GEISHA RED CAN SATIRI è l’album omonimo, il primo, di una giovane
band pavese, di recente formazione, ma di buona esperienza.
Senza il loro aiuto mi sarebbe stato difficile sviscerare i dettagli del progetto, e ritengo quindi particolarmente
interessante l’intervista che segue, occasione in cui tutti gli aspetti importanti vengono almeno sfiorati.
Una
delle cose che spesso affronto con le nuove band è il nome, che è poi la genesi
per ogni ensemble musicale: “… che nome
ci diamo?”.
Non
svelo ancora il "segreto", ma è bello captare lo sforzo fatto per creare un brand che sia anche simbolo di una filosofia musicale, che si basa sulla contaminazione tra le
differenti arti, cosa che apprezzo particolarmente. Un esempio? La presenza
occasionale di un artista, pronto ad afferrare il feeling della fase live per trasformarlo in dipinto…
Va da se
che un concerto dei GRCS diventa
spettacolo nello spettacolo, e la frase… “… se non conosci la nostre canzoni non puoi ovviamente cantarle però
facciamo di tutto perché tu possa almeno ballarle…”, la dice
lunga su ciò che ci potrebbe capitare di vedere e ascoltare durante i loro
concerti.
Nove tracce in lingua inglese per un album che profuma di America,
mixato a L.A. e masterizzato a Nashville; nove brani che presentano un
volto chiaro che colloca immediatamente nella categoria groove e
funky, generi che forse rappresentano un minimo comune denominatore tra i
musicisti, ma la base dell’album è la libertà espressiva, che porta a spaziare
dal rock al momento acustico, passando per il punk, con una fermata sullo
spaccato più ameno degli anni ’70.
Le diversità - e quindi il differente background dei singoli componenti
- determinano la varietà della proposta, che mantiene alla base un’enorme
valore energetico la cui risultante è il rock, una “famiglia” musicale che si
tende a dilatare, modificare, attenuare od esasperare, ma alla quale si può
applicare il principio della conservazione dell’energia, così come lasciano
intravedere le affermazioni dei GRCS.
In questo
campo nulla si crea e nulla si distrugge, ma anche il rock - che cosa è se non energia esplosiva? - può essere
trasformato, e questi giovani musicisti dalle idee chiare ne danno una chiara e
netta dimostrazione che lascia
intravedere un futuro compositivo roseo, ed una adeguata risposta del pubblico.
GEISHA
RED CAN SATIRI non va studiato a lungo, ma basterà un unico ascolto
per un primo giudizio, positivo, che non cambierà più. Certo, occorre avere
bisogno di sana musica, non ancorata a schemi e a codifiche, ma decisamente
pulsante e imprescindibile dal battito costante che solo certe sezioni ritmiche
sanno fornire.
A fine
post un esempio musicale, ma prima di arrivarci prendiamo atto di idee
brillanti, di giovani che scelgono la via più difficile, quella dell’autoproduzione,
ma sicuramente più gratificante.
Le
soddisfazioni arriveranno…
L’INTERVISTA
Leggendo la vostra biografia si
scopre una genesi della band piuttosto recente, ma ascoltando la vostra musica
si ha la certezza di trovarsi dinanzi a musicisti con idee chiare e con un
ottimo know how: che tipo di storia e cultura musicale avete alle spalle?
La data di nascita della band la
fissiamo nel 2010 perché è l'anno in cui la formazione si è stabilizzata con
l’arrivo di Valerio alla voce e poi nel marzo 2012 è subentrato Manuel al basso
. Il realtà il primo nucleo della band risale a un paio di anni prima, quando
Tomas e Johnny (chitarra e batteria) si sono conosciuti e hanno iniziato a
suonare insieme. Le idee di base di alcuni pezzi che poi sono finito sul disco vengono
proprio da quel periodo lì e poi sono state elaborate e rielaborate nel tempo
fino alle versioni di oggi. Musicalmente siamo molto diversi gli uni
dagli altri, sia a livello di gusti musicali e cultura musicale, sia a livello
di esperienze...c'è chi che non ha mai avuto altre esperienze di band prima di
questa, così come c'è chi ha suonato un pò di tutto e un pò in ogni contesto.
Questa diversità, seppur a volte non semplice da gestire, è comunque preziosa,
perché porta a un continuo scambio di idee ed è la vera forza del gruppo.
Proponete qualcosa di originale, che
miscela differenti influenze: come definireste la vostra musica… a parole?
Ci etichettano sempre come
"funk/rock" e quando dici "funk/rock" il collegamento con i
Red Hot Chili Peppers è praticamente automatico…ma per fortuna con loro non
centriamo niente. Non è sbagliato dire "funk/rock", ma è comunque
riduttivo...il sound di base è rock e ci sono groove funky, ma c'è anche altro.
Nel disco c'è il pezzo funky classico, c'è il pezzo hard rock, il pezzo punk,
c'è una ballata acustica con i violini, ci sono intermezzi latin e armonie
quasi jazz quindi non sappiamo nemmeno noi come descriverlo a parole e forse è
proprio questo il nostro punto di forza: siamo originali e difficilmente
classificabili in un solo genere.
E’ uscito il vostro primo album
omonimo, GEISHA RED CAN SATIRI: quale
il messaggio? Esiste un filo conduttore tra le varie tracce?
Il filo conduttore tracciato nel disco è
essenzialmente la libertà che abbiamo dato alla fantasia e alla creatività per
andare alla ricerca del nostro sound, il voler suonare per il semplice piacere
di farlo e suonare quello che ci piaceva in quel momento. Credo che questo
spirito si colga molto ascoltando il disco ed è molto rappresentativo del
nostro modo di essere e di fare.
Perché tra una Geisha e i Satiri trova spazio
una lattina rossa?
Il nome GEISHA RED CAN SATIRI è nato per
caso dopo degli strani viaggi mentali ma ci rappresenta molto. Da una parte c'è
l'immagine della Geisha, un'artista nata e creata per soddisfare chi ne
usufruisce, esperta nell'arte del canto, della musica, della pittura, del
teatro e del ballo e rappresenta il mondo orientale. Il Satiro invece è
un'immagine della cultura occidentale ed è l'esatto opposto della Geisha...venivano
rappresentati come esseri libidinosi dediti alla promiscuità e inclini al vino
e alla baldoria. La lattina rossa è l'unica cosa che sta tra questi due mondi e
serve solo per attingere le pennellate che li uniscono. Questa idea di
contaminazione è alla base di quello che cerchiamo di fare come band, non solo
a livello musicale, cercando di spaziare tra i generi senza fossilizzarci, ma
anche a livello di spettacolo, cercando di unire più discipline nello stesso
contesto. Spesso dal vivo portiamo con noi un disegnatore che dipinge dal vivo
(dipingendo anche sui volti della gente tra il pubblico) mentre noi suoniamo,
con l'obiettivo di trasformare in immagini quello che noi stiamo facendo con la
musica. Sempre partendo dall'idea di contaminazione e multidisciplinarietà, da
un anno a questa parte organizziamo nella cascina dove abbiamo la sala prove
(ce ne sono circa 50 con altrettanti gruppi), delle "Feste della
musica" con l'obiettivo, da una parte, di portare la gente nei luoghi dove
la musica nasce e cresce (visto che almeno a Pavia è rimasto un solo locale
live quindi suonare dal vivo è sempre più difficile), dall'altra di mettere
nello stesso contesto band e musicisti diversi e cercare di creare relazioni e
collaborazioni. Durante la prima festa abbiamo fatto suonare 14 band dal pomeriggio
fino a notte inoltrata...ci sono state band che facevano metal, elettronica,
psichedelica, cantautori, pop, funky, latino e un trio
voce/chitarra/violoncello...e poi jam session fin quasi all'alba. All'ultima
festa fatta a giugno, oltre alle band, siamo riusciti ad avere una compagnia
teatrale che ha messo in scena un testo di Harold Pinter, e la visita di
Pierpaolo Capovilla del "Teatro deli Orrori" che è stato con noi
tutta la sera e gran parte della notte ad ascoltare e parlare con le band.
Nell’ultimo anno avete partecipato ad un mini tour estivo in terra di Albione: come siete riusciti ad organizzarlo, e come giudicate l’esperienza?
Il tour in UK è arrivato dopo aver vinto
un concorso nel 2011. Ora però, anche con l'aiuto di Andrea Lepori (il fonico
con cui abbiamo prodotto due pezzi del disco e mixato il tutto) stiamo
lavorando autonomamente per cercare di tornare a suonare a Londra nel prossimo
autunno/inverno. L'esperienza è stata sicuramente positiva...ha aiutato a
creare ancora più affiatamento nel gruppo ed è stato bello poter suonare la propria
musica e avere riscontro da un pubblico sicuramente più attento di quello che
troviamo in un qualsiasi locale qui in Italia. E' una frase fatta ma c'è una
diversa cultura della musica e dei concerti…o semplicemente loro ne hanno una e
noi no. C'è interesse, attenzione e partecipazione ai concerti e la gente paga
volentieri per vedere gruppi che non conosce e sentire qualcosa di nuovo.
L’album è stato mixato a Los Angeles e masterizzato a Nashville, luoghi che profumano di musica, seppur di diversa tipologia. Come siete riusciti a realizzare il progetto? Poca fiducia nelle possibilità di casa nostra o mero elemento di prestigio?
La struttura di Nashville a cui abbiamo
fatto masterizzare il disco è una struttura con cui il nostro fonico (Andrea
Lepori) lavora da anni, per cui sapeva che poteva garantirci un ottimo lavoro
seppur con budget esiguo a disposizione. La scelta del mixaggio a L.A non è
dovuta a questioni di prestigio (anche se gli studi in cui è stato fatto sono
studi storici e i nomi che sono passati tra quelle mura fanno rabbrividire) o
sfiducia nei mezzi ma semplicemente perché ci sembrava il giusto sfogo
artistico che questa produzione doveva avere. Abbiamo avuto questa possibilità
e l'abbiamo .
Perché l’utilizzo della lingua inglese?
E' la lingua che viene spontaneo usare.
La maggior parte dei nostri brani nasce da una jam...si iniziano le prove
jammando un pò per riscaldarci; poi ci si ascolta e ci si segue a vicenda
cercando di lasciarci trasportare gli uni dagli altri. Mentre noi facciamo
questo con la musica, Valerio fa la stessa cosa con la voce cercando di
incastrare una melodia sulla ritmica e sull'armonia che noi stiamo improvvisando
e nel fare questo gli viene spontaneo improvvisare parole e frasi in inglese,
di senso più o meno compiuto. Su questi abbozzi di frasi e parole poi ci si
lavora cercando di tirare fuori un testo con un senso e un messaggio.
Che cosa accade nei vostri live? Come avviene
l’interazione col pubblico?
I live sono molto energici e molto
fisici... diciamo che ci piace far ballare e far muovere il culo alla gente e
per questo la nostra musica si presta molto; è molto difficile stare fermi, sia
noi sul palco, sia la gente sotto. Facendo musica nostra, che quindi la
maggioranza del pubblico può non conoscere, è fondamentale riuscire a creare
questo tipo di connessione band-pubblico. Se non conosci la nostre canzoni non
puoi ovviamente cantarle però facciamo di tutto perché tu possa almeno
ballarle... questo è il concetto.
Ipotizziamo il futuro: cosa vorreste vi accadesse, musicalmente parlando, nel breve spazio temporale?
Suonare, suonare e suonare...è la cosa
più importante per ogni musicista e band. Vogliamo suonare il più possibile, in
posti e contesti diversi e con un pubblico sempre diverso. Allo stesso tempo continuiamo
a lavorare sempre su brani nuovi, ricercando e approfondendo quello che è il
nostro sound. Siamo una band, facciamo musica ed è quello che più ci preme
fare.
Biografia
Nati nel 2010 dall’incontro di un gruppo
di musicisti pavesi molto eterogeneo in quanto a background musicali, i GEISHA
RED CAN SATIRI propongono un repertorio formato esclusivamente da brani inediti
e autoprodotti. I suoni tipici del rock si mischiano alle ritmiche swing, le
percussioni latine si uniscono ai grooves funky e le chitarre distorte del punk
si mischiano a quelle acustiche per creare continue influenze e
contaminazioni tra suoni e generi musicali. Nell’ultimo anno, oltre a un mini
tour estivo in Inghilterra tra Londra e Brighton, la band ha avuto modo di
suonare su palchi storici come quello di "SPAZIOMUSICA" a
Pavia,"LE SCIMMIE" a Milano, “CARROPONTE” a Sesto San Giovanni e in
contesti importanti tra cui il “MEI: Meeting delle Etichette Indipendenti” a Faenza
in seguito alla vittoria del “PAVIA ROCK FESTIVAL 2012”. Sempre nel 2012, con
il brano “Pink moon”, partecipa a “TOW THE LINE : SONGS BY NICK DRAKE”, la
compilation tributo al cantautore inglese edita da Martinè Records.