Era il 1978 ed ero a
Como, nel mese di ottobre, per il servizio di leva, il famoso CAR, per la precisione.
Solo un mese per
convivere con giovani di cui probabilmente, di lì a poco, si sarebbero perse le
tracce, per la diversità di destinazione. Ma qualche immagine rimane nitida, e
tra queste c’è quella di una lunga fila di affamati in attesa del “rancho”, che
era sempre poco e sempre di scarsa qualità, ma la fame è fame!
In coda si cazzeggiava
quel giorno, e ad un certo punto ricordo che le posate iniziarono a battere
sulle gamelle, ma non tutte, bisognava avere coraggio per sfidare l’autorità!
Tra di noi un ragazzo
romano di cui si sapeva solo che era … un batterista già di livello, cosa che
colpiva molto a quei tempi. La sua fama trovò subito riscontro nel suo modo di “picchiare” sul pentolino, non un ritmo comune, da inesperto, ma
sincopato, regolare nella sua irregolarità, e tutto questo fece innervosire un
tenente, giovane come noi e quindi un probabile “finto” arrabbiato.
A metà novembre persi
di vista Giancarlo
Aru, e non lo vidi mai più di persona, anche se negli anni a seguire
lo ritrovai in TV, e fui contento per le sue
affermazioni e orgoglioso di averlo conosciuto.
La strada di Aru è stata lunga, tortuosa e piena di
soddisfazione, tra blues e jazz, in viaggio insieme a nomi stratosferici.
Ho ripensato a lui
qualche giorno fa, per caso, dopo aver ritrovato una vecchia fotografia di quei
giorni. L’ho cercato su facebook e ho verificato che anche per lui era un
piacere ricordare quei momenti.
Ecco come è andata la
sua vita musicale, dal momento in cui l’ho perso…
Ti ritrovo dopo 36
anni, casualmente, dopo averti conosciuto durante il servizio di leva: che cosa
ti è accaduto, musicalmente parlando, in questo lungo periodo?
Ritrovarti dopo molti
anni per me è stata una grande emozione, certo il mio cammino artistico
all'epoca della leva militare era già avviato da molto tempo, avendo cominciato
a suonare la batteria all'età di quattro anni; tra l'altro nella mia famiglia
erano tutti musicisti, partendo da mio padre, maestro di musica, che mi mise
per la prima volta le bacchette in mano. Ma torniamo al nostro primo incontro
del 1978; ti posso dire, relativamente alla musica, che ho avuto molte
possibilità artistiche, sia live che in studio di registrazione; faccio qualche
esempio: ho lavorato con il Maestro Armando Trovaioli nel 1980 per il Musical
intitolato “Bravo”, con Enrico Montesano, al teatro Sistina di Roma; in seguito
con Roberto Ciotti per il blues, aprendo
il concerto di Bob Marley allo stadio San Siro di Milano, sempre nel 1980;
altri festival Blues, quale Pistoia Blues prima di BB King, e in seguito entrai
a far parte della band di Tony Esposito per circa due anni. Poi venne il momento
di Napoli Centrale con James Senese ed anche in quella situazione fu una bellissima
esperienza; a seguire suonai con altre band di formazione jazzistica e funk. Qualche
anno dopo formai una mia band, i Boolfrog, composta da grandi musicisti, quali
Fabio Forte al trombone, Max Bottini al basso elettrico, Fabio Zeppetella alle
chitarre e in fine Stefano Sastro al
piano e tastiere: fu un grande successo! Altre collaborazioni con solisti come
Oscar Valdambrini, Maurizio Giammarco, Enrico Pieranunzi, Massimo Moriconi,
Danilo rea, Al Corvini, Dino Piana, Dado Moroni e molti altri. Altre
collaborazioni, in questo caso con grandi direttori d'orchestra… Enrico Simonetti, Renato Serio, Gianni Ferrio, Bruno
Canfora, Armando TRovaioli ecc ecc.; negli anni a seguire mi trasferii negli Stati Uniti, alle Hawaii, Honolulu per
essere precisi, un posto fantastico per il clima, la gente, la musica jazz, la
cultura in generale. Da lì andai a stare per qualche mese a Miami dove viveva
il amico e fratello Bobby Thomas jr,
percussionista già dei Wather Report; suonammo insieme in diverse
situazioni, sia con jazzisti del posto sia anche in studio di registrazione.
Poi capitò una grande occasione, nel senso che Joe Zawinul stava cercando un nuovo
batterista per Sindacate Band e Bobby Thomas mi propose per fare un audizione, quindi
mi recai a Los Angeles dove incontrai
Joe: facemmo alcune registrazioni nello studio di casa sua, a Malibu; fui molto
contento di suonare con lui ma c'era qualcosa che non andava nei nostri
rapporti e alla fine decisi di tornare a Honolulu, sapendo che avrei rinunciato
ad una grande occasione. Tornato in Italia alla fine degli anni novanta
rientrai nella band di Roberto Ciotti, dove rimasi per circa tre anni e mezzo; lavoravo come
turnista e live con diversi artisti. Che dire, per raccontare
tutte le esperienze più belle di una vita trascorsa nel mondo della musica ci
vorrebbero mesi di scrittura!
Leggendo un po’ di tua
biografia ho scoperto collaborazioni pazzesche all’interno del mondo jazz, che
mi hai appena confermato: è quello il tuo primo interesse musicale?
Sicuramente il Jazz è un mondo musicale nel quale tutto è possibile, e le innovazioni, la ricerca, le composizioni e le improvvisazioni danno ai musicisti grandi qualità e modo di crescere musicalmente.
L’aver suonato assieme a Roberto Ciotti dimostra anche l’amore
per il blues: me ne parli?
E’ stata anche quella un'esperienza unica… ti spiego perché: intorno al
1976/1977 suonavo in trio con Ciotti e al basso c'era Enzo Pietropaoli; bene,
quel trio penso sia stato una delle prime formazioni che suonava blues in
Italia a quell'epoca e il pubblico italiano non sapeva nulla a riguardo perchè
il blues era poco conosciuto; in seguito si crearono altre band di blues ecc.
ma è a Roberto Ciotti che si deve oggi la conoscenza del blues in Italia. Sono
onorato d'aver partecipato a quella magnifica esperienza.
Esiste un momento che ha influenzato definitivamente la tua
vita e ti ha portato ad essere musicista in modo permanente?
Credo di esserci nato con il dono della musica, ti dico solo
che a sei anni ero già un professionista, suonando nell'orchestra di mio padre,
accompagnando nelle serate artisti quali la grande cantante Nilla Pizzi, il
grande Joe Sentieri, Achille Togliani ed altri; l'orchestra girava il mondo
nelle tournèe estive, anche perché, chiaramente, in inverno andavo a scuola.
Mi racconti un aneddoto, un ricordo, una conoscenza che ti ha
particolarmente gratificato nel corso di carriera?
All'età di dieci anni un giorno mio padre mi diede un
biglietto d'invito per un evento che si sarebbe svolto al Piper club di Roma:
stiamo parlando del 1968 e nel pomeriggio si sarebbe esibito il grande
batterista americano Bobby Cristian, di Chicago, e nell’occasione avrebbe
presentato la nuova batteria Ludwing; fatto sta che quel pomeriggio mi
accompagnò mio fratello e ricordo che c'erano tutti i batteristi più in voga
del momento; suonarono in diversi, poi venne il mio turno, e ricordo che non
smettevo più di suonare il solo che avevo iniziato, e alla fine mi tirarono giù
dalla batteria per forza e mi fecero cenno di raggiungere il centro del palco
dove c'era Bobby Cristian che parlava al microfono, e con entusiasmo e mi
consegno un biglietto con su scritto primo premio batteria Ludwing: avevo vinto
una batteria! Capisci… fu pazzesco! Bene, questa per me è stata una grande
soddisfazione che ancora oggi ricordo con grande emozione.
So che proponi un metodo innovativo legato all’apprendimento
del tuo strumento, la batteria: me ne parli?
Sì, nel mio percorso musicale ho avuto molte occasioni e la
fortuna di studiare con Enrico Lucchini, Vincenzo Restuccia ed il grande Marvin
Boogalu Smith… diverse tipologie di metodo, possiamo dire a volte classici a
volte molto complessi: negli anni ho messo appunto un sistema didattico molto
semplice ed efficace, nel senso che permette agli studenti di arrivare praticamente subito a quello che in gergo io
chiamo il lavoro finito. Ecco, il mio sistema semplice permette di suonare
subito lo strumento senza dover passare a volte in percorsi inutili.
Quanto è importante per te l’aspetto didattico,
l’insegnamento verso i più giovani, al di là dei problemi di ordine pratico che
possono spingere ad intraprendere una strada piuttosto che un’altra?
L'insegnamento e l'aspetto didattico sono secondo me un argomenti
riservati a poche persone; insegnare e trasmettere agli studenti il concetto che
un giorno, forse, saranno dei professionisti, è molto difficile per il semplice
motivo che, con tutto il materiale a disposizione -video, libri, seminari con
grandi della musica- si rischia di fare molta confusione e non si raggiunge mai
l'obbiettivo finale, cioè essere un musicista completo.
Nell’interessantissimo libro scritto qualche anno fa da Bill
Bruford emerge come la vita del musicista jazz sia, a parità di importanza,
molto meno remunerativa rispetto ai nomi rilevanti del rock: tu cosa ne
pensi?
Sì, sono d'accordo con Bruford, ma vorrei sottolineare un aspetto molto
importante: nella musica rock è più facile
che nella musica jazz, il rock è più vendibile e abbraccia un pubblico molto
molto vasto, il Jazz vive in un altro mondo, sia per tipologia di pubblico che
di vendite, essendo musica non commerciale .
Che giudizio dai dell’attuale stato della musica?
Il momento storico musicale che viviamo ora mi pare veramente
povero di idee, di ideali, di compositori, di artisti che possono dire qualcosa
di nuovo; oggi è raro trovare validi musicisti, che hanno fatto la storia, ma mi
auguro che nel futuro prossimo possano esserci nuove generazioni in grado di
aggiungere nuove pagine significative alla storia musicale.
Preferisci la fase “live” o quella “studio”?
Essendo due situazioni diverse fra loro credo si possono
unire, cioè essere professionale sempre, sia nel live che in studio, ma
alla fine dare sempre il meglio
significa aver soddisfatto se stesso e gli altri, cioè ancora una volta aver fatto della buona
musica.
Cosa possiamo leggere nel libro dei progetti prossimi di
Giancarlo Aru?
Nei prossimi progetti in uscita, ce n’è uno in
particolare che sto preparando dedicato completamente allo sviluppo interiore
dell'uomo tramite la cultura di ANTICHI RITMI E SEGRETI DEI NATIVI D'AMERICA; è
questo è un progetto ambizioso e sarà presentato in autunno a Roma.