“Musica da vedere, immagini da ascoltare”, questa la frase conclusiva della cartella stampa che anticipa l’uscita de “Il gioco del silenzio”, secondo album dei Nichelodeon.
Nelle prossime righe dovrebbe emergere il motivo della mia sottolineatura iniziale.
Confesso di essere in difficoltà, combattuto tra il tentativo di dare un taglio rigido, professionale, schematico alle mie considerazioni, e il … lasciarmi andare.
Lasciarsi andare è quello che Claudio Milano e i Nichelodeon fanno, perché la prima sensazione che ho avuto è quella di una piena libertà di movimento, alla faccia di ogni regola e di ogni codifica.
Le regole esistono e il filo conduttore anche, non vi è dubbio, ma la varietà e la qualità di espressione che ho percepito hanno fatto si che le “immagini provenienti dall’ascolto”, e la “musica che ho visto con i miei occhi”, mi portassero in un viaggio nella memoria ricco di tappe intermedie.
Credo che questa sia una funzione importante e insostituibile della musica, e se nel mio caso “Il gioco del silenzio” risveglia pillole significative di passato, ad ascoltatori differenti per cultura, età o predisposizione, potrebbe innescare sentimenti contrapposti, ma in tutti casi è bandita l’indifferenza, se esiste sensibilità d’animo.
Nelle mie mani, oltre all’album, un DVD, “Come sta Annie? Twin Peaks 20th anniversary show”, dove il gruppo si esibisce dal vivo e dove viene musicata l’ultima puntata della celebre serie di David Lynch, Twin Peaks:
La visione del DVD può avermi condizionato perché ho scoperto immediatamente ciò che forse avrebbe avuto bisogno di maggior ascolto, se avessi utilizzato il solo l’album, e ora non riesco a separare i due formati tendendo a considerarli un’unica entità.
I Nichelodeon che ho percepito al primo impatto sono anche musica, anche teatro, anche divertimento, anche rigore, anche sperimentazione, anche gioia di vivere, anche esibizionismo, anche scultura, anche pittura, anche fotografia, anche… molto altro.
La prima cosa che ho pensato è che se una proposta del genere fosse nata quarant’anni prima, magari oltreoceano, avrebbe avuto enorme seguito diventando un must, magari accanto a Warhol e alla sua Factory.
In questo preciso contesto e momento storico, invece, è prodotto di nicchia e non so se questo possa essere motivo di orgoglio o di rammarico.
Nel viaggio a ritroso, condotto per mano dalla ”globalità” di Nichelodeon, sono arrivato alle mie origini, a quando la mia band di adolescenti, facendosi forte dei quattro accordi noti (pochi ma sperimentati), si tuffava in un concept , “La Creazione” (del mondo) che prevedeva l’unione della musica alle immagini che un vecchio proiettore lanciava su un muro immacolato. La necessità di unire ciò che si sente a ciò che si vede viene dilatata da Milano e soci che, tra azione ludica e drammatica, sfruttano corpo, cuore e mente per coinvolgere e coinvolgersi.
La parte prettamente musicale è qualcosa che mi appartiene profondamente perché mi riporta al mio primo concerto, a Hammill, al sax di Dave Jackson, a quelle atmosfere “scure” che hanno caratterizzato la produzione dei Van Der Graaf, gruppo con cui convivo ancora oggi.
Non è mai simpatico fare paragoni, ma molti sono gli elementi che mi rimandano a quelle atmosfere rarefatte, ai giochi di voce dall’oltretomba al cielo, ai “cuori di pedine” che si muovono.
Ma c’è anche melodia, silenzi e fughe vocali, con passaggi dal classico alla tradizione italiana.
Non conosco molti singer, nel mondo musicale che bazzico, che sperimentano le possibilità vocali, e sono sempre la ricerca del timbro giusto (più accattivante) e la dimostrazione di potenza, che determinano i giudizi dell’ascoltatore medio.
Penso che la voce sia uno strumento, alla stregua di una chitarra o una batteria, con la differenza che è … attrezzo naturale. Coltivare una propria caratteristica personale, credo sia di gran lunga superiore (e soddisfacente) che dedicarsi a “creature di altri”, e in questo senso vedo Claudio Milano un degno prosecutore del’impegno di Demetrio Stratos. La sua sperimentazione (è tale per me, ma è forse la norma per Claudio) mi è sembrata “parte della trama” e non bella mostra di diversità (rispetto al comune modo di esprimersi) o esercizio di bravura.
Insomma, questi esperti e attenti musicisti mi hanno dato l’impressione di giocare per costruire, di essere maturi nonostante la giovinezza (mi riferisco all’esperienza comune dei Nichelodeon, e non all’età o agli anni di lavoro alle spalle).
I brani dell’album sono dodici e sono forniti di liriche, riportate anche in inglese nell’opuscolo che accompagna il CD.
Ho letto che Claudio Milano ha la sensazione di creare delle canzoni e stop.
Le canzoni, nell’intendimento comune hanno dei testi.
I testi, nel mio intendimento non sono necessari in determinati contesti.
Ho trovato ermetiche le parole de “Il gioco del silenzio”, e credo che sia in ogni caso difficilissimo entrare in sintonia (comprendere esattamente il pensiero) con un autore che, esprimendosi liberamente, gioca con le parole.
Sarei rimasto colpito da queste”canzoni” anche senza testi, con la sola voce come strumento aggiunto (o principale), ma… “ se le liriche esistono devono avere un significato” (parole di Milano) e quindi spazio anche alla poesia (considero ogni canzone cantata una poesia in musica).
Che cosa potrebbe essere questo se non un attimo catartico!
(di Damiana Mele da "S'i fossi foco" di Cecco Angiolieri)
SE
Se io fossi l’anima leggerei l’anima del prossimo.
Se fossi gioco giocherei con il prossimo;
se fossi morto mi odierei,
se fossi fuoco mi brucerei le gambe,
ma se fossi vita andrei avanti a vivere.
Valenti e importanti musicisti accompagnano Milano e molti sono gli ospiti:
Il feeling generale mi fa pensare che chiunque entri in questa comune, in questo negozio da artigiano, condividendone l’obiettivo, riesca a dare un grande contributo per il raggiungimento del risultato finale.
Un specie di squadra vincente che, attraverso il gioco a zona, riduce l’importanza del singolo talento, a favore di un gruppo che vince divertendosi, si esalta giocando al meglio, e non si abbatte per un incidente di percorso.
Ma un gruppo è sempre condotto da un leader, termine assolutamente positivo se considerato nel senso del “conduttore intelligente”.
Claudio Milano mi è sembrata l’anima di tutto il progetto e a lui in primis chiedo scusa per questo mio divagare, con poco ordine, tra i pensieri ed emozioni, provocate dalla tempesta di stimoli derivanti dalle sue “immagini musicali”.
In un mondo in cui si utilizza il termine “globalizzazione” per qualsiasi elemento associato ad altri, il “blocco” riguardante “Il gioco del silenzio/ Come sta Annie? Twin Peaks 20th anniversary show” mi è sembrato l’esperienza artistica globalizzante per antonomasia.
Possibile collocare questa musica in una categoria?
Tutti lo fanno, e spesso con il solo buon desiderio di dare indicazioni e di facilitare le scelte. Io non sono in grado di incasellare i Nichelodeon e il loro lavoro, perché non ho mai sentito/visto niente del genere.
"Invento" un mio contenitore personale, che sovrasta il prog, il pop, il rock, il blues e allo stesso tempo li contiene tutti. E’ il recipiente della buona musica. Non quella universalmente riconosciuta tale da quelli che “se ne intendono”, ma da quelli come me, che se ne infischiano della performance tecnicamente perfetta, ma cercano i brividi sulla pelle.
Non credo che Nichelodeon sia una proposta per tutti e non penso venderanno milioni di dischi (vivere di musica, per chi ama la musica, non é elemento trascurabile), ma forse qualche brivido, ripeto, ai più sensibili, lo faranno venire.
E allora lo scopo sarà stato raggiunto.
Ma forse le mie parole possono essere sostituite dai protagonisti…