“La Locanda del Vento “ è il nuovo album dei Lingalad.
La sintesi del disco è riassunta nelle note interne di
copertina con poche parole, da cui estrapolo le righe iniziali: “La Locanda del Vento è un luogo dove puoi
udire storie”.
Sto scoprendo, giorno dopo giorno, nuovi gruppi che stanno
cambiando il mio modo di vivere la musica.
Nel personale “pacchetto emozionale” fornito da un brano o da
un pugno di melodie, non ha mai trovato posto il messaggio, il testo che deve
portare alla riflessione e magari a un conseguente cambiamento. Anche la voce,
preferibilmente in inglese, è spesso stata uno strumento tra i tanti. E questa
è l’ammissione dei miei limiti.
Ultimamente, come dicevo, i giovani mi conducono verso nuove
strade, sentieri affascinanti come un giro di blues con una Stratocaster che
svisa. Questa è la peculiarità della musica e di tutti quegli esseri umani che
hanno la sensibilità giusta per lasciarsi modellare, dondolando tra diverse
situazioni, in funzione del momento e dello stato d’animo: non ci sono regole
ferree, e con poche note, così come con sequenze fiume, si possono raggiungere
gli stessi fantastici risultati. Non me ne vogliano i Lingalad, ma la musica
che ho sentito ne ”La Locanda del Vento”, non prevale, ma è totalmente al
servizio della storia che si vuole raccontare. Di per se sembrerebbe una
banalità, una frase costruita apposta per sottolineare l’ovvio, ma in questo
preciso caso occorre invece evidenziare che l’album mi ha.. fatto riflettere e
ricordare, e in un caso particolare mi ha aperto una piccola finestra che ha
lasciato passare un po’ di luce chiarificatrice. E non mi sembra cosa da poco.
Ma ne farò accenno dopo.
Quindici brani, quindici storie musicate utilizzando i
ricordi, la nostra tradizione, le leggende e le mezze verità che ci
appartengono, che arrivano dai nostri ”vecchi” o da uomini e donne che troviamo
nel nostro percorso quotidiano.
Magia, tristezza, amore, dolore e felicità, ingredienti
comuni a tutti, ma riuniti in un inusuale libro delle fiabe. Ed è proprio
questa l’ immagine che ho afferrato al primo ascolto. Un libro musicato, capace
di sostituire quello con cui ci addormentavamo e con cui abbiamo fatto
addormentare i nostri figli, con suoni soft a completare il momento più bello
della giornata.
Questo concetto è rafforzato dai disegni di Alessandra
Simonini, che non si limitano al “commento” del testo, ma da soli, presi
singolarmente o uniti in sequenza, diventano un altro modo efficace per
raccontare vicende del passato, ed è questo uno di quei casi in cui il
“vecchio” vinile, con le ampie copertine e la possibilità di inserti,
riceverebbe grande valore aggiunto da tutto ciò che è visivo.
Ma bambini e adulti
hanno bisogno di eroi positivi, di racconti a lieto fine, e la vita non va
quasi mai in quella direzione. “La Locanda del Vento” racconta tutto questo,
perché nelle quindici storie proposte ognuno di noi potrà ritrovare un pezzo di
se.
Per ogni racconto
antico occorre trovare lo strumento musicale adatto, e quelli etnici utilizzati
dal chitarrista Claudio Morlotti, unitamente ai flauti di Giuseppe Festa,
garantiscono le atmosfere d’altri tempi, fornendo quadretti che mi hanno
portato su un lungo sentiero di emozioni.
Per ognuno dei brani
potrei scrivere paginate di commento, perché mi inducono a scavare nella mente,
riportando alla superficie frammenti di ricordi.
Ne scelgo uno come
simbolo, perché ciò che ne ho tratto sarà da ora in poi regolarmente utilizzato
come esempio.
Mi capita spesso di
ricavare grandi verità da piccole frasi, che mi arrivano nei modi più
disparati. Sentenze che riconosco valide e che mi forniscono la spiegazione di
qualcosa che avevo dentro, ma non sapevo come esprimere a parole.
Nel brano “I Boschi
della Luna”, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Festa, è presente il
dialogo tra un saggio e un uomo giovane, dubbioso davanti al mistero, come
spesso i giovani sono, incapace di credere a ciò che non si può toccare con
mano. Ma è vero che esistono i sentimenti? Non è forse vero che ci lasciamo
spesso condizionare dalle emozioni? Ma allora i sentimenti e le emozioni
esistono!? Eppure non possiamo toccarli e vederli! Da rifletterci su, giovani e
meno giovani.
Forse i Langalad
volevano solo raccontare alcune storie, utilizzando la musica che amano,
facendo forse tesoro dei loro viaggi e magari fornendo un primo bilancio della
loro vita.
Io non posso far altro
che raccontare cosa mi hanno regalato.
Comunicato ufficiale:
L'INTERVISTA
Mi capita sempre più spesso di ascoltare gruppi che
propongono album che sono una sintesi di differenti discipline. Oltre alla
musica e alle storie da raccontare, trovano spazio il teatro, la pittura, e
anche gli argomenti tradizionali, solitamente trattati in modo semplice( prendo
l’amore come unico e sfruttato esempio) diventano l’occasione per creare
qualcosa di più complesso di un semplice album musicale, cosa che non accadeva
nemmeno negli anni 70, con i concept album caratteristici del prog. Siamo
davanti ad un nuovo corso? Sono mutate le esigenze di chi propone le proprie
idee musicali?
Forse qualcuno potrebbe ridurre questa nuova tendenza ad uno
dei tanti corsi e ricorsi ai quali assistiamo da decenni nell’universo della
musica. In realtà, io credo che nei momenti in cui si avverte maggiormente una
certa uniformità e omologazione nel panorama musicale, emerga la voglia di
creare qualcosa di più strutturato, armonico e, se vogliamo, complesso. Per
quanto riguarda i Lingalad, abbiamo sempre preferito sviluppare in ogni cd un
tema principale, del quale le diverse canzoni potevano rappresentare sfumature
e declinazioni.
Sono convinto che i lavori a cui accennavo nella domanda
precedente sarebbero un importante “aiuto didascalico” se proposti in
determinati contesti. Penso ad esempio a scuole di tipo artistico o umanistico,
ma è probabile che ogni ragazzo sensibile, indipendentemente dall’indirizzo scolastico,
possa trarre giovamento e stimolo dal vostro lavoro. E’ utopistico il mio
ragionamento? Sarebbe un’esperienza interessante( e utile) dal vostro punto di
vista?
In verità abbiamo avuto più volte l’occasione di confrontarci
col mondo della scuola e ogni volta è stata un’esperienza ricca di fascino. Per
esempio, l’anno scorso le classi terze della scuola media di Chiuduno, vicino a
Bergamo, hanno portato i Lingalad all’esame di maturità. Il professore di
musica Pasquale Scarpato ha invitato me e Donato Zoppo, il curatore della
nostra biografia, ad un incontro durante il quale ci siamo confrontati con le
domande dei ragazzi e abbiamo suonato dei brani dal vivo. Mi ha sorpreso il
loro livello di coinvolgimento e la capacità di emozionarsi, anche di fronte ad
un’esibizione unplugged, senza troppi fronzoli o effetti speciali, ai quali la
tv li ha purtroppo abituati. Molti di quei ragazzini ci scrivono ancora email e
vengono ai nostri concerti.
Mi rifaccio spesso ad un libro di Riccardo Storti, “Rock Map”
che stabilisce le differenti scuole musicali del passato in funzione della
regione/città di appartenenza. E’ ancora valido secondo voi un concetto simile?
Esistono “filoni” omogenei collegati al luogo in cui si vive?
Credo che la propria terra consegni ad ognuno un bagaglio di
emozioni e sonorità unico, che si trasforma naturalmente in musica. E meno
male, altrimenti che piattezza!
Nei miei scambi con Loris Furlan mi sono fatto l’idea che
alla Lizard ci sia spazio solo per la qualità e l’impegno, senza concessioni
alle ferree esigenze di mercato. Ma un artista, una band, possono di questi
tempi vivere di musica facendo solo ciò che sentono nelle proprie corde?
Difficilissimo. Per quanto ci riguarda, abbiamo avuto la
fortuna di godere del sostegno di molti canali alternativi, soprattutto nel
web, e la stima di radio e giornali stranieri. Un esempio di come sia difficile
emergere in Italia? Il brano Toni il Matto è stato trasmesso a Radio Live, un’importante
radio neozelandese. Il conduttore del programma ci ha telefonato in diretta e
ci ha fatto una lunga intervista radiofonica affinché spiegassimo in inglese il
nostro progetto. Per rendere l’idea di quanto sia difficile esprimersi nel
nostro paese, basti pensare che Radio Life Gate, al cui concorso Talenti per
Natura siamo arrivati primi (!!!), non si è degnata nemmeno di annunciare
l’uscita del nuovo album, né di trasmettere mezzo pezzo, nonostante le nostre
ripetute richieste. E Radio LifeGate è conosciuta come una radio libera e
vicina a certe tematiche. Figuratevi le altre!
Raccogliere e raccontare differenti storie, come nell’album
“La Locanda del Vento”, può rappresentare il sunto di un viaggio che, in questo
modo diventerà immortale, e non solo per chi lo ha intrapreso. Escludendo
l’ovvia soddisfazione derivante dall’eventuale gradimento del pubblico, che
cosa si prova alla fine di “quel viaggio”, quando si passa da un rilassamento
generico alla consapevolezza dell’arricchimento personale?
E’ davvero arduo spiegarlo. La cosa più bella è vedere che i
personaggi delle storie che hai raccontato prendono vita nelle menti di chi
ascolta i brani.
Le storie che raccontate, per vostra stessa ammissione sono
quelle che chiunque può afferrare, di passaggio, in qualche piccolo villaggio
disseminato per l’Italia. Leggende, mezze verità, certezze verificabili.
Solitamente sopravvivono ai lustri che passano e si tramandano di generazione
in generazione. Esiste secondo voi un denominatore comune che le lega? Riesce
la musica ad aumentare la loro efficacia?
La musica agisce in sinergia con le parole, anche se, a mio
parere, il modello espressivo dei versi e delle prosa, non possono essere
paragonati. Il significato che lega queste storie? Il viaggio dell’eroe, direi.
Un insieme di archetipi umani che da sempre affascina e incanta, e nel quale
ognuno può riconoscere la propria storia personale.
Mi sono segnato la vostra affermazione “… ci siamo accorti
che nel mondo reale esistono personaggi altrettanto magici e affascinanti di
quelli descritti nei libri di Tolkien…” . I libri di Tolkien, a oltre 30 anni
dalla sua morte, sono sempre campioni di vendite. La mia idea è che spesso
l’essere umano abbia bisogno dell’elemento magico per illudersi di trasformare,
o almeno migliorare la realtà, spesso poco soddisfacente. E la musica.. quale
alchimia può concretamente compiere?
Per me è stato un veicolo espressivo fondamentale. Raggiunge
tutti, ovunque. Supera ogni barriera culturale, ogni dogana. Quando ho iniziato
a cantare i brani di Voci della Terra di Mezzo, come solista (prima che
nascessero ufficialmente i Lingalad) li suonavo con gli amici, davanti ad un
fuoco, sul limitare di una radura. Dopo qualche anno, gli stessi pezzi li
suonavamo in Canada, negli Stati Uniti, in tutta Europa. Questa è l’alchimia
della musica. Parole sconosciute che si trasformano in emozioni e trasmettono
significati comuni, trasversali.
Se doveste scegliere un solo strumento come simbolo della
vostra filosofia musicale, capace di mettere d’accordo tutti i componenti la
band, riuscireste a trovare il compromesso?
Sicuramente la chitarra. Lo strumento irrinunciabile di un
cantastorie.
… ma nei momenti di libertà assoluta… esce fuori qualche giro
di blues, senza pensieri nella testa?
Assolutamente sì! Devo confessare che, a parte i brevi
periodi di pura composizione, i Lingalad sono e rimarranno costantemente
incorreggibili Hobbit, molto poco elfici.