Ho ascoltato in anteprima “A Bottle or a Gun”, album di un gruppo che non conoscevo, The Wild Boars. Nel comunicato stampa ufficiale si possono trovare gli elementi oggettivi riguardanti “disco” e protagonisti:
Io ho raccolto un sunto del loro pensiero nell’intervista a seguire, dove emergono ovvie differenze nel vivere lo stesso profondo amore per una certa America.
Il mio giudizio potrebbe essere condizionato dal fatto che anche io sono molto attratto da quel paese, e tutti i miei viaggi oltreoceano sono stati temporalmente limitati, tanto da non permettermi di accorgermi del rovescio della medaglia da tutti conosciuto, ovvero le enormi contraddizioni che caratterizzano quel popolo e la sua terra. Ma per chi va a caccia di musica, di una certa musica, quello è il “Paradiso”. Il blues, il country, il bluegrass… il Mississippi, Beale Street, i concerti per strada, i bianchi, i neri… in “A Bottle or a Gun” c’è tutto questo. Basta sfogliare la line up per capire, attraverso gli strumenti utilizzati, che cosa ci si deve aspettare.
Un banjo, un mandolino, l’armonica, la dobro… tutti segnali che portano su una strada musicale che, seppur suonata ovunque, riconduce sempre ad un paese ben definito e a regioni ben delineate.
Riporto l’impressione che ho ricevuto al primo ascolto e che i successivi passaggi hanno confermato.
Non riesco a suddividere i brani in maniera rigida perché ciò che mi è arrivato è un “percorso stradale” musicato, fatto di episodi, ma su una via che porta verso un obiettivo conosciuto.
Sin dal primo brano, "A Wild Boar On A Voodoo Train", inserito nella slide show a seguire, ho collegato la musica di “A bottle or a Gun” al viaggio dei miei sogni, a un Coast to Coast con una vecchia Buick decappottabile, pieno di soste nei motels, con qualche pericolo, qualche deserto, qualche canyon, sino all’ovest. E la musica che esce a tutto volume o soffusa, secondo le esigenze. Ho ascoltato il blues più tradizionale accanto a un country fresco, contaminato da qualche timbro più recente e anche la ballata lenta ha contribuito a creare la mia sensazione di “album itinerante”.
Sono solo sensazioni soggettive che possono dare un’indicazione a chi si avvicina all’album. Ma per farsi un’idea più completa è bene controllare le risposte ai quesiti da me posti.
L'intervista
Mi trovo spesso davanti a bluesman italiani che si sentono quasi fuori contesto e sottolineano il rammarico di non essere nati dall’altra parte dell’oceano, laggiù dove “tutto è iniziato”. Se si parla di rock tutti possono dire la loro, in qualsiasi paese venga proposto, ma se ci si approccia al blues sembra essere necessaria una patente o peggio, un’autorizzazione, che passa attraverso la sofferenza che solo un uomo del Mississippi può conoscere. Vivete anche voi qualche sorta di complesso interiore?
Simone: Io penso che sia il blues a raggiungerti quando vivi una serie di esperienze emotive…. Poi non lo abbandoni più. E’ una musica così legata agli stati emozionali, che piace, anche al primo ascolto, a chiunque ne venga a contatto. Non puoi immaginare quanti concerti siano finiti in “lezioni di storia del blues” a ragazzini che per la prima volta sentivano “la musica del diavolo” e ne rimanevano rapiti. Pensa se a scuola educassero i ragazzi all’ascolto del blues… quante teste di c… in meno ci sarebbero in giro. Per ciò che riguarda il fatto di esser nati in Italia, non penso sia un limite; diversi artisti americani con i quali ho collaborato, hanno fatto i complimenti alle band italiane per la dedizione che hanno nello “studio” del blues, e per la credibilità musicale! Per me il blues è uno stato d’animo, non un fatto culturale!
Andy: Personalmente non provo nessun tipo di complesso in questo senso. Noi non cerchiamo di imitare un genere, cerchiamo di assorbire influenze per poter scrivere musica che piace a noi e che noi riteniamo originale. Il blues è bellissimo perché, come il country, riesce a trasmettere emozioni molto forti con una semplicità disarmante, e sono emozioni che conosciamo tutti...non solo chi è del Mississippi.
Stefano: Non si soffre solo nel Mississippi
Quale importanza attribuite ai testi? Sono fondamentali nella musica che proponete? Credete nell’invio di “messaggi in musica?
Simone: La musica è il messaggio… un brano come “strawberry fields forever “ lo puoi anche solo fischiettare… con una melodia del genere le parole perdono peso!
Andy: Qui non mi trovo molto d'accordo con Simone. La musica può trasmettere molto a prescindere dai testi, ma il country e il blues devono anche raccontare storie e comunicare sentimenti....per me il testo e fondamentale, deve trasmettere un messaggio e la scelta delle parole è importante anche per il loro suono.
Stefano: Scrivo solamente di esperienze personali.
Leggendo la lista degli strumenti che utilizzate si intuisce al volo il genere che proponete. Eppure nell’immaginazione collettiva(italiana) il mandolino, ad esempio, è spesso associato a tarantella e pizza, e non è conosciuto come elemento base del blues e del folk. Esiste, all’interno del vostro gruppo, la predisposizione a introdurre novità? Può esistere la sperimentazione i generi che rappresentano la cultura e la tradizione dei popoli?
Stefano: A patto che succeda involontariamente.
Simone: E’ una lotta (quasi persa in partenza)! Io sperimenterei, ma Stefano e Andy sono “inchiodati” (positivamente) alle tradizioni!
Andy: Neanche qui sono d'accordo con Simone! Per quanto riguarda la musica tradizionale, bisogna sperimentare e contaminare per mantenerla viva e non permetterla di diventare un pezzo da museo. Non credo che il nostro disco si possa definire “blues puro” oppure “country tradizionale”, anche se le radici sono piuttosto chiare.
Simone: Ok… nel prossimo disco suonerò il sitar…
Quali sono i vostri punti di riferimento, gli esempi che vi hanno fatto innamorare della vostra musica?
Simone: Troppo facile: Eric Clapton, Allman Brothers, Little Feat e Beatles.
Andy: Hank Williams, Johnny Cash, Flatt & Scruggs, Michelle Shocked, Violent Femmes, The Pogues, The Clash, The Wonder Stuff, Hank III.
Stefano: Waylon Jennings, Tom Waits, John Lee Hooker, Lynyrd Skynyrd, Eagles… ma sono cresciuto anch’io con i Beatles.
Ritornando alla domanda iniziale, Fabrizio Poggi mi ha raccontato che la più grossa soddisfazione musicale l’ha ricevuta durante un concerto, in qualche città del Tennessee, quando una vecchia signora, probabilmente mai uscita dal suo piccolo paese, gli ha confessato di essere stata toccata nell’anima. Qual è stata sino ad oggi la vostra maggior soddisfazione professionale?
Simone: con i Voodoo Lake (southern rock band nella quale ho militato come cantante e chitarrista dall’esordio fino al scioglimento del gruppo), durante un concerto con Hook Herrera (armonicista di Allman Brothers, Gov't Mule, Ben Harper, ecc), ho “duellato” con lui per 10 minuti… ricordo ancora i brividi lungo la schiena!
Andy: Per me è sempre una grande soddisfazione quando una mia canzone fa ballare il pubblico, che si lascia coinvolgere dalla musica. La musica dal vivo dovrebbe provocare emozioni nelle persone, e quando questo succede vuol dire che stiamo facendo qualcosa di positivo.
Stefano: Non sono un professionista.
Le nuove tecnologie che cosa aggiungono e che cosa tolgono a un gruppo che vuole (o vorrebbe) vivere di musica?
Simone: In studio aiutano… ma io e Luca (il mio socio nel Bottle Neck Studio)siamo sempre alla ricerca del suono più naturale possibile.
Andy: internet permette ai gruppi di farsi conoscere abbastanza in fretta e in luoghi che non sarebbero mai stati in grado di raggiungere altrimenti. Dall'altra parte, c'è così tanta musica in rete che bisogna trovare un modo di spiccare... quella è la vera sfida.
Che giudizio date del business che gira attorno al mondo della musica? Esiste una minima attenzione verso le nuove proposte?
Simone: Ringraziamo internet!!!! Negli ultimi anni ha permesso a gruppi che nessuno avrebbe mai ascoltato di proporsi dall’altra parte del mondo. A me è successo con i Voodoo Lake: senza l’appoggio di nessuno, e solo grazie alla rete, siamo riusciti a far conoscere la nostra musica e a suonare in giro per l’Europa.
Andy: Purtroppo chi vuole ascoltare qualcosa di nuovo e originale deve darsi da fare da solo... chi ascolta solo la solita radio oppure MTV continuerà a subire le stesse proposte musicali, e così è difficile che un gruppo con qualcosa di diverso possa emergere.
Stefano: Non conosco il business che gira attorno al mondo della musica.
Come nascono le vostre canzoni? C’è un unico modo unico di creare o non avete uno standard?
Andy: Per me, di solito nascono (specialmente i testi) nei momenti più intensi, anche negativi, della mia vita. Comincio a scriverle da solo, con la chitarra acustica o il banjo, le do una struttura di base poi le porto in sala prova e iniziamo ad arrangiarle.
Stefano: Io compongo da seduto, mentre guido o mentre cavalco il cesso (e non sono fidanzato).
Cosa si può consigliare ad un figlio che cresce e che ha in testa una sola cosa … la musica?
Simone: Chiedi ai miei genitori… sono stati pazienti e mi hanno sempre appoggiato; spero di essere altrettanto capace!
Andy: Che deve seguire ciò che gli appassiona, ma che deve anche dotarsi delle competenze necessarie per poter vivere di musica, o almeno provarci, se è quello che vuole. Insomma, bisogna studiare...
Stefano: Suonerei con lui.
Che cosa chiedereste, a questo punto della vita, ad Aladino che vi regala tre desideri musicali?
Simone: 1- Suonare con Eric Clapton 2- Suonare con gli Allman Brother -3 Fare il secondo disco con i Wild Boars.
Andy: Credo che più di Aladino, dovrei vendere l'anima al diavolo! Comunque, chiederei di 1 – poter vivere di musica; 2 – bere un paio di birre e fare due chiacchiere con Joe Strummer; 3 – portare i Wild Boars negli USA.
Stefano: Aladino non mi serve perché ho già ciò che volevo.