L’album di cui parlo
oggi è Desert Butterflies, di Yossi Sassi,
uno dei fondatori del gruppo metal, israeliano, Orphaned Land, in
questo caso pieno “titolare” del progetto.
Non ho mai effettuato ricerche sulla musica di
quel paese, e non so che tipo di fervore sonoro sia in atto, nascosto - o esaltato
- da problemi di natura sociale e politica, ovviamente importanti e tali da poter
condizionare aspetti artistici e culturali che sono spesso la via di fuga verso
la serenità e la rivalsa personale e di gruppo.
E’ stato quindi con curiosità - e successiva
sorpresa - che mi sono avvicinato ad un mondo sconosciuto, che vede un
protagonista assoluto - Yossi Sassi -
virtuoso dello strumento, capace di inventare quello che per me è il primo
esempio di chitarra/bouzouky, fusi in un unico “body”, ma abbastanza attento
nel privilegiare la coralità espressiva a discapito dell’intraprendenza personale.
Undici tracce per realizzare un disco
concettuale, incentrato sulle nuove sfide quotidiane che sfuggono dalla routine,
nel tentativo di creare le condizioni per un futuro basato su una migliore
qualità della vita, e sono questi concetti che accomunano le anime di ogni
paese, anche quelli in apparente stato di pace.
La musica proposta è qualcosa di sorprendente,
sicuramente una novità per il pubblico italiano. L’unione del rock e delle
linee prog alla cultura specifica del luogo di provenienza creano un sound
inusuale, dove l’etnia acustica e il folk si sommano al lato elettrico,
realizzando un prodotto non comune, vario e raffinato.
Yossi utilizza 19 tipi di chitarre differenti,
con lo scopo di esaltare i dettagli della sua musica, curando ogni
sfaccettatura che accompagna i tratti melodici, quelli orientaleggianti e la “durezza”
che solo un power group riesce a realizzare e a condividere con successo.
E in questa musica che arriva da Israele c’è
anche un tocco italiano, per la partecipazione della “nostra” Mariangela Demurtas, di cui parla Yossi nell’intervista a seguire.
Difficile fornire una
collocazione, un genere, un’etichetta alla proposta di Sassi, e forse l’esempio
video a seguire potrà chiarire meglio le idee, ma al di là delle caselle
facilitatrici mi preme sottolineare come quello che spesso andiamo a ricercare -
un nuovo sound - potrebbe essere contenuto in Desert
Butterflies, un album in grado di aprire le porte verso un concezione
parallela di Musica, un contenitore tutto da scoprire e da condividere.
L’INTERVISTA
Come definiresti la tua musica per il pubblico italiano e per
quelli che non ti conoscono?
La mia
musica è una fusione tra le radici e il folklore proveniente da tutte le parti
del mondo - soprattutto il lato orientale e mediterraneo - e si fonde con gli
aspetti contemporanei, con particolare attenzione al rock. E 'un mix di rock
orientale e world music, un viaggio è vario, intenso, sviluppato in differenti
direzioni.
Come nasce la tua
passione per la musica e quali sono stati i tuoi riferimenti musicali più
importanti?
Sono nato
in una famiglia “musicale”. Mio padre era il quarto di dieci fratelli e
sorelle, e tutti sapevano suonare strumenti o cantare, o fare entrambe le cose.
Mio nonno Yossef Sassi (io sono il suo omonimo) è stato un suonatore di
Bouzouki e Oud, e insegnante di scale arabe e
makamat (opere rimata, a cavallo tra prosa e poesia). Le mie influenze arrivano
dunque dalla mia famiglia, da mio padre in particolare, e poi dalla musica di
tutto il mondo - da Dead Can Dance, Joe Satriani, Dream Theater e fino a Omar
Faruk Takbilek.
Sei considerato un
virtuoso della chitarra ma ciò che emerge dall'ascolto della tua musica è un
sound globale, un gioco di squadra: mi sto sbagliando?
Infatti,
mi pare sia chiaro il senso della band, del gruppo al lavoro. Sono abituato a
lavorare con altri musicisti, suonare e cooperare in gruppo. Nel mio progetto
solista è privilegiato il “suono di squadra”, e sebbene sia io a comporre e
arrangiare le canzoni, ogni musicista contribuisce con il proprio talento,
colore e stile.
Mi racconti qualcosa di
questo tuo nuovo album, "Desert Butterflies"?
Il nuovo
album, “'Desert Butterflies”, è stato registrato in quattro paesi e tre
continenti, e include un cantante italiana
che arriva dalla Sardegna, Mariangela Demurtas (Moonspell, Tristania). Comprende
tanti musicisti e buoni amici, come Marty Friedman, Ron 'Bumblefoot' Thal
(Guns'n'Roses) e molti altri. Io suono 19 (!) diverse chitarre, e le canzoni costituiscono
un concept album che parla della routine, del perseguire i sogni personali,
lasciando ciò che è familiare e usuale, alla ricerca di nuove e grandi sfide.
In un brano è presente
una vocalist italiana, Mariangela Demurtas: come nasce la vostra
collaborazione?
Mariangela
è un grande cantante e una persona straordinaria. Ci siamo incontrati qualche
anno fa in alcuni festival, e sono rimasto colpito dalla sua voce e dalla sua
capacità di stare sul palco. Ho anche un po’ di sangue italiano in me (sono un
quarto italiano, da parte di mio padre), e forse questo è il motivo per cui abbiamo
legato bene. Dopo la nostra conoscenza siamo rimasti in contatto, e mentre
stavo lavorando sulla canzone “Believe”,
ed ero alla ricerca di un cantante capace
di esprimersi in spagnolo o italiano, lei è stata la prima che mi è venuta in
mente. Mariangela è protagonista di una straordinaria performance nel disco,
così come accade negli spettacoli dal vivo, dove abbiamo l’opportunità di esprimerci assieme.
Sono rimasto
incuriosito dalla Bouzouki-Guitar di tua invenzione: me ne parli?
E 'un unico
corpo, due manici, tre anime elettrificate - chitarre acustiche e bouzouki in
un unico strumento. Nel 2011, decisi di progettare uno strumento che sarebbe
poi diventato l'incarnazione del mio percorso musicale. Ho avuto un chiaro
bisogno di trovare un modo efficace per passare dalla acustico Greek Bouzouki
alla mia chitarra elettrica, e dopo molti tentativi e duro lavoro è nato il
"Bouzoukitara", uno strumento unico che combina un mandolino
tradizionale greco (Bouzouki) ad una chitarra solid-body elettrica. Insieme al
Liutaio Bejamin Millar sono stato in
grado di trasformare questo progetto in realtà.
Potresti raccontarmi
qualcosa sullo stato della musica nel tuo paese?
Purtroppo,
la musica e la cultura in generale, non sono così importanti come io vorrei che
fossero in Israele. Provenendo da una regione in fase di lotte e conflitti, vedo
che a volte la musica è superata da questioni più urgenti. Ma questo è anche il
motivo per cui è così importante per me fare musica nel mio paese, e in tutti i
paesi limitrofi - la musica è il vero linguaggio universale capace di fare da
tramite tra le persone. Essa ha il potere di unire la gente, riuscendo laddove la politica fallisce. Ed è questa la
ragione per cui a quel punto prendo in mano la chitarra e cerco di fare al
meglio ciò che… so fare meglio!
C'e qualche possibilità
di vederti prossimamente in Italia, per qualche concerto di presentazione
dell'album?
Certo!
Stiamo lavorando su alcune date relative all’Europa, e l'Italia dovrebbero
essere inclusa. Sono già stato in tour in Italia in occasione dell’uscita del mio disco
precedente, i “Melting Clocks", a Prato e a Milano, e spero di tornare!