Entrare in contatto
con gli Edaq
e il loro album d’esordio, Dalla parte del cervo, significa
anche apprendere cose nuove, o insabbiate/rimosse, e a volte basta poco per
riportarle al giusto livello di attenzione.
E’ luogo comune - e assoluta
verità - che la musica sia cultura, ma è altrettanto vero che sia possibile stilare graduatorie di merito, sottolineando
le composizioni che di quella cultura emanano profumo intenso.
Questo album strumentale
è sicuramente da inserire nella “categoria nobile”, e questo direi a
prescindere dal gradimento.
Disco d’esordio per i
piemontesi Edaq, che realizzano
oltre un’ora di trame strumentali suddivise su dodici tracce.
E ritorno alla frase
iniziale per accennare ai concetti di “bal-folk e Folk-Art”, sviscerati
nello scambio di battute a seguire, due termini che appaiono come neologismi,
ma che contengono in realtà la nostra tradizione, le nostre radici, la nostra necessità
di libertà espressiva.
La sintesi della filosofia
musicale proposta è il recupero della tradizione popolare, a cui è aggiunta l’esperienza/conoscenza
personale - differente per ogni componente - arrivando così a miscelare qualcosa
di molto bene conosciuto - tramandato, assaporato, respirato da sempre - alla sperimentazione,
alla tecnologia, al lavoro di ricerca intensa, con il tentativo di dare un
volto diverso alla nostra storia che, pur mantenendo la centralità della
realtà, può essere raccontata nelle modalità più varie.
Fa anche un po’ soffrire
la musica degli Edaq, riportando-mi
a quelle feste di paese che non sono solo gioia, né oggi né in passato, in quel
Piemonte che anche con il vestito migliore, quello della domenica danzante e
popolare, mi-provoca una velata tristezza fatta di ricordi, di giovinezza e di
appuntamenti mancati per un soffio.
Balli occitani, paesi
e nazioni a stretto contatto, epoche lontane che si intersecano, il pop e il
folk toccati dal jazz, la modernità e il
mondo antico, un contenitore di enormi dimensioni dove le variabili che
determinano la velocità, lo spazio ed il tempo, perdono il significato fisico
conosciuto.
Tutto questo emerge
nel video di fine post, e nel momento dello start, anche per chi non avesse
afferrato qualche mio ermetico pensiero, tutto si chiarirà e le parole non
saranno poi così necessarie.
L’INTERVISTA
Edaq propone “Dalla parte del cervo”: potete dare una sintetica spiegazione di
entrambi i nomi?
Il nome
Edaq è un acronimo che deriva dalle iniziali del vecchio nome del gruppo (ensemble d’autunno quartet). Nel momento
in cui l’insieme ha cambiato forma (da 4 siamo diventati 6) il nome originale
non ci rappresentava più e così abbiamo scelto di comporre il nuovo nome con le
iniziali del vecchio. Ci suonava bene.
Il titolo
del disco “Dalla parte del cervo” arriva
dalla scelta di mettere in copertina la foto del trofeo di caccia di una testa
di cervo. Sebbene inizialmente la proposta di Francesco (ghirondista e grafico
del gruppo) ci avesse fatto storcere il naso perché siamo fortemente contrari
alla caccia, ci siamo resi conto che invece poteva rappresentare molto bene le
nostre istanze musicali ed umane. Musicalmente stare dalla parte del cervo
significa per noi muoverci in un territorio vasto ed inesplorato, in cui gli
unici punti di riferimento sono la passione ed il profondo rispetto per la
musica popolare, senza preconcetti e cercando di sperimentare liberamente, con
l’utilizzo dell’elettronica e dell’improvvisazione e di quant’altro ci venga in
mente. Dal punto di vista umano invece significa che noi stiamo dalla nostra
parte, di quello che ci fa bene, delle scelte etiche e consapevoli, della
cultura della responsabilità e del rispetto.
Partiamo dagli elementi
base… come nasce la vostra passione per la musica?
Sicuramente
arriva da lontano, dalla giovinezza, ciascuno di noi ha seguito percorsi molto
diversi. Chi arriva dal Jazz, dall’improvvisazione, chi da esperienze più
legate al pop, chi da percorsi accademici e chi dalla pratica della tradizione
popolare. Una cosa è certa, ciascuno di noi ha la sua storia, i suoi trascorsi,
ma tutte queste individualità ed attitudini in Edaq si amalgamano alla
perfezione, anzi le differenti estrazioni, i differenti approcci sono forse la
nostra migliore risorsa umana ed artistica.
Esiste un artista od
una band che vi hanno maggiormente influenzato durante il vostro percorso
formativo?
Elencarle
tutte tenendo conto dei riferimenti di ciascuno di noi formerebbe una lista
lunghissima. Per certi versi molte band e musicisti legati al folk europeo
(Blowzabella, Gwerz, La
Ciapa Rusa , Pentangle, Fairport Convention, Cantovivo…), per
altri possiamo saltellare liberamente da Pat Metheny a Bill Evans, da Bach a Satie, dall’Art Ensemble of Chicago
ai Led zeppelin, dal Desert Blues alla Morna di Capo Verde, da Nick Drake a
Caetano Veloso…
Quali sono i
significati di “bal-folk e Folk-Art”, applicati alla vostra
musica?
Il balfolk è un evento musicale in cui si danzano balli popolari. Si è diffuso a in molte parti d’Europa fin dagli anni 70/80. Spesso le tradizioni musicali e coreutiche di riferimento sono molto antiche, di origine sette/ottocentesca se non addirittura precedenti. Grazie al recupero che ne è stato fatto nei decenni passati ad opera di importanti ricercatori e musicologi, e grazie anche al permanere tutt’oggi di comunità che non hanno mai interrotto il legame con la tradizione, queste musiche sono ancora straordinariamente attuali e vitali. Decine di associazioni e festival dedicano grandi energie alla pratica ed alla diffusione di queste danze, svolgendo così un importantissimo ruolo di diffusione. Per Folk Art intendiamo un nostro approccio, quasi artigianale se vogliamo, in cui cerchiamo di curare al meglio non solo la nostra musica, ma anche le immagini che la accompagnano, la creazione di ambienti sonori, la realizzazione di video, cercando di fare tutto con le nostre mani.
Il balfolk è un evento musicale in cui si danzano balli popolari. Si è diffuso a in molte parti d’Europa fin dagli anni 70/80. Spesso le tradizioni musicali e coreutiche di riferimento sono molto antiche, di origine sette/ottocentesca se non addirittura precedenti. Grazie al recupero che ne è stato fatto nei decenni passati ad opera di importanti ricercatori e musicologi, e grazie anche al permanere tutt’oggi di comunità che non hanno mai interrotto il legame con la tradizione, queste musiche sono ancora straordinariamente attuali e vitali. Decine di associazioni e festival dedicano grandi energie alla pratica ed alla diffusione di queste danze, svolgendo così un importantissimo ruolo di diffusione. Per Folk Art intendiamo un nostro approccio, quasi artigianale se vogliamo, in cui cerchiamo di curare al meglio non solo la nostra musica, ma anche le immagini che la accompagnano, la creazione di ambienti sonori, la realizzazione di video, cercando di fare tutto con le nostre mani.
Ascoltandovi la prima cosa che mi è venuta in mente nel
tentativo di sintetizzare il giudizio è un’immagine, quella della libertà
espressiva applica alla tradizione, alle nostre radici più profonde. Voi che tipo
di picture regalereste a chi ancora non vi conosce?
Siamo d’accordo con la tua sintesi. Noi ci
vogliamo esprimere a modo nostro, stiamo cercando un nostro suono, non ci
poniamo limiti nello sperimentare soluzioni diverse. L’unico parametro che non
discutiamo è quello del rispetto della tradizione popolare.
Forse sarebbe più corretto parlare di
interazione con il materiale tradizionale tramite l’utilizzo di linguaggi
contemporanei. Non essendo direttamente eredi della tradizione pura l’unica
strada percorribile ci è sembrata quella di provare a coniugare l’antico,
privato dai dogmi e dalle consuetudini legate alle reinterpretazioni, con un
linguaggio aderente alla contemporaneità.
Quanto spazio date alla
sperimentazione e all’innovazione tecnologica?
Come ho
già espresso prima diamo molto spazio ad altri linguaggi che ci permettano di
esprimerci al meglio. In primo luogo l’improvvisazione sia in fase di studio
che live, molte idee ed arrangiamenti nascono proprio da questa pratica; poi
l’utilizzo dell’elettronica, con le dovute cautele, per non andare a snaturare
il senso della nostra estetica. L’introduzione di formule ritmiche e melodiche
ripetitive ai confini con la trance… insomma cerchiamo in più direzioni e in
questa ricerca il bagaglio eterogeneo di ciascuno di noi ha un’importanza fondamentale.
Meglio la fase live o quella
in studio?
Ma, non
saprei, sono due fasi distinte, ognuna con i suoi pregi e i suoi difetti. Per
quanto riguarda questo nostro primo cd lo riproduciamo quasi per intero dal
vivo; ovviamente live assume una forza ed un carattere diverso dallo studio, e troviamo spazi anche molto lunghi dedicati
all’improvvisazione.
Quanto incide il luogo
in cui siete nati nella vostra proposta?
Sicuramente
molto, ma credo valga per chiunque si occupi di musica popolare. I suoni che
senti fin dall’infanzia, la lingua, gli odori, la luce dei luoghi… sono un
imprinting che ti resta e ti accompagna per la vita e ti fa innamorare delle
tradizioni che appartengono a quel luogo.
Esiste concettualità nel
vostro disco?
Francamente
non credo, il disco è stato realizzato davvero in fretta e l’unico parametro
che abbiamo seguito è stato quello che ci ha portato a comporre un album che ci
soddisfacesse, che rispondesse alle aspettative e ai gusti di tutti i
componenti del gruppo. Abbiamo scelto i brani e fatto gli arrangiamenti
soprattutto in fase di prove, e abbiamo lasciato libero spazio alla creatività,
non solo riguardo alla musica, ma curando nel dettaglio anche l’aspetto grafico,
il cui merito va tutto a Francesco Busso.
Non c’è bisogno di trovare
giustificazioni alle miscele fatte di buona musica, ma… da dove nasce la vostra
voglia di Bill Evans?
Ma guarda,
non siamo partiti pensando: ”… adesso
reinterpretiamo un brano di Bill Evans”. Come dicevo prima i nostri ascolti
sono tantissimi e se troviamo qualcosa che si possa adattare alle nostre
esigenze proviamo a lavorarci e a vedere cosa ne viene fuori. Interplay, per la sua struttura ritmica,
si adatta bene ad essere reso in forma di “Rondeu” (una danza tradizionale
guascone che si balla tuttora nei bal folk e nelle feste occitane), e quindi
dopo averla elaborata con una lunga introduzione ci siamo permessi di
reinterpretarla come fosse un rondeu.
Che cosa avete
pianificato per l’immediato futuro?
Stiamo
elaborando nuovo materiale spingendo ancor di più nella direzione intrapresa
con “Dalla parte del cervo”, magari
pensando ad un nuovo album. Nel frattempo abbiamo appena pubblicato il nostro
primo video ufficiale che è il frutto della collaborazione con diversi amici
che ci hanno aiutati a realizzarlo, fra tutti Flavio Nani, Francesco Busso , Jacopo
Valsania, Gabiella Lovera, Vittorio Mortarotti, Luisa Pellegrino, Alessandro
Viale.
LINE UP
Francesco Busso (ghironda), Gabriele
Ferrero (violino), Flavio Giacchero (cornamusa,
clarinetto basso), Enrico Negro (chitarre), Stefano
Risso (contrabbasso) e Adriano De Micco (percussioni).
INFO