Sono rimasto molto
colpito da “Apeirophobia”, degli IFSOUNDS.
E’ un album che,
secondo i miei canoni di gradimento, è riuscito in pieno.
Nell’intervista a
seguire emergono un paio di aspetti importanti che vale la pena sottolineare.
Innanzitutto la voce
di Elena Ricci.
La timbrica vocale è
una caratteristica che contraddistingue un gruppo( alla stregua del suono della
chitarra di Mark Knopfler o di Santana, che “è
solo loro”), e anche quando non si gradisce, resta una peculiarità che, al
primo ascolto, ci riporta a quella particolare band o a quell’artista
conosciuto.
Di belle voci,
ma “comuni”, scopiazzate e inespressive, il mondo della musica è pieno, ma
quella di Elena ha qualcosa che resta, una sorta di retrogusto che magari non
si apprezza appieno all’impatto, ma ti rimane dentro e non si dimentica
più. Scelta vincente quindi quella che ha portato al rinnovamento della line up:
Un altro punto su cui
ho dialogato a distanza con Dario Lastella, uno dei fondatori del
gruppo nel 1993, è la questioni testi.
L’utilizzo della
lingua inglese è spesso un obbligo per chi vive di rock, e rappresenta una
facilitazione espressiva, essendo predisposta per il rispetto di una metrica
“musicale”. Esprimere determinati concetti in italiano può risultare arduo e
frustrante. Nondimeno, le poesie vanno capite e le storie analizzate, e
nonostante tutti ormai utilizzino quotidianamente la lingua di Albione, la
comprensione immediata di una lirica non è cosa semplice. Ma in fondo il primo
gradimento arriva dalla musica, ed è per questo che, da ragazzini, ci siamo
innamorati di canzoni di cui non capivamo assolutamente una parola. Il passo
successivo resta comunque lo scoprire che tipo di messaggio è racchiuso, più o
meno ermeticamente, nei testi.
I temi trattati da
IFSOUNDS sono variegati, ma ne scelgo uno che è forse il simbolo dell’album, e
rappresenta una riflessione che probabilmente è caratteristica di particolari
fasce di età, quella di chi capisce che non ha più una vita davanti e chi,
all’opposto, è solo agli inizi ma è angosciato “dal dopo”, da ciò che troverà
in quel cielo blu che non sempre si può definire confortante:
“La paura più
profonda che avessi mai provato mi bloccò i sensi e mi spezzò il respiro.
Per la prima volta
ebbi coscienza della fine, di un giorno senza più domani, di un giornosenza più
oggi.
“Dove vivrò la mia
eternità? È un luogo dove vivremo in pace? È un luogo dove non avremo più
necessità?
Forse è solo un
oceano vuoto, il più oscuro dei mari. Dove non avremo più né futuro,
né ricordi. Affogherò nella luce eterna di pace? Affogherò nell’oscurità?”
Visione
pessimistica del futuro? No, accade con regolarità, a me e ai miei figli, ed è
una condizione mentale che ci accompagna per tutta la vita.
Le
canzoni non potranno cambiare il mondo, ma possono dare un aiuto sulla via
della riflessione, di questo sono certo.
La
musica.
Come spesso scrivo,
il “catalogare” un gruppo è un esercizio sterile, ma utile a chi si avvicina
per la prima volta a quella particolare proposta.
Spesso parlo di nuove
band collocate nell’area prog, a cui vengono associati prefissi del tipo… new,
metal, dark and so on.
Il prog
che io riconosco come DOC è quello che mi ha fatto di lui innamorare ad
inizio anni 70, e questo “Apeirophobia” mi riporta a quelle atmosfere.
Le influenze si
“intravedono”, e accanto a qualche trama pinkfloideggiante ho ritrovato certi
passaggi di Steve Howe e atmosfere ad ampio respiro che
riportano a Tony Banks.
Ma l’album brilla di
luce propria e ciò che mi appare piacevolmente evidente è che la complessità e
i virtuosismi tecnici che lo compongono, sono legati tra loro da melodie
di comprensibile impatto, ed è questo uno dei motivi per cui potrebbe essere
scambiato per un LP seventies.
A corroborare questo
mio feeling, l’utilizzo di una lunga suite, caratterizzata dalla variazione dei
temi e dei ritmi, ma con una buona e rassicurante dose di equilibrio. Una
suite che, come dice Dario Lastella, potrebbe essere l’omaggio alle
celebrazioni dei 40 anni di prog italiano.
Una bella sorpresa.
L’INTERVISTA
L’idea del concept album è
tipica di una parte della musica rock, quella progressiva e da quanto ascolto
ultimamente è una strada che molti stanno percorrendo. Nel vostro particolare
caso, sono i testi che si adattano alla musica o le trame armoniche si sposano
con testi già precostituiti? O entrambe le cose?
Di solito è molto più
semplice scrivere prima la musica e poi i testi. Ovviamente quando decidi di
fare un concept tutta la scrittura diventa un processo differente, più simile
alla scrittura di un romanzo che a quello della classica canzone pop da 3
minuti. Nel caso di Apeirophobia (parlo soprattutto della suite omonima) ho
prima scritto una specie di “sceneggiatura” con dei testi in prosa, poi abbiamo
messo su la musica e infine ho riadattato la prima bozza in versi sulla
struttura musicale. Comunque davvero non esiste una regola fissa, anche se, per
quanto mi riguarda, l'ultimo tocco è quanto meno adattare bene la metrica e la
musicalità delle parole alla base strumentale.
Il tono vocale, più delle reali
qualità tecniche del vocalist, diventa una delle caratteristiche principali di
una band, che diventa così riconoscibilissima, nel bene e nel male. Che tipo di
valore aggiunto ha dato, in questo senso, Elena Ricci?
Vedo con piacere che
hai colto nel segno. Dopo il “divorzio consensuale” con Paolo De Santis,
abbiamo chiesto ad Elena di entrare nel gruppo innanzi tutto perché è una
nostra amica da tanti anni, ma anche e soprattutto perché ha un tono
estremamente personale e riconoscibile. A mio avviso Elena ha una voce molto
bella, anche se probabilmente non è ancora completamente cosciente delle sue
potenzialità. Ad ogni modo credo che l'obiettivo sia stato raggiunto: in molti
hanno apprezzato molto il colore della sua voce, altri ne hanno visto il punto
debole del nostro suono, ma non ha lasciato nessuno indifferente e questo è un
successo quando vuoi definire un sound.
La lingua inglese è
inscindibile dalla musica rock, ma utilizzarla significa “nascondere” le liriche
e rimandarne la comprensione a ulteriori ascolti o a letture successive.
Sono molti i gruppi italiani, non affermati, che cantano in lingua
originale e vengono distribuiti in tutto il mondo. Nel vostro caso qual è
l’esigenza primaria?
Quando cominciai a
scrivere i miei eroi musicali erano tutti britannici, quindi il mio songwriting
è andato in quella direzione. Per quanto riguarda il “nascondere” le liriche
non sono completamente d'accordo, tant'è che proprio per l'importanza che diamo
ai testi abbiamo messo a disposizione a tutti il libretto tradotto in italiano
sul nostro sito (lo trovi cercando in questo link: http://www.ifsounds.com/?page_id=183,
oltre al fatto che in inglese i testi sono immediatamente comprensibili a un
pubblico piuttosto vasto. Poi considera che scrivere dei testi così
“impegnativi” in italiano è durissima soprattutto a livello di metrica. Ad ogni
modo un pezzo in italiano lo avevamo pure fatto, ma poi lo abbiamo lasciato
fuori dall'album solo per scelta artistica. Questo dimostra che in futuro non
escludiamo testi in italiano.
Ho letto ciò che pensate in
generale delle etichette che attualmente producono e distribuiscono la musica.
Io ho esempi di persone che fanno questo mestiere mossi, in
primis, dalla passione. Quali sono, secondo voi, i macro problemi che
affliggono il businnes che gira attorno al mondo musicale?
Verissimo, infatti il
mio era un discorso in generale: per esempio Nick Katona, il patron della
Melodic Revolution Records è uno che lavora duro per la sua label solo per
passione. Tuttavia ci sono troppi “squali” che non essendo abbastanza forti per
“azzannare” il mercato, si rifanno su tanti gruppi di ragazzi sciacallando sui
loro sogni. Sui macro problemi potrei scrivere un libro, anzi te ne segnalo
uno già scritto da Hank Bordowitz che sto leggendo proprio adesso e si
chiama “Dirty little secrets of the record business”... davvero molto
istruttivo! Giusto per focalizzare un problema, segnalerei l'imbarbarimento dei
costumi e dei gusti a cui anche l'industria discografica si è drammaticamente
adattata. Il problema è ovviamente molto più ampio e grave rispetto a quattro
canzonette, tuttavia, essendo l'industria discografica un settore in crisi nera
(soprattutto per miopia e incapacità dei “padroni del vapore”), nel mondo della
musica è molto più evidente.
Qualcuno ha detto: “
…. nella vita l’importante è
avere una colonna sonora..”. La musica che più amiamo scaturisce da qualcosa di irrazionale che
non ha niente a che vedere col lato prettamente tecnico, e io non sarei in
grado di spiegare perché sono accompagnato da sempre dai Jethro Tull. E’ possibile individuare,
una musica, un gruppo, che da sempre accompagna IFSOUNDS?
Il mio gruppo
preferito sono i Pink Floyd, non è un mistero, anche se abbiamo sempre
combattuto per non essere un gruppo-clone e mantenere una forte identità
personale, che nel corso degli anni diventa (spero) sempre più evidente. Poi
alla fine le influenze della musica che ti piace vengono fuori inevitabilmente,
quindi ai vecchi Floyd aggiungici altri mostri sacri come Genesis, Beatles,
Who, Banco del Mutuo Soccorso, Premiata Forneria Marconi, ma anche Police,
Queen, e tanti altri. L'importante però è che alla fine “suoniamo a ifsounds” e
non a brutta copia di qualche altro artista, per grande che sia.
Quale ruolo ha la
sperimentazione nel vostro “lavoro”?
Notevole, almeno
concettualmente. Certo è che nel 2010 si può dire che si è già sperimentato
tutto (e probabilmente questo “tutto” era già stato sperimentato nel 1980!). Ad
ogni modo siamo sempre alla ricerca di nuovi linguaggi artistici “non
convenzionali”, anche se personalmente non amo la sperimentazione fine a se
stessa, soprattutto se a portarla avanti sono dei non-musicisti che se ne
escono con “destrutturazioni” che in realtà nascondono il fatto che non sanno
suonare. Apprezzo (anche se a volte non comprendo a pieno) i lavori di
Stockhausen, Berio e (tornando alla musica popolare) i primi album di Battiato
o “Ummagumma” dei Floyd. Lì comunque vedi una ricerca artistica e di un
linguaggio emozionale nuovo. Per quanto riguarda il nostro lavoro la
sperimentazione spesso l'abbiamo cercata negli arrangiamenti e negli
accostamenti. Nel nostro vecchio album “The Stairway” per esempio c'è un pezzo
(“Uneasy sleep Part 2”) di musica completamente sperimentale, ma comunque
contestualizzato nel concept e mai fine a se stesso.
Un amico, musicista blues,
Fabrizio Poggi, racconta di come non esista differenza tra pubblico e
musicista, tranne la posizione, uno di fronte all’altro, a sottolineare
l’integrazione necessaria per la buona riuscita di una performance. Che tipo di
relazione riuscite a stabilire col vostro pubblico durante i concerti?
È vero, ma a certi
livelli è difficile avere un pubblico che riesca a mettersi sulla tua stessa
lunghezza d'onda e a cui riesci davvero a parlare. Purtroppo poi, a causa della
nostra particolare situazione geografica (io vivo in Spagna, mentre gli altri
sono in giro per l'Italia), ultimamente non stiamo avendo troppe opportunità di
esibirci dal vivo e quindi di instaurare questo rapporto speciale con il
pubblico.
Esiste qualche gruppo della
nuova generazione, italiano, che consigliereste agli amanti della musica di
qualità?
Gente brava ce n'è
tanta, ma spesso non in sintonia con i miei gusti. Comunque un nome di un
gruppo che ho ascoltato recentemente e mi è piaciuto è Psicosuono.
Approfitto dello spazio e faccio pubblicità a due cari amici, che in realtà
sono solo-performers. Il primo è un pianista-compositore straordinario che si
chiama Corrado Rossi, un vero maestro dell'atmosfera: mi ha mandato il suo
ultimo album solista “The Wood of Kites” ed è pieno di potenziali temi per
colonne sonore da pelle d'oca.
Il secondo è un bassista veneziano che si fa chiamare Hox Vox. Un pazzo
totale, un genio dell'art rock nel senso più letterale del termine (lui sì che
fa musica davvero sperimentale), oltre che dell'arte multimedia (vedere per
credere i suoi video!).
Tra il Festival di Sanremo e
una musica “d’impegno”, può esistere una via di mezzo che possa soddisfare
entrambe le situazioni, non tanto per l’obbligo del compromesso, ma
per pubblicizzare la qualità musicale utilizzando un grande mezzo di
diffusione capace di arrivare a milioni di persone?
È un vecchio
dibattito, ma è sempre d'attualità. Sono anni che ormai non vedo il Festival,
ma temo che sia stato “sorpassato a destra” da tali schifezze che forse sarebbe
necessario riformulare la questione. Riferendomi al Festival “classico” posso
dire che a volte c'erano anche buoni brani, ma che comunque normalmente si
trattava di brutta musica fatta da professionisti almeno dignitosi (se non
buoni) che ci dovevano campare. Oggi la musica di Sanremo non ha più neppure
successo ed è comunque ampiamente sovrastata nella scala dell'osceno da musica
fatta da chiunque abbia alle spalle una buona macchina di marketing, “tanto il
popolo idiota mangia qualunque merda” pensano nei piani alti dove si prendono
le decisioni e si tirano fuori i soldi. Per fortuna esiste internet, che è un
mezzo realmente democratico: pensa che ifsounds, ovvero un oscuro gruppo art
rock molisano, ha centinaia di migliaia de segnalazioni su Google ed è stato
ascoltato da decine di migliaia di persone. Tutto sommato questa è una
diffusione di massa. Ad ogni modo per arrivare al “grande pubblico”, quello
fatto da milioni di persone, un musicista è ancora legato ai mass-media
tradizionali, che per definizione cercano le cose che “fanno audience”. Da
questo punto di vista la situazione è addirittura peggiorata rispetto a 30-40
anni fa, visto che i gusti della “massa” sono oggi osceni. Tuttavia c'è una
sacca di resistenza che appunto nel web ha un mezzo attraverso il quale
prendere coscienza e conoscenza di forme musicali più impegnate e interessanti.
Questi coraggiosi “resistenti” finalmente hanno avuto il coraggio di spegnere
la TV e le radio commerciali tradizionali e cercano la loro musica altrove. Il
percorso è ancora lungo, ma sono ottimista!
Come vorreste che fosse , musicalmente
parlando, il percorso di IFSOUNDS nei prossimi 5 anni?
Spero che tra cinque
anni ci sia ancora tanta gente che ascolti e apprezzi la nostra musica, spero
che la nostra proposta possa arricchirsi ed espandersi anche ad altre
espressioni artistiche multimediali, ma soprattutto spero di avere ancora tante
cose da trasmettere con i nostri suoni!