Quest'anno ricorre il quarantennale dell'Isola di Wight. Ian Anderson ha ricordato così quei giorni.
Lo scontro di culture tra i sonnacchiosi abitanti dell’Isola di Wight e le orde sudate e sporche che invasero i verdi pascoli dell’isola fu un’immagine che valeva la pena di conservare nella memoria.
C’era qualcosa che si sentiva nell’aria alla fine del festival, e non era solo il “profumo” dei fans che per quattro giorni non avevano potuto neanche lavarsi.
Io, invece, mi feci una doccia calda prima di salire a bordo di un piccolo aereo che dalla costa sud dell’Inghilterra ci portò sul luogo dell’evento.
Dovevamo chiudere il festival con Jimi Hendrix, ma la situazione stava sfuggendo di mano agli organizzatori. Era l’ultimo giorno e molti volevano entrare senza pagare il biglietto, e gli hippies stanchi dopo tre giorni, si abbandonavano a qualche episodio di violenza.
C’era tensione nell’aria, Tiny Tim (ndr. un cantante folk statunitense) voleva essere pagato in anticipo, Joni Mitchell scoppiò a piangere sul palco mentre Jimi Hendrix non era affatto dell’umore giusto.
Avendo fatto diversi shows con lui negli ultimi due anni, conoscevamo i suoi alti e bassi, e sapevamo benissimo che poteva tirar fuori una performance storica, oppure essere un disastro.
Ci furono discussioni tra il nostro entourage e quello di Jimi Hendrix, perché nessuno dei due voleva essere l’ultimo a chiudere il festival.
Alla fine la spuntammo noi e suonammo prima di Jimi; non fu la miglior performance della nostra vita, ma l’importante era poter dire :”Noi c’eravamo”.
Questo era l’Isola di Wight, la Woodstock inglese, verso il tramonto dell’era hippie.
Il nostro manager Terry Hellis ci pregava di mantenere la calma, mentre tra me e me pregavo che Glenn(Cornick) e Martin(Barre) riuscissero a mantenere il tempo in quella situazione.
Tutto intorno le cineprese di Murray Lerner riprendevano ogni cosa, e il documentario che ne venne fuori è ancora oggi un magnifico quadro dell’epoca.
Strane le sensazioni che provocava un assolo di batteria nel 1970, lo riascolti oggi e ti accorgi di come passa il tempo, ma le sensazioni sono sempre quelle di allora.
Come suonammo all’Isola di Wight? Era buona musica? Cattiva musica? Non saprei, ma di sicuro era la musica che suonavamo agli albori dei Jethro Tull.
Non era progressive rock, era solo frenesia ed entusiasmo che trasmettevamo alle nostre Gibson, Fender, e al mio flauto, di che marca era non me lo ricordo.
Come gli Who riuscimmo a trasmettere così tanta energia da superare le imperfezioni tecniche. Come i Moody Blues ci mettemmo qualcosa di classico, come Tiny Tim ci concedemmo qualche volgarità da operetta, ma nessuno fu come Jimi…
La sua ultima grande performance sul pianeta terra cominciò con qualche incertezza e io pensai che non avrebbe avuto una grande serata, ma poi si riprese e cedendo alle richieste della folla suonò per l’ultima volta i suoi più grandi successi.
Io me ne andai in volo in Inghilterra mentre Jimi era ancora sul palco, invece lui se ne andò per sempre qualche giorno dopo.
Jimi non era stato un mio grande amico, ma lo sarebbe certamente diventato, se solo fosse ancora vivo adesso.