Sono
venuto in contatto col mondo “THE EX KGB” lo scorso anno, quando presentai “La
Stagione della beneficienza”:
Parlerò
oggi del loro primo album, “первый
ПуÌ�тин” (Primo Putìn).
Quando
mi appresto a “dire la mia” su un nuovo album, utilizzo uno schema consolidato,
a mio giudizio appropriato per stimolare la curiosità, ma le conclusioni
arrivano seguendo un iter diverso, a
seconda che l’artista risponda
alle mie domanda dopo uno o più ascolti. E l’intervista mi serve per farmi
un’idea più chiara degli “uomini “ (o donne), che hanno speso “lacrime e
sangue” in un progetto che spesso ha lunga gestazione.
Nel
caso di THE EX KGB, le risposte sono arrivate in un lampo, dopo un unico
ascolto, e dopo avere letto molto (in rete è reperibile il loro pensiero che ho
carpito da altri curiosi come me) della loro filosofia musicale e di vita. Perché
mi dilungo su aspetti “secondari”( rispetto alla musica)? E’ di
pochi giorni fa una discussione appassionante online dove si sottolineava l’inesistenza del
nuovo, della buona musica, da ricercare solo negli anni ’70 (la mia musica!). Non la
penso così, e credo che questo “I PUTIN” sia un’ennesima dimostrazione. Ovviamente
può essere un genere che non fa scattare la scintilla dell’amore a prima vista,
in fondo c’è poco di razionale nella musica, e devo ancora trovare qualcuno che
mi spieghi perché per ogni dieci dischi degli YES ne ascolto uno dei Pink Floyd. Ma la
qualità è qualità, e penso che la
differenza tra musica “fatta
bene” e “bella musica”, sia quella tra chi esegue perfettamente una parte e chi
da realmente qualcosa a chi ascolta. THE EX KGB appartiene, secondo me, a questa
seconda categoria, almeno da quanto ho sentito su disco, in attesa di avere,
spero presto, una conferma live. Devo obbligatoriamente fornire un giudizio
sintetico, ma mi piace sottolineare ciò che mi ha colpito.
Il
gruppo è formato da tre musicisti, secondo uno schema abbastanza antico, quello
del basso/chitarra/batteria, con l’aggiunta dello Stick Chapman. La mia prima domanda è
proprio su questo argomento e mi procura una tiratina d’orecchie, per il mio
“ridurlo al suono di un basso”. In effetti è molto di più, ( prevede semmai la
contemporaneità di basso e chitarra), e vedendolo usare dal vivo la scorsa
estate da Nick Beggs (con Steve
Hackett) mi aveva incuriosito e avevo cercato un minimo di approfondimento.
Ma il risultato sonoro e le timbriche sono qualcosa che fanno parte del DNA
della musica rock, qualcosa di radicato che è ben diverso dall’utilizzo di
fiati o archi. Esistono
due elementi che mi hanno toccato e che occorre evidenziare. Innanzitutto
l’aspetto “energia”, quella parola che utilizzata nel campo musicale assume
connotati ben precisi e che ho ritrovato sottolineata in ogni articolo dedicato
a EX KGB. L’energia è spesso sinonimo di movimento, di ritmo, di bisogno di
passare dal “potenziale al cinetico”. “I PUTIN” è a mio giudizio tutto questo,
perché trattasi di vera “istigazione ad osare”. E già questo mi pare un
successo. Esiste poi un’energia
che non sarò in grado di spiegare, perché è un alchimia che si realizza quando si riesce ad entrare in sintonia (o almeno si crede che questo accada) con ciò che si sta ascoltando, e forse qui
risiede il maggior talento della band, che non necessariamente deve essere
formata da “geniali musicisti” (non sono in grado di giudicare), ma geniale è
il risultato e cioè il prodotto che arriva all’ascoltatore.
Esiste
poi il secondo elemento che è il particolare sound proposto. Ritengo sia
difficilissimo inventare qualcosa che diventi una peculiarità, un segno
distintivo, che ti fa dire immediatamente:” Ecco la chitarra di Ian
Ackerman, ecco la musica dei Focus!”. Eppure EX KGB è riuscito a
trovare “la caratteristica” che conduce a una sorta di “primostile, almeno per
quanto riguarda le mie conoscenze. In questo credo abbia giocato ruolo
fondamentale l’esperienza “straniera” e
l’ausilio del professionismo d’oltreoceano, che ha saputo comprendere e
tradurre i propositi in fatti reali. Non trascurabile il messaggio derivante
dalla copertina ( connesso al nome della band) che non ho il potere di
decodificare, ma fa parte di quel mistero che colpisce immediatamente chi
decide di vivere un album in modo totalitario, lasciandosi attrarre da tutti
gli aspetti che lo compongono.
All’impegno sociale del gruppo ho già accennato e, da quanto ho
inteso, è un aspetto completamente integrato nella filosofia e negli obiettivi
della band.
Nell’intervista
a seguire si possono trarre interessanti indicazioni.
A fine
post presento un brano che fa parte del disco e che mi è particolarmente
piaciuto, “I’m Moving”.
Notizie
dettagliate sulla band e sul loro album ai seguenti link:
L’INTERVISTA
La line
up composta da tre elementi è molto tradizionale. Gli strumenti che utilizzate
sono classici, nella famiglia del rock ( il Chapman Stick è comunque un basso),
e non vi avvalete di particolari tecnologie… riempitive. E’ una precisa scelta
che fa parte di un progetto, funzionale al sound che volete ottenere, o sono i
rapporti umani e il caso che conducono, magari fortunosamente, in una certa
direzione di piena soddisfazione?
Il
nome di una band è importante, nasce
per caso molte volte; diciamo quelli che non sono troppo meditati alla fine si
dimostrano come i migliori. E’
come quando si fa un assolo, la spontaneità è la Dèa che guida tutto. Quando
l’io del creativo si esprime senza filtri riesce quasi sempre ad infrangere i
limiti.
Grazie
di cuore del complimento prima di tutto. A
dire la verità siamo volati negli States e in Inghilterra anche prima di
diventare EX KGB, si è trattato di esperienze naturali per l’epoca in cui
viviamo e ve ne saranno molte altre. Siamo
figli di una società dove le distanze non rappresentano un limite e così ci
siamo potuti permettere di andare dove ci ha portato il cuore e la curiosità
per la musica. Sono state
occasioni di vita nelle quali abbiamo conosciuto e speso del tempo con persone
come Ronan Chris Murphy, Brian Eno, Tony Levin, Grace Jones ... persone con le
quali c’è stato uno scambio di quell’energia di cui si parlava prima, belle
persone, ognuna con le sue particolarità. Il
sound della band è stato poi catturato nel migliore dei modi al Prosdocimi
Recoding Studio.
Cosa
può fare in Italia una band che non va al Festival di Sanremo, per poter vivere
di sola musica?
Moltissime
cose! Come andare a suonare dove sta la vera e viva musica Italiana ed
internazionale. Suonare nelle
migliaia di club e festival organizzati da amanti della musica che danno tempo
ed energie per la loro passione e che dovrebbero essere aiutati dalle
istituzioni, non ostacolati come succede quasi sempre. Un paese civile non ostacola l’arte, e
qui abbiamo detto tutto.
Come
vedete il vostro futuro professionale dei prossimi cinque anni?
Bella
domanda ... per il momento ci godiamo la distribuzione del nostro disco da
febbraio in tutta Italia e nei negozi RICORDI e La FELTRINELLI ... poi andremo
a suonare dove ci chiameranno cercando di regalare bei momenti a chi ci
ascolterà. Per il resto ne
riparliamo tra cinque anni ...