‘Mexico’ è l’ultima fatica di Sparkle in Grey, band giovane, ma di
solida esperienza. L’associazione “disco
–fatica”, connubio ovvio in ogni occasione, in questo caso appare ancor più
giustificato, visto il lungo tempo di gestazione.
Matteo Uggeri, in questo caso portavoce del
gruppo, spiega a seguire il motivo dei
tre anni di attesa dall’album precedente.
Gli spunti del quotidiano, gli stimoli proveniente dal mondo
circostante, i frammenti di passato, possono fornire la motivazione per
scrivere una storia o un brano musicale. La cover di ‘Mexico’ è di per sé un
romanzo ricco di personaggi, sagome con cui si potrebbe costruire un fumetto,
od un cartone animato, oppure un book che racconti un mondo e uno stile di
vita. Difficile però decodificare i messaggi di un disco strumentale. Cosa c’è
dietro a certe scelte? Matteo risponde alla mia domanda specifica, evidenziando
probabilmente il cuore del progetto.
Il Messico è visto in modi contrastanti, per effetto di un
cambiamento avvenuto nel corso degli anni: un tempo linea di demarcazione
tra “problema e sua soluzione”, luogo di
riparo e protezione, quel paese di confine tra due mondi è oggi un esempio di
violenza e povertà. Tragico il passaggio tra il sogno di un tempo e la cruda
realtà attuale.
E queste considerazioni possono portare ad un album
concettuale, anche senza l’utilizzo della parola, e la voglia di “denuncia”
trova così una buona occasione di
emergere.
L’impegno sociale è palese, come dimostra una riproposizione del
discorso di Salvatore Borsellino nel
brano Sunrising, e questo dovrebbe essere il percorso ideologico da
seguire nel futuro prossimo, e… non occorre volare in Messico per vedere la
notte fonda!
La musica.
Matteo, riferito alla band, parla di comune “scarsa tolleranza verso il prog”, etichetta che qualcuno ama incollare a
Sparkle in Grey. I testi sacri sono pieni di giustificazioni e interpretazioni,
e alla fine ogni musicista capace di vivere lontano dai vari talent show o
festival per famiglie, potrebbe riconoscersi, almeno per qualche
caratteristica, nella grande famiglia “progressiva”.
Non è poi così importante incasellare ogni band ed ogni
artista, anche se può essere un aiuto in
fase di avvicinamento a ciò che ancora non si conosce, ed è obiettivamente
difficile descrivere esattamente le leggi caratteristiche di ogni genere
musicale, ma… ‘Mexico’ è formato da sette tracce “impegnate”, dove la
sperimentazione si sposa con l’elemento acustico e tradizionale, dove
l’elettronica si unisce alla melodia, dove il ritmo si inserisce in atmosfere
sognanti e rarefatte, dove l’elemento classico è rivisitato e messo al servizio
di una trama minimalista. Non so come definire ciò con un paio di sostantivi, ma
è certo che tutto questo sa di filosofia musicale in progressione… allo spazio
temporale ho già fatto accenno!
Il futuro è dietro all’angolo, e ha già un nome e un cognome,
“Thursday Evening”, album già
pronto, almeno nella mente di questi bravi musicisti. I temi? Lo scambio di
battute tra me e Matteo fornirà ulteriori indicazioni.
L’INTERVISTA
RISPONDE: Matteo Uggeri (laptop, ritmi, campionamenti, tromba).
Gli altri del gruppo sono:
Franz Krostopovic (violino, tastiere, viola)
Cristiano Lupo (basso, chitarra, batteria)
Alberto Carozzi (chitarre, basso, melodica, cornamusa)
La musica che proponete-e io posso giudicare solo dall’album “Mexico- mi porta a pensare ad una lunga preparazione, ad una formazione musicale accurata, ad una espressione finale dedicata ad ascoltatori specifici. Qual è la verità? Che tipo di background culturale avete e cosa ha scatenato in voi, inizialmente, la voglia di esprimervi attraverso il mondo dei suoni?
Allora, il nostro background è estremamente variegato, ascoltiamo cose diversissime, chi più chi meno, ad ogni modo credo che un valore della nostra musica stia forse proprio nel fatto che in essa confluiscono (a volte inconsciamente) generi molto diversi tra loro. Una cosa che ci accomuna, peraltro, è invece una scarsissima tolleranza del prog, e ci fa sorridere essere in parte inseriti in questo filone!
Mi pare che la sperimentazione e l’uso della tecnologia sia parte solida del vostro progetto. Come potreste spiegare la vostra filosofia musicale?
Difficile spiegarla… diciamo che normalmente i brani nascono dalle basi elettroniche che preparo io col mio portatile, anche se ultimamente stiamo sviluppando anche brani a partire dagli altri strumenti. Di sicuro poi la ‘tecnologia’, se così si può dire, interviene tantissimo in fase di post-produzione, soprattutto nel mixaggio.
Esistono artisti, presenti o del passato, che vi hanno influenzato e spinto nella direzione attuale?
Allora, parlo per me: io adoro i musicisti molto eclettici, come i Controlled Bleeding (peraltro invece grandi fan del prog.). Poi nei dischi ogni tanto cerchiamo di tributare un omaggio a musicisti che ci piacciono, con delle cover, da Laurie Anderson a Jackson C. Frank, passando per Linton Kwesi Johnson ai Bourbonese Qualk, fino ai God Machine. Gli altri miei compari, per inciso, sono grandi fa di Neil Young (Alberto Carozzi), Flaming Lips (Cristiano Lupo) e Pink Floyd (Franz Krostopovic), per fare degli esempi.
Perché il vostro ultimo album si intitola “Mexico”?
Bella domanda: molti ne sono sorpresi, dato che le sonorità non sono esattamente mariachi… Dopo il ‘luogo tranquillo’ del primo disco (“A Quiet Place”, lo puoi ascoltare qui http://sparkleingrey.bandcamp.com/album/a-quiet-place) ci siamo accorti di aver bisogno di gettare uno sguardo sul mondo esterno, che in parte è proprio brutto. Il Messico è un paese che nel passato ha rappresentato molto il luogo della fuga, del riparo, dell’addio (pensa a molti western), mentre oggi è uno dei paesi al mondo dove la criminalità e la violenza sono più diffuse. E soprattutto dove vige il modello della sproporzione del reddito: il 90% della ricchezza è in mano al 10% della popolazione… e si sta andando in questa direzione un po’ ovunque.
La musica e il messaggio… l’impegno sociale. Cosa pensate al proposito?
Un tempo, appunto, lo slogan era “musica per chi vuol vivere nel proprio piccolo mondo”. Ora no, ora sentiamo come il dovere di attuare un minimo di impegno sociale, per quanto piccolo, con la nostra musica. Di qui Sunrising, il brano con il discorso di Salvatore Borsellino e altri tenui ardimenti nei quali cerchiamo di lanciarci. Il prossimo disco, “Thursday Evening”, avrà uno spirito molto militante, ma non ideologico. Restando poi nel novero della musica strumentale i nostri messaggi arrivano sempre in modo meno diretto. Ma speriamo arrivino.
Anche l’art work utilizzato nell’album evidenzia il bisogno di esprimersi non solo attraverso la musica, ma anche con forme d’arte diverse, come il disegno e le immagini, fatto che riscontro in molte nuove band neonate. E’ una sorta di nuova tendenza o è cosa che prima si tendeva a sottovalutare?
Non credo sia una nuova tendenza, se penso alle copertine di Saville della new wave direi che la grafica è spesso stata centrale nella produzione musicale ‘di un certo livello’, se posso parafrasare il nome di una delle etichette che pubblica “Mexico”. Io nasco come grafico, ho fatto quel tipo di studi, e amo disegnare. Poi mi aiuta mia mamma, che di norma colora i disegni… lei faceva cartone animato negli anni ’70 e ci ha anche aiutati a fare il nostro sinora unico video (Goose Game, qui: www.vimeo.com/matteouggeri/goosegame)
Tre anni per elaborare un album sono significativi. Cosa è accaduto in questo lungo periodo?
Di tutto, anche momenti molto scoraggianti, sia musicalmente che umanamente… però pian piano ce l’abbiamo fatta. Purtroppo i tempi sono questi, e sono dettati anche dalle difficoltà economiche, e soprattutto di tempo. E’ molto difficile, lavorando tutti e quattro, trovare tempo da dedicare alla musica. Poi siamo meticolosi, prima di registrare un brano vogliamo perfezionarlo al meglio, e poi dopo lo mixiamo e arrangiamo a dovere, poi anche le grafiche prendono il loro tempo… ed infine è sempre difficile trovare un’etichetta che lo pubblichi.
Che idea avete del businnes che ruota attorno alla musica?
Appunto: un mondo difficile. Ha un bel dire chi sostiene che ora si va verso un modello ‘dal produttore al consumatore’, ossia da musicista all’ascoltatore. Ciò spesso significa anche che il musicista si deve fare due palle così a scrivere mail per contattare i giornalisti, per spedire pacchetti, promuoversi, vendere, trovare date per suonare… è la parte che più odio di tutto questo, quella che un giorno mi farà mollare tutto.
Che cosa rappresenta per voi una performance dal vivo?
Spesso è una prova, un modo per vedere se le cose funzionano, se i brani reggono, se ce li abbiamo dentro. E poi un bellissimo modo anche per entrare in contatto con persone nuove, con ascoltatori, a volte anche fan. Vendere un disco alla fine di un live e sentirsi ‘complimentare’ è un piacere perverso che mi spinge a continuare a farlo.
Che cosa vorreste vi accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?
Il mio grande sogno è riuscire a pubblicare nei prossimi due anni almeno due dei dischi che abbiamo in lavorazione. Non chiedo molto di più. So che non avremo mai una fama tale da permetterci di vivere di questo, e so che non vinceremo premi, non saremo in copertina sulle riviste che contano. Però io a volte sopravvivo anche grazie al piacere della bellezza che so di costruire con i miei amici musicisti. Per me è un sogno anche solo continuare a fare questo, e ti assicuro che non è una cosa da poco.
Notizie utili
Siti di riferimento:
Biografia :
Sono entrato in contatto col mondo Sparkle in Grey attraverso Lizard Records: