giovedì 18 luglio 2013

Runaway Totem, Affreschi e Meditazioni, di Gianni Sapia


Gianni Sapia, come spesso è accaduto nell’ultimo periodo, ci racconta qualcosa di un album di Runaway Totem, Affreschi e Meditazioni.

Le palpebre si appesantiscono, ma non di sonno, di sogno. La trascendente spiritualità dell’India ad ogni passo, dietro ogni angolo. Risalgono dal profondo della memoria, a caccia d’aria, parole desuete come trasumanazione, dharma, karma, monismo, dualismo. Gli intricati vicoli della città sono densi di sonorità ascetiche. La gente sorride, di un sorriso rassicurante. Il sorriso di chi ha avuto il coraggio di guardare oltre la propria pelle ed aver affrontato l’incontro più difficile, l’incontro con se stessi. Il sorriso della consapevolezza. La luce è forte, è luce d’anima. Consolatrice. Mi guardano con quel benevolo sorriso e gesticolando mi invitano ad entrare in loro, nel loro alito. È un invito a far parte di quell’essere totale che da forma ad ogni individuo, ad ogni personalità. Lascio che sia. Seguo l’onda di calore che si palesa tra i miei sensi e seguo quel cammino invisibile ben tracciato dalle mie emozioni, finché il suono del gong risveglia la mia mente, aprendo alla vista della mia subcoscienza gli orizzonti sferici di Stupa, dove corpo, voce e mente di Buddha prendono forma attraverso suoni che inebriano la mente ed amplificano i sensi. È come l’acqua. Un suono che colma e che prende la forma dell’intorno. La cupola del sacro monumento sfuma tra voci di meditazione, aprendosi ad un cielo che sembra essere il percorso mai disegnato di nuvole, che gareggiano tra loro, sospinte da venti che soffiano senza direzione, dando forma ad un caos equilibrato. Resto col naso per aria ad ammirare quel rincorrersi frenetico, che solletica ricordi che sembravano sopiti e rivedo la mia vita che corre, sospinta da dogmi che non gli appartengono. Quello che è stato e quello che è. Ieri e oggi. Passato e Presente. La musica continua a ripetere suoni di speranza che alimentano il desiderio di futuro. C’è ancora tempo, posso ancora essere parte della vita. Abbasso lo sguardo verso l’orizzonte vibrante di calore e di suoni che sembrano soltanto voler cominciare, senza andare avanti. Inizio a camminare, lasciando che il mondo scorra sotto di me fino a quando, ancora lontano, scorgo i nitidi contorni di TaT, l’Albero Cosmico, con tutto il carico dei suoi allegorici frutti. Mi avvicino ancora. Ora quell’embrione di musica prende maggiore sostanza ed assume un cadenza annunciatrice. L’albero sembra possedere più di un diaframma e con voce polivalente canta una parte della sacra scrittura, la Bhagavad Gita. Il divenire onirico non conosce tregua. Orizzonti e cieli cambiano veloci assecondando l’inconscio, palesando forme sconosciute agli occhi. La musica è sempre lì. Ora si è fatta incantatrice e suadente, come i tenui colori dell’arenaria de La Città Rosa, Jaipur, la cui bellezza ha preso improvvisamente forma, come se l’incantevole Hawa Mahal fosse caduto dal cielo ad interrompere il mio cammino, per mostrarsi in tutta la sua bellezza. Varco la soglia del palazzo vestito di rosa e appena entro sono fuori, in cielo. La gravità e alle mie spalle, come tutto il resto. Rimane la musica, che ora si è fatta adorante. Il mio volo mi trascina in uno stato contemplativo che attenua i  miei sensi sempre di più, fino a cancellarli. Il processo di trasumanazione ormai galoppa libero e ad ogni secondo mi sento sempre più vicino a Dio. Il figlio primogenito di Śiva e Parvati vola al mio fianco. Mi fermo a guardarlo estasiato e rimango adorante ai suoi piedi. è tempo di Ganesha Puja. Ormai non c’è più spazio per l’immanenza e tutto ciò che resta è pura trascendenza. Metafisica. Il volo prosegue sulla scia della musica divenuta ipnotica, che mi accompagna verso la mia meta. Verso il sole. La luce  abbagliante della magnifica stella rende ciechi soltanto i miei occhi, ma rende visibile alla mia mente e al mio cuore la bellezza dell’anima. Tamburi incessanti accompagnano il mio Inno A Surya. Lentamente le palpebre scorrono sui bulbi oculari e riapro gli occhi, ancora ebbro di astrattezza. Poi riconosco il contorno. Prima il soffitto, poi le pareti di casa mia, i miei piedi, le mie gambe. Il mio corpo disteso sul letto. Mi tocco, per assicurarmi di essere tangibile. Esisto. Per un attimo lungo una vita, la musica che ha riempito la stanza, mi ha fatto vivere nuove sensazioni. Giro appena la testa e sul comodino scorgo la custodia del CD appena ascoltato. I colori della copertina e del booklet dovuti alle visioni pittoriche di Castellano Stelio concimano ulteriormente il mio immaginario. Solo passione e amore possono spingere a fare un disco del genere. È un viaggio spirituale che dura ormai da un decennio. Non è una band, sarebbe limitativo. È un’entità ultramondana che si riflette di volta in volta nei protagonisti che gli danno forma. È una stella con tanti pianeti che gli ruotano attorno. È Runaway Totem e a dar suono alla sua voce in questa occasione, nell’ultima opera Affreschi e Meditazioni, sono CAHAL DE BETEL (Roberto Gottardi, chitarra acustica, liuteria elettronica, percussioni elettroniche), RE-TUZ (Raffaello Regoli, voce, voce diplofonica), DAUNO (Giuseppe Buttiglione, basso fretless) e TIPHERET (Germano Morghen, batteria), musicisti che mettono la loro tecnica al servizio dell’anima, fino alla meraviglia della voce “stratosiana” di RE_TUZ. Mi alzo dal letto, lentamente. Provo a poggiare i piedi per terra, ma l’inconsistenza del pavimento mi sorprende. Ancora emozioni di volo trascendentale. Sensazioni che restano, per un bel po’.