lunedì 13 aprile 2015

Dino Fiore e Il Castello di Atlante


Articolo già apparso nel Dicembre scorso sul periodico "contrAPPUNTI", realizzato dal Centro Studi per il Progressive Italiano.

Il Castello di Atlante fa parte della storia della musica progressiva italiana, e proprio quest’anno celebra i quarant’anni di attività.
Una lunga strada quella della band piemontese, caratterizzata da successi e performance live applaudite in ogni paese, ma con un rammarico, quello di essere partita con un attimo di ritardo - era il 1974 - quando il pieno interesse per il prog stava iniziando a scemare; la diretta conseguenza fu l’impossibilità di realizzare l’incisione che avrebbe fornito la piena nobiltà, ma gli anni di lavoro successivi hanno comunque permesso di costruire un solido percorso che vede come ultimo atto tangibile il CD/DVD “Capitolo 8: Live”.
Oggi Il Castello di Atlante è conosciuto in tutto il mondo, fatto impensabile per le band più o meno coeve, impossibilitate nel farsi conoscere all’estero nei seventies salvo pochi e rari casi.
Ho chiesto a uno dei fondatori del “Castello” - così viene comunemente chiamato il gruppo - il bassista Dino Fiore, di aiutarmi a fare il punto della situazione.



Intervista a Dino Fiore


Sbilanciati, raccontaci tutto de Il Castello di Atlante dopo quant’anni di attività.

Vedo che l’intervista inizia a freddo con una bella domandina.  Dunque nel 2014 sono 40 gli anni di attività con Il Castello di Atlante e ti posso confessare che è stata una gran bella avventura, musicale e soprattutto personale. Un viaggio incominciato che eravamo ragazzini e che continua con un costante e grande entusiasmo e con la voglia di fare cose sempre nuove, di comporre musica e di stare insieme. Si perché alla base di tutto quanto ci sta l’amicizia, un legame indissolubile che ci mantiene integri nel tempo, nonostante le mode e gli stili di vita, mutamenti delle epoche che ovviamente hanno modificato la musica e le tecniche interpretative e compositive, ma non il grande rapporto che ci unisce oramai in maniera granitica. Il tutto iniziò quando alla fine degli anni ‘60 Paolo (drum) ed io, abitavamo nella stessa via uno di fronte all’altro,  e tra un gioco e l’altro abbiamo capito che eravamo innamorati della stessa “ragazza”… la musica. E così decidemmo che dovevamo suonare insieme, considerato che entrambi già avevamo delle band nelle quali militavamo. E poi era il progressive che ci univa ancora di più, con le notti in bianco passate a sentire i dischi dei Genesis, Gentle Giant, ELP, Banco, Yes. In pochi mesi abbiamo arruolato Massimo (violino), Aldo (chitarra), Giampiero (flauto) e vari tastieristi (sempre una categoria difficile da gestire). Alla fine, più tardi, l’arrivo di Roberto ci ha finalmente consegnato il synth definitivo. Dal 1974 al 2014 tanti concerti fatti, importanti e meno (anche quelli organizzati il giorno prima), dal teatrino della parrocchia di Pontestura al Gran Teatro De La Musica di Mexicali in Messico, dai paesini del Monferrato al tour del Giappone (Tokyo, Nagoya, Kyoto), tante registrazioni con i mezzi dell’epoca, un 45 giri autoprodotto nel 1983, otto CD ed un DVD Live ufficiali, tante composizioni che scaturivano da una fervida e giovanile esuberanza creativa, tante prove fatte in un cascinale (ancora oggi proviamo in una cascina persa tra le risaie), che a volte ci accoglieva in pieno inverno, temperatura esterna di - 6°, con la stufa a kerosene completamente intasata ed inesorabilmente spenta! Per non parlare dei concerti fatti in un campo da calcio, senza copertura alcuna e dove l’erba era un miraggio, alle 2 di pomeriggio e sotto il sole della Pianura Padana in piena estate a + 40°! Una gran bella storia, sicuramente comune a tante altre rock band del passato, che sarà raccontata su di un libro (Paolo la sta scrivendo) di prossima pubblicazione. Oggi giriamo il mondo con i nostri concerti e tra poco uscirà il nostro nono lavoro discografico, eppure pensare a quei momenti ci fa ancora malinconicamente sorridere.

Eppure… l’esordio discografico è arrivato solo nel 1992: come mai un gap discografico così grande?

E’ vero solo nel 1992 abbiamo trovato la nostra consacrazione con l’uscita del primo CD “Sono Io il Signore delle Terre a Nord”, prodotto da Beppe Crovella (Arti e Mestieri). In quei 18 anni, oltre ad aver riempito le nostre esperienze di vita e di musica come ti ho già detto, abbiamo anche avuto i contatti importanti, quelli che probabilmente avrebbero potuto segnare in maniera significativa la nostra carriera musicale. Come tanti altri gruppi, vanteremmo oggi un LP registrato nel 1978 o giù di lì e saremmo elencati nei libri e negli articoli di settore come uno dei gruppi storici del progressive italiano, alla pari di Quella Vecchia Locanda, Latte e Miele, Balletto di Bronzo, Museo Rosembach, Arti e Mestieri, Locanda delle Fate, etc… Invece negli anni 2000, non mi ricordo su quale testata, siamo stati segnalati come una band “new progressive”! Diciamo che negli anni settanta siamo stati ad un passo, anzi a pochi centimetri, dal contratto discografico giusto e proprio negli anni magici del genere progressive, ma una nostra scelta molto categorica e non trattabile (almeno per noi) ci impedì il grande passo. Abbiamo sbagliato? A fare un sereno esame dei fatti oggi, direi di sì, ma non è possibile mutare il passato, e quindi va bene così.

I vostri concerti in giro per il mondo sono numerosi e carichi di successo: è più facile suonare e raggiungere l’audience al di fuori dei nostri confini?

Ahimè questa è una domanda che fa male. Lo so che sarò tacciato di esteromania, ma i fatti sono quelli che contano. I concerti in Italia sono molto difficili da organizzare, a meno che non trovi gli sponsor giusti e disposti a finanziare avvenimenti di un certo rilievo. Oggi in Italia pochi sono anche i festival di progressive che hanno rilevanza internazionale e possono sperare in una soddisfacente presenza di pubblico (tra questi mi vengono in mente quelli di Veruno, Verona, Roma). Le richieste per concerti e partecipazioni ai festival ci vengono inviate quasi sempre dall’estero, dove abbiamo acquisito una posizione di riguardo e generalmente siamo considerati gli headliner. Nel tour in Giappone ogni nostro concerto era preceduto da un gruppo di supporto ed in Indonesia siamo stati accolti come “il più importante gruppo di prog italiano, alla pari di PFM, Banco e Orme” (non l’ho detto io, ma è stata la stampa locale a presentarci in tal modo).  Pensa che a Surabaya, sempre in Indonesia, hanno organizzato anche un seminario di musica progressive, da noi diretto ed illustrato, anche con brani suonati in diretta, di fronte ad una platea di giornalisti e responsabili del settore musicale. Per non parlare poi di quest’anno, quando al Baja Prog in Messico abbiamo aperto il concerto di FISH! In Italia?  Beh direi che è all’ordine del giorno suonare in teatri con una platea di 40/50 persone al massimo, e mi riferisco ad un concerto andato bene, se e quando si riesce ad organizzare! Le ragioni? Non riesco più ad individuarle ne a comprenderle sino in fondo, ma d’istinto penso all’informazione musicale nostrana, che spesso parla del progressive come di un genere oramai morto e sepolto sin dagli anni settanta, seguito solo dai progger nostalgici. Se esiste un modo per allontanare i giovani dai nostri concerti, eccolo qui!  E allora mi chiedo perché ai concerti che abbiamo tenuto all’estero, anche in Europa, il pubblico partecipa numerosissimo sino ad arrivare a punte di 3000/4000 persone di tutte le età a serata?

Quando vi ho visto dal vivo, al FIM, nel mese di Maggio, sono rimasto colpito dalla forza d’urto e dalla presa immediata che avete sul pubblico: possiamo dire che Il Castello di Atlante si realizza completamente on stage?

Sono assolutamente d’accordo con te. Sul palco ciascuno di noi trasferisce se stesso ed il proprio entusiasmo senza problemi, perché suonare on stage ci diverte prima di tutto. Non abbiamo mai tentato la strada della perfezione tecnica, anche perché non siamo dei virtuosi, ma abbiamo sempre puntato sulla musica d’insieme, sul contatto con il pubblico. Vogliamo sempre arrivare con la nostra spensieratezza a chi è li che ci ascolta, ed è per questo che Paolo abbandona spesso e volentieri la batteria e si precipita in prima linea per coinvolgere la platea. In Giappone ha fatto cantare il teatro in italiano, ed in Messico è addirittura sceso dal palco con il microfono!

Che tipo di bassista è Dino Fiore? Come nasce la passione per lo strumento e come si sviluppa nel tempo?

Mi ritengo un bassista classico e melodico, concretamente prog ... quello per intenderci che cerca di inserire le scale e la nota giusta al posto giusto senza il virtuosismo delle 40 note in un nano secondo! Scherzi a parte l’essere un virtuoso non fa parte del mio bagaglio di musicista, sia perché nasco come autodidatta dello strumento sia perché non ne sarei francamente all’altezza. Di bassisti iper tecnologici oggi ce ne sono tantissimi, frutto delle nuove scuole musicali, e francamente mi affascinano molto dal punto di vista tecnico, pochissimo dal punto di vista emotivo. Quando nacque il Pastorius style, ammetto di esserne stato fortemente contagiato, al punto di acquistare un Fender Jazz del 1965 con manico fretless (tinta legno chiaro come quello del “divino maestro”), di studiare notte e giorno l’intonazione e di suonare i pezzi di Jaco a più non posso. Il basso è ancora a casa mia (ha un suono meraviglioso) e sicuramente nei miei archivi di demo dovrei avere la registrazione di una versione moderna della mitica Birdland suonata con quello strumento. Ma quando mi sono accorto, ad un certo punto, che 2 milioni di bassisti avevano assunto quel modo di suonare e che, bene che lo facessero, niente avevano di che spartire con l’originale, ho capito che bisognava smetterla di “copiare malamente” e che era necessario cercare una propria strada, assolutamente personale ed adeguata alle proprie reali capacità. Attualmente mi piace ricercare sonorità diverse, scale armoniche e suoni di ambiente che ho capito con il basso possono essere molto particolari (non a caso in questi mesi ho scoperto l’incredibile genialità di Michael Manring), pur restando legato come ispirazione ai grandi bassisti progressive come Chris Squire, Glenn Cornick, Tony Levin, Patrick Djivas. Com’è nata la mia passione per il basso? Ah, pensa che alla fine degli anni sessanta un mio amico mi disse - facciamo una band e tu suoni la chitarra. Io andai a comperare una chitarra elettrica Davoli, un metodo con gli accordi (non li sapevo) e mi presentai alle prime prove. Quel maledetto amico mi fermò all’ingresso della cantina con poche parole: -scusa ma adesso abbiamo il chitarrista, ci mancherebbe il basso… e poi non rompere le balle tu hai 6 corde invece di 4… sei un privilegiato… vai e suona. A parte le dimensioni delle corde, e ovviamente l’accordatura, fui mio malgrado un precursore del basso a 6 corde (oggi ne ho due)! 

Nel “Capitolo 8 Live”, CD+DVD, è sintetizzata la vostra storia: sei soddisfatto di quanto avete realizzato o pensi che afferrando il treno giusto le cose potevano andare ancora meglio?

Sì, sono molto soddisfatto di tutto quello che abbiamo fatto sino ad ora, esclusivamente con le nostre forze e con tutta la passione che abbiamo dentro. Nel doppio che tu hai citato, uscito questa volta con l’etichetta straniera Azafran Media e distribuito in Europa dalla francese Musea (abbiamo trovato dei produttori messicani/americani altamente professionali, oltre che fans del Castello, e con i quali siamo andati subito d’accordo su ogni dettaglio), si racchiudono in un concerto 40 anni della nostra musica. Infatti i brani sono estratti dal primo CD del 1992 sino all’ultimo pubblicato nel 2008, una vera e propria serie di quadri per una esposizione storica della band. Purtroppo in questo bellissimo lavoro, ad eccezione di noi e dei testi, non c’è nulla di italiano. Chiudiamo un capitolo per aprirne subito un altro, che spero possa durare altri 40 anni (!!!), con il nuovo lavoro che uscirà a febbraio/marzo 2015.  Se avessimo preso il famoso treno che nella nostra stazione si era anche fermato per prenderci, di cui ho parlato prima, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente, non so se meglio o peggio, ma sicuramente tutto quanto sarebbe stato affrontato e gestito con prospettive non confrontabili con quelle attuali. Ma ripeto, le cose non si possono cambiare, e va benissimo così.

Quali dei gruppi riferimento di inizio anni ’70 ha esercitato su di voi maggior influenza?

Indubbiamente Genesis, Jethro Tull, P.F.M. e Banco, per quanto riguarda il Castello. Io in quell’epoca ero fruitore di moltissima altra musica, sperimentale e jazz/fusion (mi vengono in mente Soft Machine, Mahavishnu Orchestra, Weather Report, Area e tanti altri).

Se guardi all’orizzonte, che tipo di futuro vedi per la Musica Progressiva?

Ho l’impressione che il movimento progressive non sia assolutamente al capolinea, anche se in Italia leggo e sento commenti assai critici sull’esistenza di noi musicisti progressive. Siamo tacciati di presunzione, di distacco dal pubblico, di composizioni stantie e appartenenti oramai al passato, di incapacità a produrre novità, di mancanza di idee. Quello che stupisce è come, con approcci diametralmente opposti, si parli di noi musicisti prog italiani all’estero. Siamo contattati per le partecipazioni ai festival, ai concerti, alle produzioni discografiche con le band di tutto il mondo (si pensi alle varie pubblicazioni della Colossus), e tutto quanto giustificato dal fatto che proveniamo dalla terra più fervida e gloriosa del progressive... quell’Italia che tanto invece ci critica ed anche ci evita. E’ pazzesco!  Per fortuna esistono ancora giornalisti come te ed etichette discografiche che, pur districandosi tra mille difficoltà, spendono tempo e risorse per pubblicizzare e produrre un genere che è tutt’altro che morto e sepolto. Anche il Castello sta preparando per il 2015 programmi, concerti e collaborazioni varie, a testimonianza che siamo vivi più che mai! Lunga vita al prog!   

Mi dai il nome di tre nuove band, italiane o straniere, che ti hanno particolarmente colpito negli ultimi tempi?

Te ne cito quattro. Tra gli stranieri sicuramente gli americani SPOCK’S BEARD di Alan Morse (con le meravigliose tastiere di Ryo Okumoto), i francesi GENS DE LA LUNE (con l’istrionico vocalist Francis Decamps), gli olandesi AYREON (il progetto musicale del grande compositore/musicista Arjen Anthony Lucassen).
Tra gli italiani IL TEMPIO DELLE CLESSIDRE (mi ha impressionato il cantante Francesco Ciapica), li ho sentiti al FIM di Genova e mi hanno entusiasmato.
 
I tuoi progetti musicali personali sono rilevanti e più orientati al jazz-rock: me ne puoi parlare?

Pur avendo un rapporto indissolubile con il Castello, ho sempre cercato nella mia carriera musicale di approfondire le tecniche legate ad altri generi musicali. Ho collaborato negli anni passati con moltissimi musicisti, molti dei quali del tutto estranei al mondo del progressive. Ne cito solo alcuni: Alberto Mandarini (rinomato trombettista jazz), Luigi Ranghino (pianista e gran conoscitore dell’improvvisazione jazzistica), Antonello Rasi (tastierista e compositore fusion), Alberto Bocchino (formidabile concertista di chitarra classica e compositore), Iano Nicolò (creativo vocalist degli Arti e Mestieri). Ne dovrei indicare altri cento più o meno, ma penso di non avere tutto questo spazio. La realtà è che ho sempre considerato una sfida personale la ricerca di sonorità e di composizioni non dettate da stili, mode o altro. Nel mio archivio ho una raccolta di circa 50 CD, materiale riversato in digitale dalle vecchie bobine a nastro e che raccolgono tutta la mia produzione in 40 anni di musica. Non male eh? Ed ho intenzione, con calma certosina, di selezionare tutto quanto, di rielaborarlo, riarrangiarlo e riprodurlo su lavori ufficiali. Un primo risultato di questa opera di restyling è stata l’uscita, nel febbraio 2013, del mio personale primo CD ufficiale “FLEUR FOLIA”, su etichetta Electromantic Music. E’ un lavoro un pò ambizioso, lo ammetto, e di non facile approccio. Ho riunito un pò tutte le esperienze “fuori dal Castello”, un mix di jazz/fusion/prog/ambient e molta improvvisazione. Ci sono ospiti importanti (Iano Nicolò, Beppe Crovella, Luigi Ranghino, Mattia Garimanno) ed alcuni parti di molteplici piste di solo basso, ovviamente concepite non per virtuosismo, ma per puro animo di ricerca e di elaborazione. Normalmente i dischi dei bassisti sono veramente noiosi, tranne pochissimi, ed io ho cercato di proporre un lavoro dove gli assoli di basso fossero ridotti al minimo, dando molto più spazio alla musica d’insieme (sono anche il compositore dei pezzi). In sostanza ho cercato, sperando di esserci riuscito almeno in parte, di non fare il solito disco di un bassista che celebra se stesso ed il suo strumento.  Ma sono andate oltre, pubblicando su You Tube, grazie al genio ed alla collaborazione fantastica di Iano Nicolò, video estratti dal mio CD con storie elaborate su cartoni animati.  Sono fantastici!  “Fleur Folia” è stato solo l’inizio di una lunga serie di progetti futuri.

Domanda d’obbligo, cosa c’è dietro l’angolo per Il Castello di Atlante?

“Tanti progetti e tanti appuntamenti. Per cominciare nei primi mesi del 2015 uscirà il nuovo lavoro “ARX ATLANTIS”, con la nuova etichetta Black Widow di Genova, e sarà un gran bel lavoro. Sempre a metà del prossimo anno, e questa è una new freschissima, parteciperemo al progetto musicale della rivista finlandese COLOSSUS, basato sul “Decameron” di Giovanni Boccaccio. Musicheremo la seconda novella della decina giornata “Ghino di Tacco e l’abate di Clignì”.
Nel frattempo Paolo sta ultimando di scrivere il libro, di cui ti ho già parlato, con la nostra storia… tra il serio ed il meno serio sicuramente! E poi i concerti… come sempre all’estero ma spero finalmente anche in Italia. Il prog esiste, è vivo e vegeto… non c’è altro da dire.