Come un Indiana Jones della musica, la genovese Black Widow
scava i terreni che hanno visto protagonisti tra gli altri Genesis, Gentle
Giant, Van Der Graaf Generator e Soft Machine e scova reperti a cui solo
oggi si cerca di attribuire il valore che meritano. Dall’inesauribile miniera
del progressive dei ’70 vengono dissotterrati e portati alla luce monili e
gioielli di cui si era persa memoria, fino addirittura ad ignorarne
l’esistenza. Ma non è mai troppo tardi per porre rimedio agli errori del
passato. Perlomeno non in questo caso. Con la stessa perizia con cui due amanti
di lungo corso sfiorano ed accarezzano i loro corpi, solleticandone le parti
più sensibili, il marchio genovese offre agli appassionati del genere i Maelstrom, con l’album ora omonimo, ma
che nel ’73, quando fu registrato, sarebbe dovuto uscire sotto il titolo On The Gulf. Sarebbe, già. Perché non
vide la luce fino agli anni ’90, quando una label privata ne pubblicò una
versione in CD, naturalmente introvabile. Resta un mistero sul perché un lavoro
come questo non abbia mai avuto i giusti riconoscimenti. Ma il mistero altro
non è che un amplificatore del fascino, dove già l’oggetto del mistero sia di
per sé affascinante. E in questo lavoro di fascino ce n’è, ce n’è un bel po’.
Con i Maelstrom l’America ha
un’impennata d’orgoglio e rivela al mondo come quel tipo di progressive così
sofisticato non fosse un’esclusiva dei cugini inglesi, ma si poteva fare anche
nel Nuovo Mondo, magari insaporendolo con qualche spezia locale, tipo il jazz.
Il nome maelstrom poi è stato ripreso da un’infinità di altre band, soprattutto
nel metal, ma chissà, forse loro sono stati i primi, gli originali. Un mio
pensiero romantico. L’album presenta dieci tracce, di cui le prime otto
registrate appunto nel ’73 a Fort Walton Beach, Florida, mentre le ultime due
furono registrate dal vivo nel 1980 in occasione de The Three Rivers Festival a Fort Wayne, Indiana. La prima line up
era formata da Roberts Owen
(chitarra acustica, sassofono, piano, mellotron e voce), James Larner (flauto, vibrafono, marimba, piano, armonica), Paul Klotzbier (basso), Mark Knox (organo Hammond, mellotron,
clavicembalo), Jim Miller (batteria
e percussioni) e Jeff McMullen (voce
solista, chitarra elettrica), mentre nei due brani live, della formazione
originale troviamo i soli Owen e Klotzbier accompagnati da Rollin Wood (batteria) e D.
Kent Overholser (organo Hammond, mellotron, synth). Un album affascinante
dicevo, fin dal primo pezzo, Ceres,
dal carattere dolce e favoleggiante, dai cambi di ritmo indolori, quasi
sfumati, che a circa metà percorso immerge l’ascoltatore in un’atmosfera più
cupa e riflessiva, salvo poi indirizzarsi, dopo un ponte “organico”, verso una
fuga liturgico-ecclesiastica. Le influenze jazz sono ben riconoscibili
nell’incipit di In Memory e questa
febbre accompagnerà tutto il brano, condito da intermezzi comici e da innesti
sonori di ogni sorta che ne fanno un vero momento surreale. The Balloonist entra subito nel vivo e
non ne esce più. Vivo e vibrante fino alla fine, anche quando sembra che i toni
vogliano abbassarsi. Si dà un po’ di tregua apparente nella parte vocale, ma la
frenesia che lo contraddistingue resta latente senza mai scomparire del tutto.
Il classicismo di Alien, pur nella
sua brevità, lascia in chi ascolta un gusto di buono, di dolce. È un morso ad
un frutto maturo. Il brano seguente, Chronicles,
segue il cammino tracciato dal brano precedente, ma si trasforma ben presto in
qualcosa di più articolato, più acido, caratterizzato dalla smania del
sassofono. Law and Crime è il pezzo
più pop, quello di più facile ascolto, godibile nel suo contesto. Una sorta di
pausa caffè durante un brainstorming. Il momento di riposo, o forse sarebbe
meglio dire di riflessione, prosegue con Nature
Abounds. Un brano bucolico che serve da apripista per Below The Line, pezzo dal sapore pinkfloydiano. Una ballata di
carattere, che non conosce cali di tensione, il cui crescendo finale dà
ulteriore vigore ad una personalità ben marcata. È un viso con gli zigomi alti,
la mascella squadrata e lo sguardo fiero. Anche qui, come in quasi tutto
l’album, si passa dal bosco delle streghe al bosco delle fate continuamente,
senza interruzione. E siamo ai due live, Opus
None e Genesis To Geneva, due
brani strumentali in cui è evidente che la sperimentazione si è impadronita
della creatività della band. Un esercizio di tecnica strumentale che però non
risulta essere fine a se stesso, ma lascia chiaro in mente il disagio, il
disappunto, per quello che poteva essere e non è stato, per quanto i Maelstrom avrebbero potuto e
probabilmente voluto regalare all’appassionato pubblico del progressive-rock,
ma che non hanno potuto farlo perché … perché … perché?!? Probabilmente non lo
sapremo mai, ma per fortuna c’è la Black Widow Records che scava, setaccia,
spolvera e lucida i tesori nascosti che il tempo ci nasconde, sia che si tratti
di passato, sia che si tratti di futuro. Finché esisteranno persone come quelle
che danno vita al marchio ligure, beh, allora tutto può succedere, anche che un
piccolo gioiello dimenticato come Maelstrom
venga riproposto a buongustai la cui fame di buono non è mai sazia. Fortuna e
gloria Black Widow Records.
Track List:
Ceres (Roberts Owen)
In Memory (Mark Knox)
The Balloonist (Roberts Owen)
Alien (Jeff McCulllen)
Chronicles (James Larner)
Law and Crime (Roberts Owen)
Nature Abounds (James Larner)
Below The Line (Roberts Owen)
Opus None (Roberts Owen)
Genesis to Geneva (D. Kent Overholser)