mercoledì 16 marzo 2011

Labirinto di Specchi-“Hanblecheya”


Credo che l’opinione di un “non addetto ai lavori” come io sono, il pensiero di un mero amante della musica, ma non professionista, trovi una buona valenza essenzialmente in due punti:
1)Giudizio esterno da semplice osservatore: il “non addetto ai lavori” è fondamentale in ogni gruppo di lavoro, perché non condizionato dalla necessità di conformarsi, e con la licenza di dire qualche sciocchezza, perché tra le tante si può nascondere una buona chiave di lettura.
2)Non dovendo “correre”, non dovendo presentare il proprio sforzo ad un datore di lavoro, si ha il tempo per approfondire, e quello che normalmente si può scrivere in venti minuti, lo si fa in una settimana, o forse più, e questo permette di avere molti dettagli a disposizione. Considero tutto questo un buon aiuto per alimentare la curiosità di chi si avvicina ad un nuovo gruppo o ad un nuovo album.
Però… questo “Hanblecheya”, del Labirinto di Specchi, mi ha portato a qualcosa di più articolato del solito, e a un incontro importante, necessario per entrare nello spirito dell’album.
Una delle caratteristiche di questa proposta è rappresentata dalla narrazione dei testi, e il narratore è Paolo Carelli, che in questa occasione ha riproposto lo stile utilizzato con i Pholas Dactylus, nei lontani anni ’70.
Ma chi è Paolo Carelli e come è nata la collaborazione tra lui e la band, lo si può desumere dall’intervista a seguire e da quella fatta giorni fa a Paolo, e credo che i due post possano essere considerarti complementari:
Paolo, seguendo le indicazioni del LDS, ha “firmato” una lirica, e ha poi interpretato quelle realizzate dal gruppo.
Quindi… partendo da un CD di un gruppo per me sconosciuto, sono arrivato all'interpretazione (è un tentativo, ovviamente) del suo pensiero (entrare in sintonia con dei giovani è di per se una grande gratificazione) e mi sono avvicinato al mondo di un artista anticonformista, che ha lasciato un segno nella musica prog italiana, ancora indelebile dopo quarant’anni.
Hanblecheya” letteralmente significa “piangere la visione”, e sono appunto le visioni che guidano questo lavoro concettuale, questo “viaggio tra le immagini e lo spirito”.
Il tipo di comunicazione che guida LDS supera decisamente l’elemento musicale.
Nella testa di milioni di persone, esistono delle canzoni, dei motivi da ricordare, e la parola musica diventa sinonimo di intrattenimento, di momento in cui non è bene “pensare”.
Il viaggio di “Hanblecheya”, non ha niente a che vedere con tutto questo, ma riguarda qualcosa che conosco bene, che è una mia necessità, ma che mi sorprende sia anche quella di persone agli inizi della vita. La trasformazione in musica delle “visioni”, delle immagini, degli stati d’animo, degli odori e dei colori è un esercizio a cui sarebbe bene, ogni tanto, aderire. Ma non è una strada a senso unico perché lo stesso esercizio potrebbe essere fatto al contrario, “disegnando” la musica, scolpendola o scrivendola… facce della stessa medaglia.
Apparentemente sto andando fuori strada, ma lo faccio in piena coscienza, perché è doveroso far sapere ai componenti del LDS, e magari anche a Paolo Carelli, che le loro “pictures” mi hanno fatto riflettere, mi hanno portato a trovare similitudini e hanno alimentato la mia voglia di “giocare con le carte che conosco”, condividendo il mio gioco con chi immagino lo possa comprendere. E se è successo a me, potenzialmente può accadere molti altri … sensibili d’animo.
Musica come singolo elemento di un disegno più complesso, musica non alla portata di tutti, ma di estrema ricercatezza. Per chi ama le atmosfere e le trame prog è tanta manna dal cielo.
Accanto agli strumenti tradizionali, necessari alla realizzazione delle sonorità tipiche del genere, il tocco in più deriva dall’utilizzo del violoncello e del “narrato” (anch’esso strumento) già citato di Carelli.
Il filmato a seguire sarà esemplificativo del mio pensiero.
Un accenno alla copertina del CD. La perdita del vinile ( ma ormai è nuovamente alle porte di casa) ci ha tolto una parte importante del piacere. Le dimensioni del “nuovo” formato, nonostante velleitari tentativi, sono un impedimento oggettivo ad un utilizzo pieno ma, quel poco che il CD contiene occorre metterlo in risalto. In un album dove l’immagine è fondamentale anche le visioni apocalittiche di “Hanblecheya” colpiscono e credo che sarebbero un facile stimolo per creare un'altra storia, un altro viaggio.
A questo punto la sana curiosità spingerebbe a valutare gruppo e album in fase live, perché il contatto diretto è quello serve, almeno sporadicamente. Ma in questo caso vedo difficile la “riproduzione fedele”, quasi mai utile, ma con elementi comuni che non possono mancare. Per realizzare performance live, l’elemento “narrazione” dovrebbe scaturire da un compromesso (da un mero punto di vista logistico) tra il gruppo e Carelli e non mi pare cosa semplice.
Un bell’album, un lavoro sorprendentemente “maturo” per essere un’opera prima.
Forse il segreto sta proprio nelle parole di Carelli che, descrivendo i membri della band dice:
Sono tutti studenti, molto giovani, e nei loro occhi ho visto una luce, che significava “voglia di creare”… davvero bello da vedere.
L’intervista
Leggendo la vostra biografia mi ha colpito un aspetto che ritrovo con una certa frequenza nella musica dei “nuovi” gruppi con cui vengo a contatto. Mi riferisco alla necessità di esprimersi non solo attraverso la musica, ma utilizzando diverse forme di arte che vanno poi a formare un corpo unico. Da dove nasce, in linea generale, questa esigenza di creare situazioni musicali utilizzando differenti aspetti culturali?
La musica è una forma d’Arte e come tale va unita alle altre forme d’Arte esistenti. Soprattutto nel periodo del post modernismo (quindi attualmente) l’Arte è divenuta qualcosa di totale ed incerto: è difficile trovare un pittore o uno scultore nel senso semplice del termine. Abbiamo assistito ad un’evoluzione, ad una rapida e quasi completa fusione delle diverse discipline artistiche a un livello così concettuale, che spesso è difficile distinguere un opera d’Arte da qualcosa che non lo è. Potremmo per esempio rispondere a questa intervista con precise parole e suoni e fare di tutto questo una performance, cioè una forma d’Arte. Noi come musicisti vogliamo trascurare una concezione di musica come mero intrattenimento, recuperando invece una dimensione prettamente artistica. Intendiamo cercare un livello comunicativo diverso, che non stagni nella musica ma trasmetta dinamicità, creando un'esperienza totalizzante. Ed è quello che abbiamo fatto alla presentazione di Hanblecheya: con l'allestimento di due installazioni, abbiamo creato un viaggio, un percorso di ricerca della Visione, intesa qui, non in termini esoterici, bensì come uno stato mentale in cui venga spontanea l’associazione di immagini, ricordi, pensieri e stati d’animo. Per poter trasmettere questo, un approccio olistico al fare Arte risulta inevitabile.
La vostra musica non è di semplicissima “presa”, direi di elite, non nel senso snob del termine, ma intendo non assimilabile da tutti. L’impressione è che non ci sia un solo sguardo verso la visibilità del “prodotto” (brutto termine…) e ogni sforzo sia rivolto alla qualità e al piacere di creare musica secondo il proprio credo. Esiste secondo voi un compromesso tra i “nobili” principi che possono guidare i musicisti di una band e l’esigenza di mercato?
Porsi lo scopo di raggiungere un compromesso, in questi termini, rappresenta già un tentativo di vincolare la creatività e lo spirito di un gruppo come il nostro. Questa attitudine non vuole risultare “integralista”, ma è dettata dalla concezione di un prodotto artistico totalmente disinteressato ad esigenze che vanno aldilà della semplice e pura fruizione di Arte. Troppo spesso il mercato è lo strumento che uccide l'Arte. La purezza dell'Arte non dovrebbe avere nulla a che fare con il denaro, sporco e disonesto.
Quanto conta in questo senso lavorare con Lizard?
La Lizard è sicuramente una grande realtà in cui i gruppi sono liberi di dare libero spazio alla propria creatività senza alcuna restrizione. Difficilmente chi prova a proporre qualcosa di nuovo, rivoluzionario e radicale (seppur noi non siamo né radicali né tanto meno rivoluzionari) riesce a trovare spazio nel mondo in genere e, nel caso i questione, nel mondo musicale, oramai dominati da logiche quasi esclusivamente economiche. Con la pubblicazione di Hanblecheya, la Lizard ci ha poi permesso di ampliare i nostri orizzonti e di farci affacciare sulla scena nazionale, uscendo dai limiti e dalla sterilità (musicalmente parlando) della nostra zona, quella del senese. L'unico effetto collaterale della nostra collaborazione è la lontananza geografica, che ci obbliga a dover comunicare esclusivamente per via telematica (eccetto un paio di incontri che abbiamo fatto) e in tal senso fa mancare un po' di calore umano. Ma ormai noi così come (credo) Loris, ci siamo abituati alla cosa.
Come nasce la vostra musica? E’ la raccolta di idee elaborate singolarmente o è la forza del gruppo che fa scattare le differenti scintille?
L’idea da cui parte un brano dei LDS è opera dei singoli componenti del gruppo (soprattutto del chitarrista Gabriele Marroni). Partendo quindi da un nucleo centrale, ciascuno sviluppa la parte relativa al proprio strumento, influenzato dalle emozioni che sono suscitate. Tutto ciò avviene comunque in maniera spontanea durante le prove del gruppo.
Come nasce la vostra collaborazione con Paolo Carelli e qual è il suo valore aggiunto dal punto di vista della composizione?
La collaborazione con Paolo nasce da un'idea di Loris Furlan della Lizard. Sulla base del tema portante dell'album, quello della Visione, noi avevamo realizzato i testi che sarebbero poi entrati a far parte di Hanblecheya (eccetto il testo del brano “Nel nulla etereo soggiogato dall'ignoto la mente si espande” realizzato invece da Paolo) ma semplicemente non avevamo chi potesse recitarli. Vista la grande esperienza Visionaria di Paolo nella narrazione, manifesta nell'album “Il Concerto delle menti” dei Pholas Dactylus, chi più di lui non avrebbe fatto al caso nostro? I problemi più grandi erano legati alla sua lunga inattività e alla sua volontà di voler collaborare o meno al nostro progetto. Per noi, la sua collaborazione e il suo incontro sono andati oltre l'aspetto musicale. L'emozione nel conoscere una persona di grande spessore artistico e soprattutto umano quale è Paolo, è difficilmente descrivibile. E in tal senso dobbiamo ringraziare Loris che ha permesso tutto ciò. Inoltre è chiaro che collaborare con un pezzo di storia del Progressive Italiano come Paolo, ci ha consentito di avere più visibilità (anche vista la sua lunga assenza da scene ufficiali).
Esiste un riferimento musicale del passato che sia comune denominatore di tutti voi?
No non credo, ci possono essere gruppi del passato che ascoltiamo, ma nessuno di questi in realtà è un punto di riferimento. Essendo onnivori musicalmente parlando ed essendo aperti a qualsiasi genere musicale, anche nelle sue varianti più “estreme”, prendiamo spunti da molta musica. Gli influssi maggiori comunque partono da una matrice progressive classica (scena di Canterbury e scena italiana) e sue varianti contemporanee (Tool, Porcupine Tree, Isis), per poi confluire in forme di alternative-rock, come il post-rock (65daysofstatic, My Sleeping Karma, Mogwai, Neurosis) o il noise-rock (Zu, Morkobot), senza trascurare la scena acustica (Balmorhea).
Rifacendomi all’esperienza personale, non trovo niente di razionale che riesca a motivare le mie scelte e i miei amori musicali. Si ride e si piange per dei suoni che riescono a dominarci senza che ci si possa ( o ci si voglia) ribellare. Qual è secondo voi il “mistero della musica?”
La caratteristica che differenzia enormemente la musica dalle altre Arti risiede nella sua capacità di trasportare in sensazioni e momenti trascorsi in una maniera così spontanea e fulminea che si potrebbe paragonare alla percezione di un odore. Questa suo rapporto diretto ed elementare con la mente, prevarica i cancelli della razionalità, cosa che, invece, spesso non accade davanti ad un quadro, o ad una scultura, per la cui fruizione diventa necessario il ragionamento. La vaporosità, l’inconcretezza, la musica è suono e il suono è metafisica. Il nostro da quando nasciamo è un universo sonoro, il primo stimolo che abbiamo quando siamo feti è uno stimolo sonoro, intere civiltà hanno racconti sulla creazione che mettono il suono al principio di ogni cosa, basti pensare al Cristianesimo stesso: “in principio era il verbo”. La musica è suono pensato (anche quando è aleatoria, perché è volutamente musica), e per questo è capace di “parlare” e toccare in profondità coloro che l’ascoltano.
Qual è il vostro rapporto con l’innovazione tecnologica, applicata alla musica?
Molti dei sounds caratteristici dell’album derivano dall’uso di dispositivi, analogici e digitali, frutto delle nuove tecnologie elettroniche. Crediamo molto nelle potenzialità che tali tecnologie possono offrire a questo genere di musica, sia per la varietà di soluzioni che garantiscono, sia per il grande divertimento che si prova nell’utilizzarle. Ma purtroppo ancora non abbiamo costruito nessun computer musicale iper-sensibile alle onde celebrali, anche se i nostri ingegneri ci stanno lavorando.
Cosa regala e cosa toglie il web a un musicista, giovane o antico?
Nel suo democratizzare l’informazione, il web ha coinvolto anche la musica. I vantaggi che un musicista può trovare in termini di visibilità, spunti, approfondimenti sono molteplici. A un musicista toglierebbe poco se il suo obbiettivo fosse solo quello di essere ascoltato. Se entriamo invece nelle dinamiche puramente commerciali, è chiaro che, a causa del download di brani, il web è una piaga per i musicisti professionisti che basano il loro reddito sui ricavi di un disco. A testimonianza di ciò, il fatto che molti gruppi di major stanno iniziando ad abbassare il prezzo dei propri cd al fine di incentivare le vendite.
Come immaginate l’evolversi del vostro percorso musicale nei prossimi cinque anni?
Ad oggi, speriamo di poter continuare su questa strada, magari con un secondo progetto e soprattutto con più concerti.




BIOGRAFIA LABIRINTO DI SPECCHI
Labirinto di specchi è un progetto nato nel 2005. L'intento iniziale era quello di scostarsi dai comuni canoni musicali che la maggior parte dei gruppi va attualmente ricercando, tanto è che la prima formazione del gruppo prevedeva due batterie, due bassi, due piani/synth, due chitarre e due voci (il tutto alla ricerca di un'impostazione quasi orchestrale). Con il tempo questa è stata poi ridimensionata a causa della difficoltà di conciliare gli impegni di ciascun componente e anche per motivi pratici. Seppur in un primo momento intenti alla rivisitazione di pezzi storici del panorama progressive (italiano e non solo), poi con il passare del tempo la strada delle covers è stata abbandonata e dopo pochi mesi il gruppo si è concentrato sulla ricerca di nuove sonorità. Prerogativa fondamentale del tutto l'arte totale e l'interartisticità, ossia la coniugazione di varie forme artistiche quali musica, poesia, filosofia e arti figurative (con l'esposizione di pitture durante i concerti e la realizzazione di installazioni scenografiche ove possibile).
Del 2007 è il demo “La maschera della visione” con cui il gruppo ha tentato di inserirsi nel panorama underground italiano e che ha ottenuto numerose recensioni sul web e su alcune riviste, molte delle quali positive e che lo hanno incoraggiato a portare avanti il progetto. Il demo in questione ha tuttavia uno stampo ancora prettamente progressive-rock, che solo in alcuni punti presenta le atmosfere e le sperimentazioni su cui ha poi deciso di insistere il gruppo.
Nel 2009 è iniziata la registrazione del primo lavoro ufficiale per Lizard Records dal titolo “Hanblecheya”, uscito per la fine del 2010. Nel concept album, in cui il tema è quello della visione (hanblecheya letteralmente significa “piangere la visione”), sono stati rielaborati alcuni brani del precedente demo e ne sono stati inseriti di nuovi. Sono sempre presenti parti suonate ma molta più attenzione e importanza è stata data alle atmosfere grazie all'inserimento di un violoncello e di poesie scritte dal gruppo e interpretate da Paolo Carelli, voce dello storico gruppo progressive Pholas Dactylus. Il lavoro sta ricevendo delle buone recensioni ed è entrato tra i finalisti dei Prog Awards nella sezione “Best Debut Album 2010”.
Negli ultimi periodi il gruppo è intento alla realizzazione di nuovi brani in cui a dominare è la ricerca di sonorità minimali, rumoristiche ed in parte acustiche che permettano di rendere la proposta ancora più personale e particolare, pur mantenendo parte delle caratteristiche del precedente lavoro.