Marcello Chiaraluce – When the Dollhouse Burns
(Guit-AL Records)
Quando Marcello Chiaraluce mi ha annunciato l’uscita
del suo nuovo album gli ho subito chiesto una sorta di sinossi lirico-musicale
e la sua risposta è risultata particolarmente intrigante: “Ciò che posso raccontarti potrebbe essere considerato come… flusso di
coscienza. Ci sarebbe molto da dire sui testi, mentre la musica è volutamente
“semplice” rispetto alle altre mie produzioni, proprio per dare più spazio e
visibilità alle liriche.
Sono stati anni
di profonde riflessioni, amori bellissimi e devastanti, e ho voluto che tutto
rimanesse impresso nel disco”.
Riavvolgiamo il nastro, prima di proseguire
con lo scambio di battute tra me e Marcello.
"When The Dollhouse Burns" è il terzo album
solista di Marcello
Chiaraluce,
chitarrista e cantautore rock
alessandrino che conosco da molti anni e che ho avuto modo di ascoltare dal
vivo in svariate occasioni, accanto ai grandissimi del rock mondiale, ma anche
nei suoi progetti autonomi, cambiati nel tempo, come lui stesso racconta.
L’album contiene dieci tracce originali in lingue
inglese, da lui scritte e prodotte per la sua etichetta Guit-AL Records.
Ancora una volta l’idioma espressivo scelto è
quello inglese, che più si addice alla musica rock, e Chiaraluce appare
maggiormente a suo agio in questo ambito rispetto al passato. E’ questa
un’evoluzione importante vista la premessa, quel dare rilievo assoluto al
messaggio “relegando” l’essenza musicale ad apparente sottofondo, rivolgendo la
ricerca alla formazione di una solida base sonora, quadrata e potente, scevra
da orpelli, perché ogni spazio va coperto con i contenuti, i messaggi, le idee,
che sono somma di esperienze passate e di una visione della vita che va progressivamente
modificandosi.
Il concetto di “entropia” sottolineato a
seguire da Chiaraluce, inteso come rappresentazione del “disordine”, presuppone
un altro principio che arriva a ruota, quello dell’equilibrio, elemento a cui
si tende in via del tutto naturale, una necessità che influenza il nostro
quotidiano e quindi presente anche nelle espressioni artistiche.
Il “balance” di “When The Dollhouse Burns” è perfetto per il vissuto attuale di Chiaraluce
- almeno questo è ciò che appare -, e gli esercizi funambolici e la virilità
strumentale di un tempo appaiono accantonati a favore dell’organicità
progettuale e di un obiettivo finale che non prevede narcisismo musicale, e
anche quando l’assolo impera appare più come atto funzionale al momento
piuttosto che dimostrazione di forza, tipica del “Guitar Hero” che emergeva nel
lontano album “On A Winter Walk”, disco
di esordio del 2007.
E anche l’utilizzo della
chitarra va visto pensando al concetto di equilibrio, a quella perfetta
convivenza tra la palese importanza dello strumento nell’economia del disco e l’allontanamento
della tentazione di dare evidenza alla skill, il tutto a vantaggio del pensiero basico che ha portato alla
creazione di “When The
Dollhouse Burns”.
Il rock dell’attuale Marcello
Chiaraluce è sintesi di certi amori giovanili, quelli che in alcune occasioni
si cerca magari di nascondere, ma che nel momento della maturità diventano
motivo di orgoglio. E così ci si può ritrovare nel post-punk di “Angels”, nel vivo degli anni ’80 con “Just A Country Way To Say I Love You”, nel
Britpop di “Hard songs, Angry Hearts”, “When
the Dollhouse burnes” e “Sweetest
Lullaby”, nel ricordo di Tony Hadley con “Jewelry Room”, con una spruzzatina di EW&F (“Old Party Ghosts”) e un po’ di Real Rock
(“Trush” e “Talk to me”).
A concludere il contenitore
la splendida e strumentale “Nefertari”,
che riesce a “parlare” come è più dei nove episodi precedenti.
Le comparazioni
infastidiscono sempre i musicisti, così come le rigide etichette, ma il mood
dell’album richiedeva un minimo di contorno “esogeno”, mentre per l’obiettività di intenti leggiamo il
pensiero dell’autore.
Ecco
cosa mi ha raccontato Marcello Chiaraluce…
Marcello,
partiamo dal titolo dell’album…
Il titolo
dell’album lascia intendere il leitmotiv di tutte le composizioni: la casa
delle bambole rappresenta ciò che cerchiamo di controllare nel dettaglio, ciò a
cui vogliamo imporre la nostra volontà con la presunzione di sapere cosa sia
meglio o peggio per qualcuno o qualcosa. Quando questa casa brucia… le nostre
certezze vanno in cenere. A quel punto subentra l’entropia, una grandezza
fisica che rappresenta il disordine, ma che spesso non inseriamo nelle nostre
equazioni giornaliere quando affermiamo/sognamo… “staremo insieme tutta la vita”, “con questo lavoro mi pago la pensione”, “questa casa la lascerò ai miei figli”, ecc. Il cambio di tutte le
carte della mano però, può rivelarsi un’occasione per chi riesce a non andare
in depressione. Se la vita viene vista come un percorso, pensando a qualcosa
come Siddharta di Herman Hesse, possiamo vivere tante vite e non una sola. La
vera reincarnazione avviene in vita e non dopo la morte.
La musica può
raccontare tutto questo?
Un disco rock non
può e non deve avere la presunzione di poter esprimere un concetto così
difficile, ma può sempre accennare ai vizi della società e mettere in luce
situazioni che viviamo tutti e che abbiamo paura ad ammettere.
Entriamo meglio
nel contenuto…
Denuncia sociale
e… amore, cioè la forza attraverso la quale si muove tutto, e questo “tutto” è osservato
dai suoi lati più spigolosi, perché l’uomo riesce a vederlo da una sola prospettiva
alla volta. Così si parla della fine di una storia, dei rapporti lui-lei e
l’altro e dell’amore non corrisposto: discorsi che sentiamo tutti i giorni
mentre la radio ci racconta di quanto sia bello il Sole e il Mare. Cito un
verso di Manlio Sgalambro in un brano di Franco Battiato, “Strani Giorni”: Ascoltavo ieri sera un cantante, uno dei tanti e
avevo gli occhi gonfi di stupore, nel sentire “il Cielo azzurro appare limpido
e regale”, il cielo a volte invece ha qualche cose di infernale! In questo
verso è contenuto quel rovescio della medaglia, quella contraddizione insita
nell’uomo quando vive le cose belle e tende a sporcarle: questo è il concetto
che ha dato vita all’album.
Cosa mi dici
della parte strettamente musicale?
Dal punto di
vista musicale c’era una volontà di tornare all’essenziale.
L’album
precedente, “Crime of the Rhyme”, era
iper prodotto, con una band di otto elementi e arrangiamenti barocchi. La
Marcello Chiaraluce Band era arrivata ad esibirsi persino con coriste,
orchestra da camera, ospiti illustri… avevamo un pò perso di vista il
divertimento e la continua ricerca per superarsi stava diventando dannosa per
la creatività. Questo album invece è stato fatto da un trio di musicisti che
prima di tutto sono amici nella vita. Come una vera e propria garage band, abbiamo
scritto, arrangiato e provato i brani nella saletta prove con l’unica volontà
di fare musica. Arrangiamenti essenziali, chitarra, basso e batteria e focus
sui testi. Ne risulta una musica più grezza, aggressiva, diretta e senza
fronzoli inutili e con tanta chitarra.
Come si è evoluto
il tuo ruolo all’interno del progetto?
In questo album sono
tornato soprattutto a suonare la chitarra e a proporre lunghi assoli, riff
potenti e un sound meno noto della mia tavolozza, quella componente AOR e
new-wave di fine anni ‘70, inizio ‘80, che ha influenzato i miei ascolti
giovanili.
L’album termina
con un brano strumentale…
Sì, il primo da
me registrato, dal titolo NEFERTARI.
È un brano diverso da tutti gli altri e ha delle componenti di musica
contemporanea e fusion, una composizione che chiude il capitolo WHEN THE DOLLHOUSE BURNS, ma lascia
aperta la porta della mia curiosità, quella caratteristica che mi porta sempre
alla ricerca di nuove strade musicali.
Nel disco hanno suonato: Marcello Chiaraluce - voce, chitarre - , Luca Grosso - batteria - , Luca
Ogliaro – basso.
Laddove necessario è intervenuto Massimo Rumiano con Organo Hammond,
Wurlitzer, Piano Rhodes e tastiere.
La
registrazione è stata realizzata da Claudio
Cattero nello studio Manifatture Musicali di San Didero (TO).
Il
disco è disponibile su tutti i principali digital store e presto anche in copia
fisica.