lunedì 17 gennaio 2011

THE EX KGB-"I PUTIN"


Sono venuto in contatto col mondo “THE EX KGB lo scorso anno, quando presentai “La Stagione della beneficienza”:
Parlerò oggi del loro primo album, Ð¿ÐµÑ€Ð²Ñ‹Ð¹ ПуÌ�тин(Primo Putìn).
Quando mi appresto a “dire la mia” su un nuovo album, utilizzo uno schema consolidato, a mio giudizio appropriato per stimolare la curiosità, ma le conclusioni arrivano seguendo un iter diverso, a seconda che l’artista risponda alle mie domanda dopo uno o più ascolti. E l’intervista mi serve per farmi un’idea più chiara degli “uomini “ (o donne), che hanno speso “lacrime e sangue” in un progetto che spesso ha lunga gestazione.
Nel caso di THE EX KGB, le risposte sono arrivate in un lampo, dopo un unico ascolto, e dopo avere letto molto (in rete è reperibile il loro pensiero che ho carpito da altri curiosi come me) della loro filosofia musicale e di vita. Perché mi dilungo su aspetti “secondari”( rispetto alla musica)? E’ di pochi giorni fa una discussione appassionante online dove si sottolineava l’inesistenza del nuovo, della buona musica, da ricercare solo negli anni ’70 (la mia musica!). Non la penso così, e credo che questo “I PUTIN” sia un’ennesima dimostrazione.Ovviamente può essere un genere che non fa scattare la scintilla dell’amore a prima vista, in fondo c’è poco di razionale nella musica, e devo ancora trovare qualcuno che mi spieghi perché per ogni dieci dischi degli YES ne ascolto uno dei Pink Floyd. Ma la qualità è qualità, e penso che la differenza tra musica “fatta bene” e “bella musica”, sia quella tra chi esegue perfettamente una parte e chi da realmente qualcosa a chi ascolta. THE EX KGB appartiene, secondo me, a questa seconda categoria, almeno da quanto ho sentito su disco, in attesa di avere, spero presto, una conferma live. Devo obbligatoriamente fornire un giudizio sintetico, ma mi piace sottolineare ciò che mi ha colpito.
Il gruppo è formato da tre musicisti, secondo uno schema abbastanza antico, quello del basso/chitarra/batteria, con l’aggiunta dello Stick Chapman. La mia prima domanda è proprio su questo argomento e mi procura una tiratina d’orecchie, per il mio “ridurlo al suono di un basso”. In effetti è molto di più, ( prevede semmai la contemporaneità di basso e chitarra), e vedendolo usare dal vivo la scorsa estate da Nick Beggs (con Steve Hackett) mi aveva incuriosito e avevo cercato un minimo di approfondimento. Ma il risultato sonoro e le timbriche sono qualcosa che fanno parte del DNA della musica rock, qualcosa di radicato che è ben diverso dall’utilizzo di fiati o archi. Esistono due elementi che mi hanno toccato e che occorre evidenziare. Innanzitutto l’aspetto “energia”, quella parola che utilizzata nel campo musicale assume connotati ben precisi e che ho ritrovato sottolineata in ogni articolo dedicato a EX KGB. L’energia è spesso sinonimo di movimento, di ritmo, di bisogno di passare dal “potenziale al cinetico”. “I PUTIN” è a mio giudizio tutto questo, perché trattasi di vera “istigazione ad osare”. E già questo mi pare un successo. Esiste poi un’energia che non sarò in grado di spiegare, perché è un alchimia che si realizza quando si riesce ad entrare in sintonia (o almeno si crede che questo accada) con ciò che si sta ascoltando, e forse qui risiede il maggior talento della band, che non necessariamente deve essere formata da “geniali musicisti” (non sono in grado di giudicare), ma geniale è il risultato e cioè il prodotto che arriva all’ascoltatore.
Esiste poi il secondo elemento che è il particolare sound proposto. Ritengo sia difficilissimo inventare qualcosa che diventi una peculiarità, un segno distintivo, che ti fa dire immediatamente:” Ecco la chitarra di Ian Ackerman, ecco la musica dei Focus!”. Eppure EX KGB è riuscito a trovare “la caratteristica” che conduce a una sorta di “primostile, almeno per quanto riguarda le mie conoscenze. In questo credo abbia giocato ruolo fondamentale l’esperienza “straniera” e l’ausilio del professionismo d’oltreoceano, che ha saputo comprendere e tradurre i propositi in fatti reali. Non trascurabile il messaggio derivante dalla copertina ( connesso al nome della band) che non ho il potere di decodificare, ma fa parte di quel mistero che colpisce immediatamente chi decide di vivere un album in modo totalitario, lasciandosi attrarre da tutti gli aspetti che lo compongono. All’impegno sociale del gruppo ho già accennato e, da quanto ho inteso, è un aspetto completamente integrato nella filosofia e negli obiettivi della band.
Nell’intervista a seguire si possono trarre interessanti indicazioni.
A fine post presento un brano che fa parte del disco e che mi è particolarmente piaciuto, “I’m Moving”.

Notizie dettagliate sulla band e sul loro album ai seguenti link:



L’INTERVISTA

La line up composta da tre elementi è molto tradizionale. Gli strumenti che utilizzate sono classici, nella famiglia del rock ( il Chapman Stick è comunque un basso), e non vi avvalete di particolari tecnologie… riempitive. E’ una precisa scelta che fa parte di un progetto, funzionale al sound che volete ottenere, o sono i rapporti umani e il caso che conducono, magari fortunosamente, in una certa direzione di piena soddisfazione?

Si il trio è una formazione classica, sono gli ingredienti che cambiano e danno un volto.Strumenti tradizionali si e no perché ridurre il “Chapman Stick a un basso è semplicistico. L’approccio allo strumento, alla musica, la tecnica che questo strumento richiede sono molto lontani dal basso a 4 corde. Lo stesso approccio compositivo e gli arrangiamenti cambiano. Il mio modo di suonare la chitarra (Mike) è cambiato essendo assieme allo stick e Dio solo sa quanto questo mi abbia arricchito. Le tecnologie che usiamo sono quelle che hanno dato alla storia dischi meravigliosi come “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, “Syncronicity” dei Police, “10.000 Days” dei Tool, “Versus” dei Pearl Jam, “Physical Graffiti” dei Led Zeppelin per citarne solo alcuni tra i milioni. La cosa importante è che la tecnologia serva a comunicare idee ed emozioni che la band ha da esprimere, senza queste la tecnologia non serve a niente. Per noi è importante che tutto quello che suoniamo venga restituito ai posteri in maniera fedele, con la maggiore qualità audio possibile, senza editing e diavolerie di sedicenti pseudo ingegneri del suono e produttori che aggiungano plastica al nostro essere. Dalla nostra musica deve emergere quello che siamo noi, quell’unico feeling che solo noi possiamo dare in ogni beat, in ogni frazione. Se chi ci ascolta sentirà l’unicità del momento, dello stato emotivo beh allora ci sarà stato incontro d’animi ... la cosa più bella dell’arte chiamata musica.

“Primo Putìn” , al primo ascolto mi ha dato immediatamente la sensazione di “lavoro energico”. L’energia è qualcosa che vi vedo “appiccicata” in qualsiasi commento che vi riguarda, a maggior ragione in fase live. Che tipo di interazione riuscite a stabilire con il vostro pubblico quando siete on stage?

L’energia comanda l’universo e noi siamo solo una piccola parte di questa. Non c’è una spiegazione razionale a quella che noi comunichiamo, possiamo solo dire che chi viene a sentirci la avverte. Chimica umana, qualcosa che si crea quando delle persone senza saperlo creano un qualcosa che diventa profondo, che non può essere scalfito dall’apparenza, dalla superficialità di questa società, è qualcosa che si autoalimenta, cresce dando emozioni, un bisogno che si esterna durante i concerti. Il titolare dello Shakti Club di Pomigliano d’Arco e delle Scimmie di Milano questa cosa l’hanno sentita subito, sono dei grandi.

Quanto pensate sia importante/stimolante il nome della band per dare qualche messaggio/indicazione al pubblico (io ci ho riflettuto sopra…)?

Il nome di una band è importante, nasce per caso molte volte; diciamo quelli che non sono troppo meditati alla fine si dimostrano come i migliori. E’ come quando si fa un assolo, la spontaneità è la Dèa che guida tutto. Quando l’io del creativo si esprime senza filtri riesce quasi sempre ad infrangere i limiti.

Le vostre collaborazioni musicali internazionali sono di una certa importanza e anche dal punto di vista della produzione è rilevante il link con Ronan Chris Murphy. Anche 40 anni fa, chi poteva permetterselo volava oltre oceano per migliorare qualcosa del proprio stato professionale. Non posso chiedere dei paragoni rispetto a un’epoca che non avete vissuto, ma … quale tipo di esigenza vi porta oltre i confini nostrani nel tentativo (devo dire riuscito) di creare un sound “personale?

Grazie di cuore del complimento prima di tutto. A dire la verità siamo volati negli States e in Inghilterra anche prima di diventare EX KGB, si è trattato di esperienze naturali per l’epoca in cui viviamo e ve ne saranno molte altre. Siamo figli di una società dove le distanze non rappresentano un limite e così ci siamo potuti permettere di andare dove ci ha portato il cuore e la curiosità per la musica. Sono state occasioni di vita nelle quali abbiamo conosciuto e speso del tempo con persone come Ronan Chris Murphy, Brian Eno, Tony Levin, Grace Jones ... persone con le quali c’è stato uno scambio di quell’energia di cui si parlava prima, belle persone, ognuna con le sue particolarità. Il sound della band è stato poi catturato nel migliore dei modi al Prosdocimi Recoding Studio.

Cosa può fare in Italia una band che non va al Festival di Sanremo, per poter vivere di sola musica?

Moltissime cose! Come andare a suonare dove sta la vera e viva musica Italiana ed internazionale. Suonare nelle migliaia di club e festival organizzati da amanti della musica che danno tempo ed energie per la loro passione e che dovrebbero essere aiutati dalle istituzioni, non ostacolati come succede quasi sempre. Un paese civile non ostacola l’arte, e qui abbiamo detto tutto.

Siete impegnati su diversi, importanti fronti sociali. Concretamente, cosa può fare di diverso un cittadino musicista da un cittadino comune?

Può mettere la sua arte al servizio del prossimo. Un cittadino può donare con un sms, anche il musicista lo fa. La differenza è che il musicista / artista può guardare oltre e mettere una sua qualità al servizio della società nella creazione di un qualcosa di grande. Può tentare di creare una famiglia di amanti della musica che con il divertimento che la musica porta, aiuti delle organizzazioni che meritano aiuto. Come prima; un paese civile aiuta l’ambiente e la ricerca non da elemosina.

Come vedete il vostro futuro professionale dei prossimi cinque anni?

 Bella domanda ... per il momento ci godiamo la distribuzione del nostro disco da febbraio in tutta Italia e nei negozi RICORDI e La FELTRINELLI ... poi andremo a suonare dove ci chiameranno cercando di regalare bei momenti a chi ci ascolterà. Per il resto ne riparliamo tra cinque anni ...