lunedì 30 aprile 2012

HÖSTSONATEN - The rime of the ancient mariner, Charter One



HÖSTSONATEN è uno dei molteplici progetti di Fabio Zuffanti, musicista genovese di area progressiva.
E’ da poco uscito l’album The rime of the ancient mariner, Charter One, la cui lunga “gestazione” -l’idea risale al 1995- è perfettamente spiegata da Fabio stesso nelle righe a seguire.
Siamo di fronte alla trasposizione musicale del poema di Samuel Taylor Coleridge, iniziata e in parte proposta in due album datati 1996 e 1998 (HÖSTSONATEN e MIRRROGAMES), e ritenuta al tempo insoddisfacente, e quindi momentaneamente accantonata. La voglia di follow up si è manifestata nel 2011, e probabilmente non esiste una ragione particolare  che sostiene la decisione… certe cose si materializzano   senza necessità di ricerca, semplicemente si capisce che è arrivato il momento giusto.
Coleridge descrive una storia  molto lineare ma, raccontando le eccezionali avventure di un uomo di mare nel corso di un suo drammatico viaggio, delinea attraverso allegorie il percorso di una vita comune a molti, stimolando riflessioni che riguardano tutto il genere umano, oggi come due secoli fa.
Il poema è diviso in sette parti è in questo Charter One ne compaiono quattro, oltre al prologo, mentre le restanti tre, e l’epilogo, troveranno spazio nell’uscita del 2013.

La sommaria descrizione di questo nuovo/vecchio  lavoro di Zuffanti è per me cosa complicata, perché il mio gradimento personale potrebbe intaccare l’oggettività con cui dovrei trattare l’argomento. Da tempo ho smesso di cercare i canoni ufficiali della qualità musicale, essendo certo che sia poco importante trovare regole universali, e arrivando a stabilire una sorta di equazione che porta  a far coincidere la buona musica con le emozioni che essa provoca, ovvero una reazione positiva ad uno stimolo fatto di ritmi, note ed atmosfere.
Musicare The rime… è stata cosa, credo, estremamente complicata, e questo sì, è fatto oggettivo.
Trovare musicisti adeguati - non parlo di capacità tecniche ma interpretative- è stato, credo, altresì difficile, ma Zuffanti ha trovato la perfetta fermatura della boucle, passando oltretutto il testimone a differenti vocalist, che forniscono una prova straordinaria.
Ma il sunto è una musica  che, se fosse stata scritta nella prima parte dei seventies, sarebbe ora una piece significativa della musica progressiva, magari accanto a Nursery Cryme, Fragile  e Pawn Hearts. Nascere nel posto giusto al momento giusto, sembra retorica, ma è fondamentale per determinare il nostro destino.
Dal punto di vista emozionale, cioè quello che realmente apprezzo, The rime… lascia il segno, riportando ad un disegno sinfonico, trionfale e sognante che si alterna alla poesia e a voci “penetranti”. Conoscere il contenuto della “ballata”, seguire il testo e ascoltare l’album è una possibile chiave di lettura che permette di entrare in completa sintonia con l’opera. Di più... avere tra le mani la splendida copertina, opportunamente aperta, favorisce l’unione dell’elemento visivo che, unito a liriche e suoni, dona un senso di estrema completezza e consente un piccolo transfert che può durare l’intero album.
E’ sempre poco simpatico il ricorrere a modelli di riferimento passati, ma mi piace sottolineare il mood che mi ha accompagnato nell’ascolto, perché mi ha riportato d’abord  a qualcosa che provai molti  lustri fa quando, ascoltando Nursery Cryme, arrivò il momento di Seven Stones.
Capisco perfettamente - e lo invidio- Fabio Zuffanti quando racconta di aver pianto in un determinato momento del riascolto della  sua creazione, tale era la bellezza dell’ idea, divenuta fatto concreto. Lo comprendo perché ho provato a seguire la sua strada e anche io mi sono quasi commosso: cosa si dovrebbe chiedere di più ad una musica!?
Rock sinfonico, musica progressiva… chissà quante denominazioni si possono coniare per questo album! Io, dilungandomi,  direi…  musica che scuote gli animi e provoca scosse a catena nei più sensibili, anche in quelli che si ritengono immuni da certe reazioni, ritenute erroneamente ”debolezze”.
La proposizione in chiave live non sarà semplice, come Fabio spiega, ma penso dovrebbe essere l’obiettivo primario, un progetto itinerante che, ovviamente, va a cozzare con le attuali logiche che regolano il mondo della musica e della società in generale; il sogno di Zuffanti di portare l’opera oltre confine, laddove certa musica trova forse maggiore apprezzamento, è legittimo e auspicabile.
Il mio sogno è invece quello di vedere aperte, meglio se  spalancate, le porte delle scuole e dei luoghi deputati al trasferimento della cultura, spazi in cui ben pochi sanno dell’esistenza di  HÖSTSONATEN, e forse, anche per loro, trovarsi al posto giusto nel momento giusto potrebbe fare la differenza.
Musica imperdibile!!!





Fabio Zuffanti approfondisce…

A: Torniamo indietro  di qualche anno. Che cosa ti indusse, nel ’95, a dedicarti alla trasposizione di “The rime…”, qual è l’aspetto che ti ha portato a pensare che, proprio quel poema, avrebbe dovuto avere una vita arricchita dalla musica?

F: Comincio col dire che la scoperta da parte mia del poema di Coleridge risale alla metà degli anni ottanta, nello specifico nel momento dell’uscita di un album degli Iron Maiden che conteneva una loro versione iper-concentrata dell’opera. Questo mi spinse ad approfondire e mi ritrovai a leggere estasiato le fantastiche (in tutti i sensi) liriche del poema. Chi ha avuto la possibilità di leggere tali pagine si sarà sicuramente accorto della grandissima musicalità intrinseca della quale le parole sono dotate. Quando qualche anno dopo pensai al materiale da inserire nel primo album di Höstsonaten (1996) presi quindi a lavorare proprio su una mia versione della prima parte di “The rime…”. Musicai solo tale sezione perché il poema è assai lungo (il tutto consta di sette parti) e già costruire un impianto sonoro su quella, fece scaturire un pezzo di oltre dodici minuti. Decisi quindi, per non occupare troppo spazio nel disco, di musicare una sezione per  volta da inserirle negli album a venire. Cosa che feci in realtà solo per il successivo “Mirrorgames” (1998) che contiene la seconda parte.
A livello compositivo la prima parte di “The rime…” mi fece un effetto incredibile. Ricordo ancora molto bene il pomeriggio d’estate nel quale questo pezzo venne alla luce perché è un momento che si è fissato in maniera indelebile nel mio cuore. Mi misi seduto con il libro di Coleridge aperto e la chitarra in mano e semplicemente cominciai a suonare e a canticchiare le parole del testo. Le melodie e gli accordi cominciarono a scaturire in una maniera così fluida come solo poche volte ho sperimentato. Non vorrei essere presuntuoso ma quello che venne fuori è secondo me una delle mie più belle composizioni e l’emozione che mi diede il crearla è un qualcosa che mi diede una spinta incredibile a livello di soddisfazione personale. Avevo già composto qualche pezzo per i Finisterre, ma con la prima parte di “The rime…” sentii che quello che stava uscendo fuori era veramente qualcosa di speciale, uno di quei momenti rari in cui ti senti realmente toccato dalla grazia. Ricordo che fissai tutto su una cassettina ove eseguivo in maniera più che approssimativa la struttura di base del pezzo, poi andai in spiaggia e mi portai il walkman per risentire il lavoro. Ogni volta che arrivavo all’ascolto della melodia della parte finale “At lenght did cross an Albatross…” mi salivano le lacrime... Penso tutt’ora che sia probabilmente la più bella melodia da me composta.
Le parti vocali della prima e della seconda parte furono affidate al mio collaboratore Claudio Castellini, dotato secondo me di una bellissima voce, quasi “preraffaellita”, che evocava scenari molto antichi di natura letteraria.

A: Che cosa non ti convinse delle due parti che realizzasti nei primi due album di Hostsonaten, visto che abbandonasti il progetto?

F: Purtroppo a mio avviso la registrazione delle due parti (e dei due dischi che le contenevano) non diedero loro la passione e la potenza che pensavo dovessero emanare. Inoltre dopo “Mirrorgames” cominciai a dedicarmi al progetto sulle quattro stagioni, così misi nel congelatore il discorso su “The rime…” e decisi di continuarlo appena terminato il ciclo delle stagioni. Detto fatto, lo scorso anno, al termine del lungo progetto “Seasonscycle Suite” durato quasi 10 anni, ho ripreso in mano il poema di Coleridge e l’ho continuato, stavolta decidendo di dedicare al tutto due dischi completi e, tanto che c’ero, ri-registrare le prime due parti per rendere loro giustizia.

A: Che tipo di maturazione personale, o culturale in genere, ti ha portato a riprendere in mano il progetto? C’è la possibilità di una tua maggior identità rispetto al messaggio centrale proposto alla fine dal vecchio marinaio (il pregare per tutte le creature della natura perché amate da Dio)?

F: Quello che mi affascina maggiorante del poema di Coleridge è la sua natura onirica e un po’ allucinata. Sono un grande appassionato dell’opera di  H.P. Lovecraft e in “The rime…” ritrovo molte delle atmosfere care allo scrittore americano. Il mare, i suoi abissi e i suoi misteri, le presenze sovrannaturali che sembrano quasi provenire da antiche civiltà pre-umane. Questo mi ha ispirato gran parte delle musiche che infatti hanno spesso un atmosfera tesa e dark. Il messaggio finale che citi è il punto d’arrivo dopo tanta oscurità e mi ispira tantissimo a livello musicale perché adoro i finali maestosi e positivi, dopo tanto delirio.

A: L’opera è divisa in sette parti, ma l’album che ho ascoltato ne contiene quattro mentre per le restanti occorrerà attendere una prossima uscita prevista per il 2013. Senza conoscere i dettagli sembra apparentemente strano la frammentazione di un lavoro omogeneo, e una conseguente uscita in tempi differenziati. Puoi illuminarmi?

F: Certamente. Come ti ho detto il poema è formato da sette parti e in ognuna il testo è assai lungo, penso che questo sia l’album più “verboso” che io abbia mai realizzato. Chiaramente è stato inevitabile, anche se ho cercato qua e là di inserire delle parti strumentali che potessero lasciare un po’ di tregua alla continua esposizione vocale. Se avessi musicato anche le restanti tre parti sarebbe per forza di cose venuto fuori un album doppio omogeneo ma forse anche un po’ stancante da ascoltare per intero. Ho quindi deciso di dividere il lavoro in due parti da pubblicare separatamente, per lasciare un po’ di acquolina in bocca a chi ascolta, per non rendere troppo faticoso l’ascolto e anche per permettermi, nel secondo capitolo che verrà, di modificare e un po’ lo stile, i musicisti e cantanti coinvolti e aggiungere elementi che nel primo cd non sono entrati. Sono molto curioso di vedere cosa uscirà fuori, visto che non ho ancora  composto una nota per il nuovo album.

A: Su cosa ti sei basato per la scelta dei differenti vocalist?

F: Il lavoro sulle le parti vocali è stato tutt’altro che semplice. Chiaramente è sulla centralità di tali parti che è basato l’intero lavoro quindi ho sentito una grande responsabilità per operare le giuste scelte. All’inizio avevo pensato di rendere il tutto come fosse un’opera rock affidando a varie voci diversi personaggi. In realtà gran parte della narrazione è affidata solo al vecchio marinaio quindi avrei avuto una sola voce che cantava per l’ottanta per cento e varie altre impegnate in piccole sezioni. In ogni caso pensare ad una sola voce ad interpretare l’intero testo mi sembrava un po’ troppo impegnativo e monolitico per chi ascolta, già abbiamo una sovrabbondanza di testo, se in più il tutto fosse stato interpretato da un solo cantante sarebbe stato ancora più pesante da digerire, secondo me. Ho quindi optato per affidare le quattro parti a diversi vocalist. Per alcuni sono andato sul sicuro scegliendo i miei fidati collaboratori Simona Angioloni (Aries), Alessandro Corvaglia (Maschera Di Cera) e Carlo Carnevali (R.u.g.h.e.), mente ho affidato i due pezzi più “heavy” alle potenti voci di Davide Merletto (in forza ai Daedalus, valente metal-prog band genovese) e Marco Dogliotti (che, tra le altre cose, canta in una cover band dei Deep Purple). Alla fine sono molto soddisfatto delle mie scelte e credo che tutti si siano divertii ad interpretare le sezioni che ho affidato loro.

A: Cosa hai previsto per la diffusione del progetto in fase live? Esistono piani in tal senso?

F: Portare dal vivo un disco come questo è tutt’altro che semplice, in primis perché per rendere il tutto ci vorrebbero almeno 11 persone sul palco tra musicisti e cantanti e poi perché, si sa, al momento gli spazi per i concerti organizzati in un certo modo sono praticamente impossibili da trovare. Detto ciò per presentare l’album sto organizzando degli showcase ove saranno presenti volta per volta, a secondo delle loro disponibilità, alcuni dei musicisti e cantanti che vi hanno partecipato. Si faranno quattro chiacchiere con un presentatore e suoneremo in versione unplugged qualche estratto dal cd. In questi giorni sto organizzando le prime date che presto ufficializzerò, dovrebbero essere già certe il 13 maggio a Savona (Van Der Graaf Pub), 19 maggio a Genova (Record Runners store) e 27 Maggio a Chiavari (venue da decidere). Altre date seguiranno a giugno.
Sarebbe bellissimo in ogni caso cercare di organizzare almeno un concerto “vero” in grande stile, magari in qualche teatro. Vedremo. Vedremo anche come vanno le cose per l’estero. In Giappone il cd è uscito in una versione speciale solo per tale mercato, con bonus disc allegato. Una visitina nel paese del sol levante a conseguenza di ciò sarebbe quindi molto gradita, se per una volta decidono di invitare anche un gruppo “giovane” invece che sempre e solo reduci degli anni Settanta...




Note ufficiali…

Il progetto di Fabio Zuffanti per Hostsonaten è basato sul famoso poema di Samuel Taylor Coleridge The rime of the ancient mariner. Zuffanti concepisce l'idea di dedicarsi ad una trasposizione musicale del poema già nel 1995. Le prime due parti appaiono infatti nei primi due album di Hostsonaten (Hostsonaten, 1996 e Mirrorgames, 1998), ma la realizzazione di queste non ha mai soddisfatto pienamente il compositore genovese che decide quindi di lasciare il progetto in sospeso. Nel 2011, al termine della fortunata tetralogia sulle stagioni Seasoncycle suite, Fabio decide di riprendere in mano il lavoro su The rime… e portarlo a compimento. Il progetto sarà articolato in due cd: il primo, uscito nel 2012, contiene il prologo e le prime quattro parti dell'opera; il secondo è previsto per il 2013 con le restanti tre parti e l'epilogo. Per quello che riguarda il primo cd le due parti già realizzate sono state  ri-registrate interamente. Le parti vocali delle quattro parti sono state affidate a quattro diversi cantanti che hanno cercato di esplorare, interpretare e restituire all'ascoltatore le emozioni oscure e sognanti del poema di Coleridge. L’album è uscito su etichetta AMS Records. I musicisti che hanno accompagnato Fabio sono quelli fidati che lo hanno seguito nella sua avventura delle stagioni, ovvero Maurizio Di Tollo (batteria), Luca Scherani (tastiere) e Matteo Nahum (chitarre), Sylvia Trabucco (violino), Joanne Roan (flauto).

Le voci che hanno interpretato le quattro parti di 'The rime of the ancient mariner - Chapter one' sono:
Part I: Alessandro Corvaglia (La Maschera di cera), con un cameo di Carlo Cralo Carnevali (R.u.g.h.e.)
Part II: Davide Merletto (Daedalus)
Part III: Marco Dogliotti
Part IV: Simona Angioloni (Aries), con un cameo di Alessandro Corvaglia

Tutti gli aggiornamenti sul progetto li potrete trovare sul Facebook di Zuffanti
 e in quello di Hostsonaten