Foto di Angelo Lucardi
Il 17 luglio riporta i The Watch
a Savona, a distanza di quattro mesi dal concerto di Valleggia.
Il nuovo contesto è
obiettivamente prestigioso e affascinante, all’interno della Fortezza del Priamar, luogo che nel recente passato è stato testimone di concerti
di grande livello, compreso quello di Steve
Hackett, in qualche modo presente sul palco anche in questa occasione, per
la musica, ovvio, ma anche per un aneddoto raccontato da Simone Rossetti, leader del gruppo, a cui farò accenno nel corso di
questo commento.
Doveroso iniziare
dalla motivazione, dalla scintilla che, scoccando, ha provocato come reazione
un evento live.
Trattasi di progetto nato dalla
collaborazione tra il Lions Club Savona
Torretta e MusicArTeam, aventi come comune denominatore Max
Pacini, importante protagonista in entrambe le associazioni.
Alla base un fine
benefico, quello di utilizzare il ricavato per l’acquisto/addestramento di un
cane guida da destinarsi ad un non vedente savonese, cogliendo anche
l’occasione per diffondere le basi dell’attività dei Lions sul territorio.
Per fare ciò si è
pensato ad una musica ormai immortale, quella dei Genesis, proposta da professionisti che definire tribute band appare riduttivo, visto l’importante - per qualità e quantità -
produzione propria, presentata in minima parte anche in questa occasione.
E’ di moda presentare
i “quarantennali”, perché è estremamente facile pescare a colpo sicuro nel
contenitore della musica progressiva di inizio anni ’70 essendo certi di non
sbagliare, ammesso che i ripropositori dei giorni nostri siano talentuosi.
I The Watch sono stratosferici, e la risposta del pubblico resta la
miglior testimonianza possibile.
I presupposti
pomeridiani hanno fatto temere il peggio: un forte acquazzone di consistente
durata ha rischiato di invalidare il progetto, provocando una lunga sosta nel
corso del soundcheck.
Ma come spesso accade
in estate le situazioni meteorologiche hanno avuto rapida evoluzione positiva e
tutto è proseguito secondo programma, dopo una massiccia opera di asciugamento
di sedie, palco e pedane di passaggio.
Dal palco la
prospettiva inganna, ed è difficile credere che ci sia spazio per 770 anime, e
sarà comunque elemento di soddisfazione, ad inizio concerto, vedere oltre metà
dei posti a sedere occupati.
Occorre dire intanto
che i The Watch hanno fatto centro, ancora una volta, e va tenuto conto del
fatto che, probabilmente, alcuni dei presenti erano sul posto per rispetto del
ruolo, quindi non appassionati attivi, ed anche per loro il coinvolgimento è stato
totale.
Dalla mia postazione
in zona mixer era naturale osservare l’audience nella sua globalità, e raramente ho visto un tale livello di
concentrazione durante una performance (normalmente c’è sempre chi si alza e, mostrando segni di insofferenza abbandona la staticità).
Osservando il video a
seguire (purtroppo di scarsa qualità visiva essendo la camera in posizione
fissa, ma buono dal punto di vista audio), risulta palese la necessità di
richiamare sul palco la band per il bis: non un atto dovuto, ma una grande
voglia di proseguire ancora un po’…
Dopo questa lunga
premessa, doverosa per chi non ha potuto partecipare, arriviamo al concerto.
I The Watch sono: Simone Rossetti (vocalist e flautista), Giorgio Gabriel
(chitarre), Marco
Fabbri (batteria e percussioni), Valerio De Vittorio (tastiere) e,
nell’occasione, Andrea
Garbelotto (basso e chitarre).
Ciò che proporranno
nell’arco di serata è un estratto da album che coprono lo spazio temporale
1970/1976.
La parte sostanziosa
delle due ore di concerto vede in evidenza Foxtrot - 1972 - per effetto della
lunga suite di Supper’s Ready a cui
si sono aggiunte Watcher Of The Skyes, Can Utility And The Coastliners e Horizons.
Watcher… ha dato, come spesso capita, lo
start, e il crescendo del tappeto di mellotron è stato rappresentativo
dell’intera performance, un’evoluzione costante che ha portato alla stato finale di simbiosi tra band e partecipanti,
alcuni dei quali esperti e pronti a dare giusti suggerimenti sui volumi,
aspetto tecnico che si mette a punto nei minuti iniziali.
Ad ogni nuovo annuncio
un tuffo al cuore e ripercorrere parte di Selling England By The Pound - 1974 - con uno dei brani più belli della storia
della musica, Firth Of Fifth, ha
provocato l’accelerazione.
Spazio anche per The Lamb Lies Down On Broadway - 1975
- e per due brani di Nursery Cryme - 1971 - The Return Of The Giant Hogweed e The Fountain Of Salmacis.
La qualità della
musica dei The Watch è captata in toto dal pubblico, che gradirà anche il loro
repertorio proprio, sintetizzato nei brani Soaring
On e The Fisherman.
Simone Rossetti ha un
modo estremamente riservato di porsi, quasi sottovoce nel racconto, ma la sua
vocalità è incredibile, e tra le più fedeli rispetto al mito Peter Gabriel. E’
lui il leader, il riferimento, e attorno a lui ruotano elementi rodati ed
estremamente dotati, e occorre sottolineare l’apporto dato da chi non è parte
integrante della band - il già citato Garbelotto - che è apparso preciso e
completamente dentro la parte, un ruolo che conosce molto bene ma esercitato solitamente
in altri contesti.
Emozionante il drumming
di Fabbri e fondamentale il tappeto tastieristico di De Vittorio.
Los Endos è il brano strumentale di Trick Of The Tail - 1976, primo
album senza Peter Gabriel - e non richiede la presenza di Rossetti, che lascia
spazio al resto della truppa. E finisce il set.
Giorgio Gabriel -
nomen omen - come nella migliore tradizione dei chitarristi targati Genesis, mantiene
la sua posizione sulla sedia anche quando rientra solitario per il primo dei
due bis e regala Horizons, proposta
con una dodici corde anziché la tradizionale sei, fatto che in passato ha
suscitato la curiosità di Steve Hackett, stupito da tale virtuosismo: Rossetti
racconta come dietro alla scelta ci sia una mera esigenza pratica,
l’impossibilità di trovare spazio per un’altra chitarra all’interno del furgone
degli strumenti, per la serie… quando la necessità conduce al virtuosismo!
E arriva l’apice,
l’immancabile The Knife -Trespass,
1970 - e anche Giorgio Gabriel si alza in piedi per l’atto finale che manderà
in delirio gli spettatori.
Tante le soddisfazioni
a fine serata… la musica vincente, la partecipazione, il probabile
raggiungimento degli obietti prefissati, e la consapevolezza che la buona organizzazione
ed il lavoro di squadra pagano sempre.
Era la prima volta per
i Lions di Savona, e immagino non sia stato semplicissimo trovarsi ad
affrontare situazioni gestionali completamente nuove - e la riuscita di un
evento è strettamente legata alla
perfetta pianificazione e suddivisione dei ruoli - ma tutto è andato bene, oltre le più rosee
aspettative, e mi auguro che questo possa essere la corretta spinta per
riprovarci un'altra volta, utilizzando la musica per uno scopo nobile, e in ogni caso per promuovere la cultura.
Un ringraziamento a Yastaradio per l'impegno e la diretta radio.