Fotografia di Sergio Cippo
E’ sempre piacevole
scoprire -dopo tanti anni di frequentazioni musicali, e dopo aver sentito in ogni
luogo che nulla può più essere inventato, che le note sono quelle, inutile
illudersi!- che la musica riesce ancora a sorprenderti.
Mi è capitato pochi
giorni fa, al Prog To Prog,
quando ho ascoltato un live di La Stanza Di Greta. Per la verità tutta
la serata mi ha fornito spunti di novità, ma vorrei focalizzarmi oggi su questo
ensemble torinese che ha stimolato curiosità e paragoni, perché occorre per
forza cercare, sempre, la comparazione rispetto a qualche modello di riferimento! O no?
Eppure … non sono la
copia di nessuno!
Intendiamoci, novità
non significa automaticamente qualità, ed è probabile che la musica di LSDG possa anche non essere apprezzata, ma
io ho trovato la proposta talmente fresca da pensare di doverla condividerla
senza indugio, che è poi la mia missione nel mondo musicale.
Amano essere definiti
“pop” nel senso reale del termine, ovvero “popolari”, e ciò che ho visto sul
palco dello Spazio 2011 è un misto di folk, rock, prog,
avanguardia, etnia e sperimentazione.
Immagino che le mie
parole non siano sufficientemente chiare per mostrare tutti i volti della band,
e per semplicità ho inserito in questo articolo due video, uno in studio, ed
uno che ripropone tutta la performance di Torino (circa 20 minuti), esclusa la magnifica
versione di “Non mi rompete”, che è l’oggetto del primo filmato, realizzato in sala di registrazione.
Tutto stupisce, a
partire dalla mancanza di strumenti fondamentali per il mondo rock, sino alla
ridondanza di “materiale” sconosciuto ai più.
Le assenze importanti… manca completamente
la sezione ritmica ma… non si nota! Esistono parti in cui il tempo scandisce lo
sviluppo della trama musicale e basso e batteria trovano adeguate sostituzioni
(la marimba è uno strumento a percussione, così come i “bidoni”).
Presenze inusuali… provo ad elencare
alcune delle cose che ho visto, sperando di non commettere errori:
dell’ingombrantissima -ma efficace- marimba ho già detto; aggiungo il weissenborn, suonato sulle ginocchia
-stile slide-, il didgeridoo, strumento a fiato australiano -che conoscevo
attraverso la musica di Xavier Rudd- sino ad arrivare al mandolino
elettrico -suonato anche con l’archetto-, che può sembrare altro, per effetto
di una forma e dimensione che riporta ad una mini telecaster.
Ma l’impressione è
che ogni cosa si possa trasformare nelle sapienti mani di questi artisti, e oltre al "bidone" già citato, qualuque scatola di detersivo potrebbe ritornare comunque
utile per raggiungere l’obiettivo: libertà espressiva senza alcun limiti e
codifica.
Significativo lo
spazio vocale affidato al chitarrista Leonardo
Laviano, che va rapportato alla filosofia musicale del gruppo.
Ma la musica e le
idee scambiate con Jacopo
Tomatis completeranno il
quadro che ho provato a descrivere.
Buon ascolto e
lettura!
La Stanza Di Greta in
studio…
L’INTERVISTA
Parto dall’incontro di pochi giorni fa, il concerto che vi ha
visto come partecipanti al Prog To Rock: che giudizio date della serata?
Sicuramente positivo. Noi non siamo una band di progressive,
né abbiamo mai voluto esserlo. Nella nostra storia abbiamo partecipato a
festival di canzone d’autore, meeting di band giovanili, di indie rock, perfino
a un Buscadero Day di spalla a svariati maestri del folk americano… E ci siamo
spesso sentiti un po’ fuori luogo. Un festival prog ci mancava, e la serata è
andata oltre ogni aspettativa, se prendiamo per buoni i feedback del pubblico. Forse
dovremmo diventare un gruppo prog per davvero…
A fine set vi siete definiti ironicamente “fuori contesto”,
ma ciò che ho ascoltato mi ha soddisfatto in pieno e mi induce ad approfondire:
come e quando nasce la band? Possibile una sintesi della vostra biografia?
Viviamo tutti e cinque fra Torino, San Mauro Torinese e
dintorni. Ci siamo incontrati un po’ per caso, nel 2009, per un’iniziativa
benefica, ci siamo piaciuti e abbiamo cominciato subito con l’idea di lavorare
a brani nostri. Da allora abbiamo suonato molto in giro, e cambiato idea su
quello che volevamo fare e sul come farlo almeno un paio di volte. Questo
spiega il nostro “ritardo”, almeno discografico: fino a oggi abbiamo autoprodotto
solo due EP. Si chiamano “lato a” e “lato b”, sono usciti a tiratura limitata a
300 copie, e idealmente compongono i due sides
di un vinile vecchio stile. Per i non feticisti, si trovano anche su iTunes, o
su www.lastanzadigreta.com
Come si può spiegare a parole la vostra musica così
originale?
Ci piace molto inventare delle definizioni. Siamo stati – a
seconda del contesto – “post-canzone d’autore”, “pop psichedelico”, “pop
progressivo e radicale”, “folk rock”, e molto altro. L’idea di “pop” è
probabilmente quella a cui ambiamo di più. Soprattutto nel significato che
aveva negli anni settanta: “popolare”, che piace al pubblico, ma che non per
questo deve essere stereotipato o banale. In questo siamo un po’ “progressivi”
forse.
Esiste un punto di riferimento musicale che vi mette tutti
d’accordo?
No. Ci sono naturalmente ascolti che condividiamo, e artisti
che stimiamo tutti, ma i nostri gusti sono spesso in aperto contrasto gli uni
con gli altri, e le nostre collezioni di dischi sono piuttosto diverse fra
loro. Quando discutiamo di arrangiamenti, i riferimenti vanno dai Dire Straits
ai Godspeed You! Black Emperor, passando per gli Allman Brothers. Abbiamo
trovato un accordo condiviso solo quando si è trattato di scegliere la nostra
prima cover, da inserire nel nostro secondo EP: “Non mi rompete”, del Banco, pezzo che amavamo tutti molto.
La prima cosa che mi ha colpito guardandovi sul palco - ma
forse anche prima, quando osservavo scendere dal furgone la marimba - è la diversità
di strumentazione rispetto all’usuale, e vedere sul palco il risultato di tanta
originalità (non solo scena quindi, ma rilevante sostanza), regala grandi
soddisfazioni a chi è lì per ascoltarvi e magari non vi conosce: come si è
creato l’ensemble, dal punto di vista strumentale?
In maniera abbastanza casuale, e per continui tentativi di
trovare un amalgama che funzionasse. Siamo partiti come tre chitarristi, per
cui è sembrato naturale che uno imparasse a suonare il mandolino. Avevamo la
batteria, ma portarsi dietro sia quella che la marimba era logisticamente
faticoso, e poco originale. Avevamo un bravo suonatore di didjeridoo, quindi ci
è sembrato naturale impiegarlo. In realtà si è partiti da una fase in cui tutti
cercavamo di suonare più o meno tutto, dai piani giocattolo alle seghe
musicali, (il nostro studio infatti è un magazzino pieno di strani oggetti
sonori) ad una fase di specializzazione di ognuno di noi su alcuni strumenti,
che si è resa necessaria soprattutto per il live.
Un’altra cosa che mi ha colpito è la mancanza di basso e
batteria, ma lo scandire dei tempi è garantito all’occorrenza, e ci sono tratti
del set che ho ascoltato caratterizzati dall’incalzare ritmico che è tutt’altro
che parte irrilevante nella vostra proposta: mi spiegate la vostra filosofia
musicale relativa all’argomento?
Proprio per quella sperimentazione di singolo e di gruppo di
cui parlavamo prima, ci siamo dati subito la regola che se qualcosa mancava,
bisognava trovare il modo di sostituirla. In tutte le produzioni del mondo ci
sono il basso e la batteria. Questo da un lato risolve il problema del ritmo e
delle basse frequenze – che sono necessarie in un contesto pop – ma dall’altro
rende molto difficile essere originali, perché le soluzioni non sono infinite,
soprattutto se si scrivono canzoni. Se uno si toglie delle certezze, è invece molto
più facile inventarsi qualcosa di diverso. Ti servono delle basse frequenze?
Puoi usare un didjeridoo. Ti serve un ritmo? Puoi usare un bidone. Puntiamo
molto sull’aspetto ritmico della nostra musica: la marimba, che è uno strumento
fantastico e si fa perdonare di pesare quanto una cassa da morto, ci dà una
grossa mano, e quello che normalmente farebbe un batterista è diviso dal vivo fra
quattro mani (e quattro piedi) che suonano una kick drum, un bidone dell’immondizia,
un paio di piatti e un djembé – oltre a molte altre cose.
Liriche intimistiche, etnia, sperimentazione, rock, effetto
scenico: siete consci che non siete la copia di nessuno? E’ questo un vostro
obiettivo primario?
Grazie del complimento – sì, ci facciamo molta attenzione. È
la parte divertente. È anche la parte difficile, perché poi non si sa bene in
che circuito andare a suonare, e per chi…
Da un po’ di tempo la vostra attività musicale è accompagnata
da quella didattica: me ne parlate?
L'attività didattica è una delle ramificazioni fondamentali
della nostra associazione culturale, altreArti. Ci occupiamo di
laboratori per tutti i livelli e tutte le fasce di età, operiamo nelle scuole
di ogni ordine e grado e forniamo laboratori extracurriculari di musica
d'insieme sia nella nostra sede principale di strada (a Torino, in strada del
Cascinotto 120 bis, al confine con San Mauro Torinese), sia in altre succursali
del territorio. Ogni nostra proposta è incentrata sulla musica “popular”, dalle
lezione di blues, gospel e folk nelle classi, agli ensemble monostrumentali,
alle band… (https://www.facebook.com/altreartijam)
Qual è nella vostra scuola il tipo di approccio
nell’affrontare l’argomento “musica” con un adolescente fornito di passione e buona
volontà? Che cosa offrite di diverso rispetto ai luoghi tradizionali?
La nostra metodologia nasce da anni di esperienza sul
campo, e dal desiderio di creare una realtà non solo in grado di trasmettere
l'amore per la musica, ma anche di plasmarsi a 360° con la sensibilità e i
bisogni dell'allievo, sia questo un bambino, un adolescente o un adulto. Quello
che ci contraddistingue è l'approccio pratico, diretto: chi studia con noi
impara fin da subito a mettere le mani sullo strumento e a creare un “suo”
suono. La teoria e la tecnica arrivano in un secondo momento: sono invece
fondamentali l'esperienza della musica d'insieme, l'interazione con gli altri
musicisti, l'ascolto, la sonorizzazione e il ri-arrangiamento di qualunque
canzone o genere musicale attraverso l'improvvisazione, l'estro e il gusto
personale. Che è un po’ quello che cerchiamo di fare anche nella nostra musica…
Meglio il live o lo
studio di registrazione?
Li amiamo entrambi, per motivi diversi. Senza la dimensione
live, sarebbe difficile esistere come gruppo e progredire musicalmente. Ma, da
feticisti del suono, ci piace anche molto lavorare in studio sui piccoli
dettagli. Anche troppo.
Che cosa avete pianificato per l’immediato futuro?
Il nostro primo LP, finalmente! Ci sono già 9-10 canzoni in
pre-produzione. Lo registreremo probabilmente in autunno, e speriamo veda la
luce all’inizio del 2016.
La Stanza Di Greta live…