Dorothy Moskowitz & The United
States Of Alchemy
“Under
An Endless Sky”
Tompkins
Square Records
CD-7 tracce
Distribuzione Mondiale CARGO
Puntuale come un orologio svizzero
arriva un nuovo progetto di Francesco Paolo Paladino, che non si presenta mai
come artista autarchico ma trova linfa vitale nel team work, costituito sempre
da persone di fiducia, con sconfinamenti fondamentali in funzioni delle nuove
amicizie/scoperte, in taluni casi sorprendenti.
Nello specifico, il nuovo atto
creativo, “Under An Endless Sky”,
trova la denominazione “Dorothy Moskowitz & The
United States Of Alchemy” e, analogamente a quanto accaduto per il
precedente lavoro, ad affiancare Paladino - autore delle musiche - troviamo
Luca Ferrari, impegnato nelle liriche… in buona compagnia. E già, l’occhio cade
subito sul quel “Dorothy Moskowitz” che non è proprio un dettaglio! Ma
andiamo con ordine, utilizzando il racconto cronologico di Paladino, una trama
affascinante senza la quale mancherebbero importanti elementi.
Intanto è palese la soddisfazione
tendente all’eccitazione di Paladino, da sempre appassionato di avanguardia
sotto forma di svariati filoni artistici. In tal senso, i suoi due punti di
riferimento dichiarati, quelli definititi “totem”, sono Brian Eno e i The United
States of America. Focalizziamoci sui secondi - che pubblicarono nel 1968 un
solo album per la Columbia Records - le cui menti erano il compositore Joseph
Byrd e una cantante incredibile, Dorothy Moskowitz, che troviamo ora affianco a
Paladino/Ferrari.
Un autorevole giornalista ha
descritto quel disco del ’68 come “… un perfetto esempio di avanguardia
secondo i canoni del 1968; un disco di ultra tecnologia sonora applicata alla
forma canzone”.
Risulta quindi comprensibile l’attrazione
tra anime simili, una sorta di “metallo e calamita” che trova compimento nel
2021, quando Paladino entra in contatto con Dorothy, ormai ottantaduenne,
acquistando il libro di Tim Lucas “The secret life of love songs”, che
nelle prime cento copie conteneva l’omonimo CD di Dorothy. La timida conoscenza
si trasforma presto in collaborazione saldata da stima reciproca, sino a che
Dorothy presta la sua voce per una lunga composizione appena nata, intitolata “Under
an endless sky”.
Dice l’autore: “Quando ascoltai la
sua voce sul mio brano mi vennero i brividi. Era la voce di un bardo, un misto
tra Nico e Marianne Faithfull, ma allo stesso tempo qualcosa di assolutamente
originale e di unico. Preso dall’entusiasmo composi subito altri sei brani e
compresi che lo stesso entusiasmo animava anche lei. In una delle mille e-mail
mi confessò che la nostra avventura musicale l’aveva rianimata, le aveva dato
una nuova linfa, una nuova ragione di cantare.”
Come anticipato, ci sono tra i
partecipanti collaboratori di lunga data: Sean O Breadin - che ha letteralmente
inventato un magico bordone di chitarra elettrica -, il trio Cavalazzi e gli
Enten Hitti ai violini, viole e violoncelli; e ancora Stefano Scala alle
percussioni, Riccardo Sinigaglia ai flauti, Mauro Sambo ai fiati e Angelo
Contini al trombone. Usuale e naturale l’utilizzo dello studio Elfo di Alberto
Callegari per la fase di montaggio.
Finisce qui la storia? Non di certo,
siamo solo a metà del sogno!
Il trio si forma con il nome di DOROTHY
MOSKOWITZ & UNITES STATES OF ALCHEMY. I due italiani propongono di non
comparire in copertina con i loro nomi, utilizzando invece un moniker che, in
qualche modo, potesse riallacciarsi al mitico passato di Dorothy.
Avendo il materiale in mano e stabilite
le formalità mancava un dettaglio di poco, pochissimo conto: chi avrebbe potuto
produrre l’album? A chi sarebbe interessato introdurre sul mercato discografico
un disco di musica d’avanguardia?
Conoscendo personalmente e da molti
anni Paladino direi che, a questo punto, l’obiettivo era già stato raggiunto,
ma cosa c’è di più bello se non condividere le cose che si amano, a maggior
ragione se ne si è gli autori?
Inizia la ricerca, partendo da un produttore artistico con i controfiocchi, Joe Boyd (Pink Floyd, Nick Drake, Incredible
String Band). Boyd ascolta e, pur apprezzando, non ritiene il lavoro utilizzabile
nel suo “territorio” ma fornisce le coordinate per arrivare all’amico Josh
Rosenthal, il label manager della Tompkins Square
Records. Josh aveva precedentemente lavorato 15 anni in Sony e nel 2005 aveva fondato a New
York la sua etichetta, poi trasferitasi a San Francisco, una label molto
particolare ed esclusiva, avente l’obiettivo di riesumare tesori nascosti della
musica moderna, quindi una produzione di estrema qualità e rivolta ad un
pubblico di cultori.
Josh ascolta il materiale e immediatamente
lo propone per la produzione. La sintesi? Contratto firmato in dicembre dai tre
musicisti, rimasterizzazione del tutto e programmazione dell’uscita di “Under
an Endless Sky” per il mese di marzo 2023.
Una storia a lieto fine dunque.
Completo gli elementi oggettivi
parlando dell’artwork, come sempre affidato a Maria Assunta Karini, imprescindibile
nei progetti targati F.P.P.
A fine articolo ho inserito qualche notizia
supplementare di sicuro interesse.
L’album era stato anticipato nel mese
di febbraio dal singolo “Unknown To Ourselves", di cui propongo l'ascolto a seguire.
Ma parliamo un po' dei contenuti,
partendo dalla tracklist:
1-
“Under an Endless Sky” (23:48)
2-
“Cut the Roots” (pt.1) (3:31)
3-
“My Doomsday Serenade” (7:18)
4-
“My Last Tear” (2:31)
5-
“The Disappearance of the Fireflies” :(4:08)
6-
“Cut the Roots” (pt.2) (7:28)
7- “Unknown to Ourselves” (4:15)
Musiche di Francesco Paolo Paladino e
Dorothy Moskovitz
Liriche di Luca Ferrari e Dorothy
Moskovitz
Apertura con la lunga title track, “Under
an Endless Sky”.
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere
virtuali
Pierangelo Pandiscia & Gino Ape:
violini
Trio Cavalazzi: violini, deconstructed
frames di F. P. Paladino
Mauro Sambo: corno
Ventitrè minuti da brividi: impossibile dicotomizzare testo, sonorità e modello propositivo.
L’ascolto deve essere accompagnato
dalla lirica per poter avere facile accesso ai propositi degli autori, con
immagini che improvvisamente appaiono e si nascondono, spingendo sulla strada dell’oniricità,
mentre i musicisti diventano meri mezzi "da trasporto", non importa dove, ma occorre realizzare un minimale rapporto osmotico.
La voce diventa anch’essa uno
strumento che penetra il corpo e si muove, dettando un percorso preciso, suggerendo concetti semplici nell’argomentazione ma poi, nella pratica, spesso
dimenticati:
Che strana cosa è l’uomo, un topo da
laboratorio accecato in una gabbia, bloccato in casa sua, in ascensore o in
macchina, i suoi occhi inghiottiti dagli schermi; una specie di promessa non
mantenuta, un’alba tramontata troppo presto, spaventato, prudente, triste, è la
fede che lo tiene in schiavitù, il Dio in cui crede è solo nella sua testa, e
teme tutto, il vento e l’acqua.
Qui nella leggerezza dell’alba, dove il profumo risveglia i sensi e i brividi percorrono il corpo, ci sentiamo così profondamente vivi, grati per tutto ciò che delizia, per la solitudine, il silenzio e la pace; andiamo oltre la parola, oltre la memoria, grati semplicemente per esserci. Abbiamo perso tempo ma non disperiamo, perché non c’è altra strada da percorrere se non vivere nel qui e ora, sotto questo cielo infinito, ancora spaventoso, ancora minaccioso, ma pieno di promesse, con il mare selvaggio e vertiginoso… sotto un cielo infinito…
Mi dilungherò nella sintesi dei testi ma ne vale la pena. Da paura!
Si prosegue con “Cut the Roots”
(pt.1)
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali
Trio Cavalazzi: violini, viola e
violoncello
Riccardo Sinigaglia: effetti
elettronici
Angelo Contini: trombone
Sean Breadin: chitarra ed effetti
Stefano Scala: percussioni
Terra e cielo, terra e cielo, cuore e mente; i semi della pace trovano la loro strada, un maschio urla, una donna prega… tagliare le radici, nonostante il frastuono e respirare per sempre… ovunque.
L’elemento vocale diventa sempre più
caratterizzante, e per chi ha seguito le vicende di Nico e dei Velvet Underground,
basterà chiudere gli occhi per ritrovarsi in qualche oscuro club newyorkese per
vedere un paio di fari blu su di un viso trasfigurato che emergono in modo
naturale… ma con estrema forza.
La musica evoca immagini, a maggior
ragione quando si ha a che fare con questo tipo di atmosfere sonore.
La terza traccia si intitola “My
Doomsday Serenade”.
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere
virtuali
Trio Cavalazzi: violini, viola, violoncello
Riccardo Sinigaglia: effetti elettronici
Angelo
Contini: trombone
Sean Breadin: chitarra e effetti
Stefano Scala: percussioni
Niente è per sempre, nulla è eterno,
la resa dei conti arriva sempre, senza che ci sia troppo da ridere. Troppo poco
e troppo tardi; i compleanni segnano la strada, sino ad arrivare alla resa dei
conti. La mia Doomsday Serenade suonerà, e quando la sentirai continua a
giocare, senza recriminazioni. Niente è per sempre e arriverà un giorno la resa
dei conti, e ciò che è stato fatto non può essere annullato, senza scuse né
giustificazioni…
Saggezza e speranza si fondono mentre
i giochi di voce e le atmosfere ipnotiche conducano ad una sorta di girotondo continuo
che si arresta solo al termine della traccia.
Partecipare in modo emotivo appare un obbligo.
La breve “My Last Tear”
vede impiegati:
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere
virtuali e harp
Angelo Contini: trombone
Ho lasciato la mia ultima lacrima sul davanzale della finestra, per te o mia musa. Ho aspettato e aspettato, pensando alla carezza che ti eri concesso, sembra tanto tempo fa. Un tempo pieno di speranza; ho creduto a quel sentimento e poi te ne sei andato, abbandonato alla confusione senza speranza. Così mi rimane l'ultima lacrima, sul davanzale della finestra e resto sospeso nel tempo, il mio sguardo si rabbuia, e mi unisco alle mucche nere, costrette a pascolare nella notte più nera, nella notte più nera.
Momento catartico, sublime,
intrappolato nella brevità compositiva; la voce è il driver mentre emerge un
sottofondo parlante che sa raccontare... esattamente come fa Dorothy.
Le immagini si aprono tra disperazione
e spleen, e un quadro prende forma sulla tela bianca, mentre dovrebbe nascere l’ascolto
libero e senza pregiudizi. Magnifico.
E
si arriva a “The Disappearance of the Fireflies”.
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere
virtuali
Riccardo
Sinigaglia: flauto
Molto tempo, fa nei campi si vedevano le lucciole volare libere quasi ovunque, piccoli gioielli di inestimabile valore: le cose erano più sicure e vere; nessun limite nonostante gli uomini che sapevano solo uccidere. Di tutto ciò mi rimane un ricordo di libertà, pace e amore…
Ricerca, sperimentazione e poesia:
possono coesistere elementi apparentemente inconciliabili, almeno secondo l’ortodossia
musicale? Consiglio un ascolto attento di questo quadretto bucolico, dove gli
effetti incontrano vocalità angeliche, quasi auliche, e capirne la lirica produrrà
valore aggiunto.
“Cut the Roots p.t. 2”
chiude il cerchio rimasto aperto.
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere
virtuali e campane tubolari
Riccardo Sinigaglia: synthed effetti
elettronici
Sean Breadin: synth-guitar ed effetti
Stefano Scala: percussioni
Terra e cielo, cuore e mente, i semi della pace trovano la loro strada. Un maschio urla, una donna prega: tagliare le radici! Nonostante il frastuono, respira per sempre… ovunque.
Pensieri antichi si uniscono all’attualità,
mentre le vocalizzazioni e l’atmosfera “caotica” disegnano uno scenario distopico,
disperato, quasi privo di luce oltre il tunnel.
A
conclusione “Unknown To Ourselves”.
Dorothy Moskovitz: voce
Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali
e piano
Mauro sambo: sassofono
Non abbiamo avuto il tempo di conoscerci veramente, il nostro tempo insieme è svanito come lacrime nelle dita, anni sprecati che abbiamo perso in sciocchezze, come animali tra animali inclini al rimpianto e all'illusione, una caduta solitaria nel mare sconfinato di tutte le vite passate, presenti, future, passeggeri nella notte di un viaggio di sola andata a noi sconosciuto, segnato da deboli luci enigmatiche che ci confondono e ci confortano.
Traccia purificatoria, curativa, nel
senso della capacità di spingere verso la riflessione. Qualche eventuale lacrimuccia durante l’ascolto non appare atto di debolezza ma piuttosto l'incontro tra il possibile e sperabile virtuosismo di chi ascolta e la capacità degli artisti di saper smuovere
e scombussolare pensieri e sentimenti.
E questo brano diventa il sample rappresentativo dell’album, essendo uscito in anteprima…
Che dire, come sempre rimango
sorpreso dai lavori proposti da Paladino, molto diversi tra loro ma sempre caratterizzati
dall’estrema qualità e dalla novità.
Nello specifico, oltre a circondarsi
di ottimi collaboratori, insieme a Luca Ferrari mette in risalto una figura
che, onestamente mi ero perso - quella di Dorothy Moskovitz - così come avevo
sottovalutato la portata di un album come “United States of America”, di
cui si parla a seguire e di cui propongo l’ascolto (cliccare sul titolo in
blu).
Ma la storia non finisce qui. Oltre a
pensare già ad un possibile “capitolo 2” Josh Rosenthal ha in mente di
realizzare un remix del CD, con l’entrata in gioco di altri musicisti, soprattutto
dj-artist, che lo reinterpreterebbero secondo i loro gusti.
Attendiamo nuovi eventi!
Qualche info oggettiva sulla label Tompkins
Square Records e su “United States of America”, l’album del ’68.
La Tompkins Square Records è stata
lanciata nel 2005, a New York, da Josh Rosenthal dopo un lungo periodo passato alla
Sony Music. Nel 2011 l’etichetta si trasferisce a San Francisco e Rosenthal
gestisce l'etichetta da solo con l'aiuto di un art director e di una casa
editrice.
Il primo album prodotto è stato “Imaginational Anthem”, un'antologia di musica di chitarristi fingerstyle tra cui Jack
Rose, Sandy Bull, John Fahey, Max Ochs e Kaki King La serie è cresciuta fino ad
arrivare a sette volumi.
Tompkins Square Records ha anche pubblicato
una registrazione inedita del concerto di Tim Buckley, “Live at the Folklore Center, NYC - 6 marzo 1967”.
Rosenthal ha poi portato Charlie
Louvin a registrare una serie di album, presentandolo ad una nuova generazione
di ascoltatori.
Prosegeundo, Tompkins Square ha
pubblicato “Remembering Mountains: Unheard Songs of Karen Dalton”, un
album di canzoni scritte da Dalton ed eseguite da artisti come Lucinda Williams,
Sharon Van Etten, Tara Jane O'Neil e Diane Cluck.
Diverse le pubblicazioni di dischi a
78 giri per il Record Store Day. Gli artisti coinvolti includevano Luther
Dickinson, Tyler Ramsey e Ralph Stanley.
Nel 2015, Rosenthal ha scritto e
pubblicato il libro “The Record Store of the Mind”, un libro di memorie
sull'essere un collezionista di dischi e possedere una casa discografica.
L’album “United States Of America”
è stato pubblicato nel 1968 dalla Columbia Records. L'album ha trascorso nove settimane nella
classifica degli album di Billboard negli Stati Uniti, raggiungendo il numero
181 nel maggio 1968.
Una prima ristampa su compact disc
avviene per merito della Columbia Records, nel 1992, con due bonus track. Nel 1997 l'album è stato
ristampato nel Regno Unito dalla Edsel Records.
Il 13 luglio 2004 la Sundazed Records propone l'album in vinile e
CD, con una nuova copertina, diversa da quella utilizzata per le
versioni originali nel Regno Unito e in Europa, e con la versione in CD
contenente 10 tracce bonus.
L'accoglienza moderna dell'album è stata molto positiva. Richie Unterberger di AllMusic lo considerava "uno degli album psichedelici più eccitanti e sperimentali della fine degli anni '60" e paragonava parte del materiale più duro della band ai primi Pink Floyd e ai Velvet Underground. Conclude: "Occasionalmente le cose diventano troppo eccessive e impacciate, e i tentativi di commedia sono un po’ piatti, ma per il resto questo è quasi un classico". "L'album di debutto più ambizioso e stravagante ha 36 anni", ha aperto la recensione di Mark Hamilton scrivendo della ristampa del 2004 per Dusted Magazine. Country Joe Macdonald ha affermato che l'album "è ancora al di sopra del lavoro della maggior parte dei loro colleghi psych-rock dell'era Monterey", nonostante la presenza di alcuni effetti elettronici datati tipici di "molti pezzi elettroacustici degli anni analogici".
È incluso
nel libro 1001 album che devi ascoltare prima di morire. La rivista Classic Rock lo ha citato come uno
dei "16 migliori album di rock psichedelico".