevamo in repertorio per le nostre
esibizioni dal vivo. Ascoltavamo molte cose nuove… Moody Blues, Traffic, ma lo choc
(musicale) lo abbiamo “subìto” dai Vanilla Fudge e dalla loro bravura
nell’arrangiare brani altrui.
Di cosa sei
maggiormente orgoglioso quando ripensi al percorso disegnato con la Nuova Idea?
Probabilmente
della nostra assoluta indipendenza musicale che ci è costata non poche
battaglie con le Case Discografiche, quando ci chiedevano cose più commerciali
(ricordo che abbiamo rinunciato anche a partecipare al Festival di Sanremo con
una canzonetta che ci avevano proposto).
Che tipo di fermento
musicale ricordi nella Genova degli anni ’70?
Beh,
c’erano dei luoghi dove si incontravano musicisti anche di altri gruppi, per lo
più Bar, dove si scambiavano quotidianamente esperienze ed opinioni: c’erano
più gruppi in ogni quartiere di Genova, il problema allora era trovare delle
Sale Prova adeguate.
Mi soffermo sulla tua
figura di batterista: che drummer sei stato? Da chi hai maggiormente appreso e
come valuti la tua evoluzione personale?
Diciamo
che ho sempre preso la musica molto sul serio, forse perché era così anche
nella mia famiglia. Dapprima ho cominciato da autodidatta, poi mi sono iscritto
al Conservatorio Paganini, dove ho frequentato il corso di Percussioni Riunite.
La svolta professionale comunque, l’evoluzione di Paolo musicista, l’ho avuta
quando, lasciata la Nuova Idea, mi sono trasferito a Milano per lavorare
all’interno di una Casa Discografica come batterista, oltreché come produttore.
Mi autodefinirei un batterista “deciso” sullo strumento, cioè un batterista il
cui target è quello non di esibire chissà quali tecnicismi, ma di scandire il
tempo in maniera precisa e strutturalmente semplice. Se poi devo indicare un
modello lo farei citando almeno Max Roach, Carmine Appice e John Bonham.
Qual è stato,
professionalmente parlando, l’incontro più gratificante, più sorprendente e
significativo, che ti/vi ha fatto pensare ad una situazione di grande
privilegio?
Ricordo
volentieri due episodi: il primo è il Festival Pop di Viareggio davanti ad un
pubblico per quei tempi oceanico; il secondo quando partecipammo alla
trasmissione RAI del sabato sera “Senza Rete”, in cui suonammo rigorosamente
dal vivo accompagnati dall’orchestra diretta dal Maestro Pino Calvi,
trasmissione ricca di star mitiche nel nostro paese.
Esiste un episodio che
non tutti conoscono, ma che credo tu abbia ben chiaro, ed è riferito allo
sdoganamento del prog in Italia, dopo la vittoria dei Vanilla Fudge al Festival
di Venezia, nel ’69: che ricordi hai di quei giorni?
Ne ho
parlato prima, ricordo che finimmo un concerto a Genova e andammo di corsa alle
Rotonde di Garlasco (PV) ad ascoltarli, e fu davvero un concerto che ci
confermò la grandezza di quel gruppo americano, sia dal punto di vista
strumentale - e delle voci - che e
soprattutto per l’energia con la quale fecero quel concerto indimenticabile.
Finalmente qualche spiraglio di luce per il tipo di musica che proponevamo da
tempo.
Non sei solo uno dei
fondatori della Nuova Idea, ma anche il propulsore del nuovo corso della band,
che ha ripreso, tra varie difficoltà, una nuova via: sei soddisfatto dei
risultati?
Il giorno
che sarò soddisfatto dei risultati probabilmente smetterò di fare musica.
Certamente non mi sarei aspettato una risposta di pubblico così importante dopo
decenni di silenzio, ma voglio pensare che il bello debba ancora venire.
La Nuova Idea è sempre
stata giudicata “una bomba” da palco, e da quanto ho potuto vedere nel concerto
genovese di qualche mese fa, è questa una caratteristica che vi è rimasta
appiccicata: come nasce l’alchimia tra persone che abitano lontane tra di loro,
si vedono poco e non hanno molte occasioni di confrontarsi e allenarsi in team?
Probabilmente
il fatto che abbiamo vissuto le stesse esperienze musicali, ed anche un modo di
intendere i concerti dal vivo come un happening in cui sfogare tutto quel che
si ha dentro, senza freni, senza inibizioni, con tutta l’energia possibile ed
in piena onestà intellettuale,
rivolti al pubblico con la voglia sincera di offrire il massimo e, per quanto
possibile, emozionarlo.
Ultimamente hai
pubblicato molti pensieri critici relativi all’evoluzione del mondo musicale,
tra businnes e tecniche di registrazione: puoi provare a comparare il prima e
il dopo, tracciando un bilancio tra ciò che reputi positivo e quello che ti
appare come deleterio?
Non credo
sia possibile fare paragoni e, se anche lo fosse, non mi pare un esercizio che
possa servire ai giovani, dal momento che ritengo sia molto difficile spiegare
in quale contesto sociale la ‘’nostra’’ musica è nata. Io credo comunque che
oggi sia tutto più facile: strumentazione, tecnica, tecnologia e internet danno
la possibilità ai giovani di provarci nel migliore dei modi. Purtroppo i media
nazionali non fanno la loro parte e quindi stanno viziando le nuove generazioni
con la convinzione che il successo sia a portata di mano e che basti riuscire
ad entrare in qualche Talent per ottenerlo. Solo con molti sacrifici e con un
talento vero si possono raggiungere risultati; oggi tutti possono registrare e
stampare dischi in proprio con suoni molto buoni e tecnicamente ineccepibili,
ma a discapito della ricerca della propria sensibilità musicale ed espressiva:
non si punta più sulla ricerca di un’idea ma sul risultato (il successo) che si
insegue a tutti i costi.
Che cosa vedi di nuovo
e positivo nel panorama attuale? Ci sono talenti importanti che meriterebbero
maggiore visibilità?
E’ il
limite del nostro paese direi. Non si è mai investito molto sull’educazione
musicale e oggi lo si fa ancora meno; non c’era grande professionalità quando
si vendevano dischi a milioni puoi immaginare come sia caduta del tutto oggi
che di dischi non se ne vendono più. Direi che la visibilità è diventata quasi
impossibile se non fosse per l’autopromozione che ogni musicista (talentuoso e
non) si fa nei social networks ovvero tramite coraggiose etichette indipendenti.
Sei stato il promotore
o attore di progetti musicali nati a scopo benefico: è più facile oggi
alimentare le collaborazioni artistiche rispetto al passato?
E’ senza
dubbio molto più facile oggi, vuoi per i vantaggi che offre il web per cui si
può collaborare senza muoversi da casa, ma anche, secondo me, per un cambio di
mentalità in positivo dei musicisti stessi che ho sempre trovato - salvo rare
eccezioni - molto disponibili a partecipare ad eventi pensati per aiutare
persone in difficoltà: più coscienza sociale, meno divismo personale. Da questo
punto di vista ciò continuerà ad essere il mio target.
Puoi tracciare un
ipotetico futuro della Nuova Idea?
Non sono
molto superstizioso, ma non mi piace tracciare il futuro. Quello che posso
dirti è che sto lavorando alacremente al prossimo album per il quale ho già
ottenuto collaborazioni importanti e che, spero, incontrerà il favore del
pubblico. Il mio rapporto con Nuova Idea è bipolare nel senso che amo il gruppo
che mi ha fatto nascere musicalmente, ma sono altrettanto interessato a portare
avanti anche il mio nome come produttore con l’aiuto impagabile di mio figlio
Alessandro.