Prima una sua mail, poi una
telefonata, alla ricerca di qualche mio aiuto nella ricerca di informazioni
utili alla ricostruzione di un antico festival di inizio anni settanta.
Non ho potuto fare moltissimo, ma
abbiamo coltivato un rapporto "telefonicoepistolare" che mi ha
condotto a porre alcune domande.
L'intervista è apparsa
sull'ultimo numero di "contrAPPUNTI", periodico di musica
prog legato al CSPI, e la ripropongo integralmente su questo blog.
L'INTERVISTA
La nostra conoscenza, legata al caso, ha
come denominatore comune la riscoperta diuna fetta di passato musicale, priva
di documentazione. Per persone
come te, che vivono la musica al presente con lo sguardo al futuro, che significato ha ricercare tracce della
propria “nascita”? C’è qualcosa di terapeutico in tutto questo, è una necessità professionale,
o è solo il piacere di rivivere momenti indelebili?
Non amo particolarmente vivere nel
passato e del passato. Sono molto
attento però ai movimenti, all’effetto spirale che ci accompagna durante tutta
la nostra esistenza, ai corsi ed ai ricorsi, al ritorno di alcuni pianeti
lenti, come Saturno, che ci invita, grosso modo per tre o, per i più longevi di
noi, quattro volte nell’arco della nostra vita, a rivivere chiaramente con
intensità differenti, momenti, passaggi, come per voler essere ben certi di
avere imparato una lezione. Quindi
sono d’accordo con l’effetto terapeutico di queste rivisitazioni del nostro
vissuto e quando tutto ciò avviene alla presenza della musica, che io considero
la più alta forma di guarigione per la nostra anima, ritengo che il risultato
sia garantito.
Direi che non sia possibile trovare una spiegazione logica a tutto
questo. Non direi neppure che sia
o una cosa o l’altra, bensì magari una cosa e l’altra. Oppure meglio ancora, nulla di tutto
ciò. Penso che vi sia un tempo
per ogni situazione e per ogni accadimento che ci riguarda. Siamo immersi in un flusso eterno e
tutti percorriamo le stesse strade o meglio la stessa corrente dello stesso corso d’acqua. Ognuno ha un punto dove approdare e
non sempre siamo in grado di stabilire noi quale sia il momento più giusto per
fermarsi e proseguire magari il nostro percorso sulla terraferma. Il ritorno
alla sorgente è comunque l’unico e vero scopo della nostra esistenza. Per cui posso dirti che non mi
rammarico di nulla. Nei lunghi
anni che ho vissuto fino ad ora nell’universo della musica, ho operato delle
scelte. Ho avuto molte occasioni per diventare, per così dire, famoso. Pucci Cochis, batterista dei J.E.T.,
mi offrì l’opportunità di diventare il batterista di un nuovo gruppo che andava
formandosi, ma io sapevo che la mia strada era diversa. Il gruppo erano i Matia Bazar, ma io
ero al momento troppo impegnato nel mio nuovo progetto con Celeste ed il mio
proposito non era certo quello di restare batterista per tutta la vita. Come spesso mi trovo ad affermare a me
interessa la musica, non sono attratto dalle canzoni o dalle canzonette.
Peraltro rispettando tantissimo chi riesce a scrivere belle canzoni. Per cui nessuna colpa né del mondo del
business né di eventuali terzi, semplicemente ho sempre seguito la voce del mio
cuore e cercato di perseguire la mia gioia e la mia pace interiore.
Mi hai raccontato del tuo amore iniziale
per certa musica “dura”, del tuo “passare mesi” a ripetere i passaggi di Mitch Mitchell, ascoltando Hendrix. Come e
quando è avvenuto il cambio di percorso, da batterista
rock e poi prog, sino al tastierista e sperimentatore classico che sei
diventato?
Il cambio è avvenuto nel momento di passaggio dall’esperienza
con Il Sistema a quella con Celeste. Ho sentito l’esigenza di iniziare ad approfondire,
pur restando un percussionista, e di sapere molto di più riguardo alla lettura,
allo studio di altri strumenti. Già nel periodo con
il Sistema ero arrivato ad un passo dal diplomarmi in flauto traverso. In
seguito avevo anche dedicato un anno e mezzo allo studio dell’oboe, uno dei
miei strumenti preferiti. Da quel momento lì in poi sentii forte l’esigenza
di saperne di più sullo studio del pianoforte, non
tanto per divenire un buon pianista bensì per avere coscienza sempre maggiore
delle possibilità espressive dello strumento e per acquisire sufficiente
padronanza nella scrittura. Scrittura che comunque era di là da venire e dal
manifestarsi. I miei processi di integrazione sono sempre molto
lenti. Fino ai miei ultimi approcci con le lezioni di direzione d’orchestra,
finalizzate però nel mio caso, al poter dirigere i musicisti che interpretano i
miei brani durante i concerti. Non certo per divenire un padrone del podio ed
affrontare autori classici o
quant’altro. Non è la mia storia.
Tra le tante etichette che si
possono attribuire alla tua musica attuale, il primo aggettivo che mi viene in mente è “colta”. Nel mio
concetto di “musica- cultura”, inserisco tutto ciò che non è di semplice composizione,
realizzazione e ascolto, ma è frutto di studio, applicazione, ricerca e coraggio. La
musica prog in senso lato, è per me musica colta.Questo significa però creare
prodotti di nicchia, e per chi vuole vivere di musicanascono problemi di tipo
pratico, legati alla poca visibilità e alle scarse vendite.Qual è la tua
“tavola dei principi fondamentali” che consegneresti a un giovane fortemente
motivato a seguire la via della musica di qualità, e non i festival di Sanremo?
Molto semplicemente
consiglierei a questo ipotetico giovane di non trascurare lo studio di uno strumento
dal quale si senta attirato in modo speciale. Lo aiuterà ad esprimere la parte
più profonda della sua anima. In seguito curare anche lo studio del pianoforte
che lo aiuterà, in caso di interesse verso la composizione, di essere in grado
di padroneggiare la varia tavolozza dei colori che potrà avere a disposizione.
Rileggendo le tue note relative a
”L’isola”, si apprende come ad un certo punto sia natal’esigenza di rivedere il
lavoro in chiave più “terrena”. Riprendere in mano qualcosa di già
concluso e soddisfacente, musicale o letterario,deve avere forti motivazioni
che esulano dall’aspetto tecnico, ma sconfinano nel trascendente. E’ una chiave di lettura
sbagliata la mia?
Assolutamente
corretta la tua osservazione. Ritengo che una qualsiasi opera dell’ingegno e
della creatività non sia mai conclusa. Sono certo che nessun autore o
compositore o scrittore sia totalmente soddisfatto di una sua creatura. Semplicemente ad un
certo momento bisogna stabilire che è finita, che ha assunto la forma definitiva. Ma spesso si
vorrebbe rimettervi mano. In fondo l’apporto stesso di chi ascolta un brano
musicale o si pone alla contemplazione di una qualsiasi opera d’arte od alla
lettura di un libro o di una poesia, ne modifica con la propria sensibilità sia
la sostanza che la forma.
La musica che ci circonda nel
quotidiano è quasi sempre accompagnata da un testo. Io, salvo rari casi, non ho mai
attribuito particolare importanza ai messaggi “sonori”, e non credo sia un caso se, sin
dall’adolescenza, ci siamo innamorati di musica di cui non capivamo una parola. Riesci a spiegare l’iter compositivo che
scaturisce dalla contemplazione paradisiaca della natura, o dalla necessità di
raccontare un particolare stato d’animo o sentimento, senza utilizzare le parole?
Sono solito fare
una distinzione, che spesso mi procura critiche e che, mi rendo conto, può
apparire poco simpatica. Amo separare la definizione di musica da quella più
generica di canzone. La musica è per me la musica strumentale, quella
che non ha bisogno di parole per esprimere sé stessa ed i suoi contenuti. La
musica intesa appunto come strumentale lascia l’ascoltatore completamente
libero di interpretare e divenire così co-creatore e ri-creatore, secondo la
sua sensibilità. La musica a sua volta nasce ad imitazione della
natura, lo diceva anche il caro Lucio Antonio Vivaldi, per cui è il suono della
natura che costituisce il vero fondamento della nostra ispirazione. A proposito di
quanto sia evocativa la musica intesa come musica strumentale e di come ognuno
sia libero di interpretare secondo il proprio sentire ed il proprio cuore ti
riporto questo piccolo episodio che è particolarmente indicativo di questo
processo. Anni fa, ma poi l’ho ripetuto in altre occasioni,
ho chiesto ad alcune persone di ascoltare lo stesso brano di un mio album. In questo caso si
trattava di “El Mundo Perdido” tratto da Far East. Avrebbero dovuto
poi riportarmi le loro impressioni sia emozionali che eventualmente “visive”.
Fui molto colpito dal fatto che due persone in particolare mi riferirono di
avere avvertito due sensazioni diametralmente opposte. Una aveva vissuto
l’ascolto come l’essere presente sulla sommità di una montagna altissima,
innevata carica di silenzio con un profondo senso dell’infinito. L’altra, viceversa,
disse di avere avuto la percezione di trovarsi nelle profondità di un vasto
oceano. Questo la dice lunga sulle possibilità che le
nostre capacità interpretative, filtrate dalla nostra sensibilità, hanno nel
saper creare e vivere differenti emozioni.
Un amico musicista, mi
diceva proprio ieri, con confortante certezza, di come chiunque possa prendere uno strumento in mano e,
con passione e sacrificio, riesca ad arrivare a esprimere cose positive. La creazione della musica è davvero alla
portata di tutti?
Anche questa è la
mia opinione. Qualsiasi creatura che decide di tornare a vivere
sul nostro meraviglioso Pianeta, arriva già cosciente delle sue possibilità. E
queste possibilità sono infinite per chiunque. Sta a noi operare delle scelte,
ma dentro di noi sono presenti tutte le memorie, per così dire, per poter
suonare, cantare, scrivere musica. L’apprendimento e la pratica musicale non
sono altro che un processo di attivazione del ricordo. Noi arriviamo e siamo
già pronti. Chiunque può essere Beethoven: deve solo avere il
desiderio di divenirlo.
Sei alla ricerca di materiale legato a
quel festival di Loano, dove arrivasti primo colgruppo “Il Sistema”. Al di là
della documentazione esistente, quali sono i tuoi ricordi di quei giorni?
Quello fu davvero
un periodo esaltante. Nessuno di noi aveva la piena coscienza della portata di
ciò che andava delineandosi sotto i nostri occhi. Tutto era un
fermento creativo. Non vi erano limiti a ciò che si poteva concepire.
Mi racconti di una tua collaborazione
internazionale che ti ha particolarmente gratificato?
Qui devo purtroppo
deluderti. Potrei mentirti raccontandoti chissà quale meravigliosa, ma
fantasiosa avventura o collaborazione. Pur avendo suonato con moltissimi
musicisti, questi sono quasi tutti italiani.Posso solo dirti che per qualche
settimana nel 1970, se non vado errato, quando militavo nel Sistema, dividemmo
lo stesso palco in un locale di Sanremo che si chiamava Galassia con un gruppo
inglese il cui nome era Pawn Shop. Fin qui nulla di speciale. Il fatto è che il
batterista era un diciottenne che si chiamava Bill Bruford. Ma non possiamo
certo parlare di collaborazione.
Mi hai anticipato qualcosa a
proposito dei tuoi progetti. Cosa puoi dire ufficialmente
dell’imminente futuro di Ciro Perrino?
Posso dirti che ho
già da tempo ultimato la composizione di quello che sarà il mio prossimo
progetto. Non si discosterà di molto dalle atmosfere
dell’ultima versione de “L’isola”. Ho ampliato
l’organico in quanto il duo costituito da violoncello e contrabbasso è ora
divenuto un quintetto di archi a tutti gli effetti, e la varietà timbrica ed
espressiva del quintetto di fiati ora si è arricchita con la presenza, seppur
in pochi episodi, di una tromba e di un trombone. Sono ritornato alla
formula che tanto amo della scrittura di piccole suite dal sapore sinfonico,
alternata a brevi momenti dove tutto pare calmarsi e ridimensionarsi. Inoltre coltivo da
anni l’idea di poter un giorno pubblicare un album di solo pianoforte. Ho una forte
resistenza ad ammettere con me stesso che il lavoro di composizione è finito. Ma vorrei che
l’impatto, prima di tutto su di me e poi in chi si troverà ad ascoltare, sia
solamente di natura emozionale e non di valutazione tecnica, sulla bontà o meno
dell’esecuzione o validità dei contenuti.
Biografia
Nel 1972 fonda Perrino CELESTE, giocando una gran parte acustico, delicato e
sognante musica progressive con testi pastorale e uno stile non lontano dalla
parte più morbida dei primi King Crimson per l'uso del mellotron. Il loro album
PRINCIPE DI UN GIORNO (Principe per un giorno) registrati nel 1974, ma non
pubblicate fino al 1976, rappresenta uno dei più ricercati dai collezionisti di
dischi vinili, nonché una base fondamentale di ispirazione per tutti quei
musicisti della nuova generazione interessato alla musica sinfonica. Perrino
continua la sua carriera artistica attraverso la sua intensa attività, che lo
porta alla sperimentazione di nuove forme di musica connessi all'utilizzo di
strumenti elettronici giocare con St.Tropez, COMPAGNIA DIGITALE e SNC. Nel 1980
il SOLARE album viene pubblicato. Questo album strumentale si compone di otto
pezzi musicali, ciascuno dedicato ad uno dei pianeti del nostro sistema solare,
in uno stile non lontano da quello che Jean Michel Jarre sta facendo in quel
momento con il suo famoso Oxygene. Dopo un periodo di dieci anni torna sul Perrino scena musicale con il suo nuovo
album in Estremo Oriente. I brani di questo album, ispirato dalla sua
concentrazione sul Buddismo in suo patrimonio culturale e religioso contesti
più ampi, a raggiungere un elevato livello di suggestivamente anche per l'uso
creativo di strumenti elettronici. Giardino interno segue nel 1992 e Perrino trova here fonti d'ispirazione da
scrittori contemporanei come pure i ricordi dalla musica italiana del XVII
secolo. L'album è accolto favorevolmente dal pubblico e dalla critica in tutta
Europa, dove è distribuito in quasi tutti i paesi membri, nonché negli Stati
Uniti e in Giappone. Alla fine del 1994, il MOON nuovo album in acqua è uscita, un ulteriore passo
avanti verso l'obiettivo finale del suo autore: la sintesi tra musica classica
e forme della musica moderna. Per la musica Perrino ha il ruolo di essere un
tramite, un ponte tra gli elementi dell'essere umano in senso ontologico, e il
suo lato divino e spirituale. La musica è sempre in grado di elevare, a
svegliarsi, di esaltare e di calmare le anime degli esseri umani, portando loro
un senso di pace e di profondo benessere, per la musica è un mezzo di
comunicazione con il divino. La musica strumentale, in tutti i suoi album, ma
in particolare in Moon In acqua, si trova in una posizione privilegiata per
quanto riguarda la parte spirituale degli uomini che è praticamente espressione
diretta. All'inizio del 1998, De Rerum Natura viene fuori. Un lavoro di grande spessore,
sia dal artistico / punto di vista tecnico e per il suo impatto emotivo
importante. Perrino Le composizioni per pianoforte si distinguono per la loro
sensibilità e la passione; e delicato pezzi da sogno che lasciano l'ascoltatore
con un senso soddisfatto di calma e benessere. Dopo una pausa di quattro anni, da una visita ad una piccola isola vicino le
grandi città del Lombardia al nord Italia, Perrino è profondamente colpita da
un percorso strano che circonda le mura di un monastero di Isola S. Giulio. E
dato che (citando il compositore) "La musica ricorda i suoi paesaggi e io,
come sempre, diventano il mezzo, dopo tutta la musica che esisteva già ...- ho
lavorato sul layout di venti piccoli eventi musicali che io amo definire la
paesaggi dell'anima ... " ogni epigramma diventa quindi una composizione,
per un totale di una ventina di pezzi che, con la disposizione orchestra
sinfonica, è uscito nel 2002 per l'album L'isola, un nuovo capitolo nella
storia segreta di una delle poche oasi di riflessione e di austerità a sinistra
in una delle zone più stressante d'Italia. L'album è pubblicato anche con un
diverso artwork totalmente da un'etichetta inglese, che distribuisce anche
negli Stati Uniti ei paesi dell'Estremo Oriente. Inizialmente la scelta di una orchestra sinfonica si rivela perfetto per
utilizzare tutti i colori della tavolozza timbrica che solo una disposizione
classica può fornire: intere sezioni di archi e strumenti a fiato, la presenza
di un soprano e un contralto per interpretare alcuni dei temi vocali
appropriate, con una imposizione a metà strada classica e moderna. Anche se Perrino è pienamente soddisfatto del risultato finale, comincia
lentamente a formare l'idea e il desiderio di rileggere il brano in un altro
tasto. Sempre per citare l'autore "Ho scoperto che la cosa mi mancava di
più era un tocco terrena, quasi come se la" carnalità "della musica
mancava - che è uno degli elementi importanti necessarie per esprimere noi
stessi. Ho eseguito innumerevoli esperimenti e, infine, giunta alla conclusione
che, eliminando la maggior parte della sezione d'archi mantenendo solo il
violoncello e il doppio contrabbasso, rafforzando il lato percussione e ad
esplorare i ritmi inespresse della prima versione e, infine, aumentare la
presenza di la voce umana nel display melodico , l'intera isola sarebbe stata
riportata a terra, quindi togliere dal cielo abbraccio ". Ed ecco che nel
2006 la pubblicazione di questa nuova versione di L'ISOLA. Un album che mantiene
non solo il titolo, ma anche le composizioni di quello precedente, ma in un
certo modo, include l'altra metà del cielo: il primo album con la sua visione
eterea e la seconda versione con la sua visione più earthly. Le melodie
riscoprire la loro essenzialità delle prestazioni del musicista ensemble di
dodici e diventare ancor più "centrata", grazie alla presenza della
sezione di percussioni, una forza trainante nella concezione e sviluppo dei
pezzi. In questa versione è molto più facile sentire l'eco dei compositori
amati da Perrino, dalla musica medievale al barocco, dal romanticismo russo
agli scrittori moderni.