martedì 17 marzo 2015

UKIYOE-Mondi Fluttuanti/Quickworks & Deadworks, di Nichelodeon (Claudio Milano) e Francesco Paolo Paladino

Claudio e Davide

Ogni volta che mi trovo a commentare le proposte di Claudio Milano (Nichelodeon), so già che il percorso da affrontare non consisterà solo nel mero ascolto, ma sarà richiesto qualcosa in più. Quando poi le teste pensanti sono due, e la seconda è un tal… Francesco Paolo Paladino, un po’ di preoccupazione sorge spontanea.
Milano, vocalist “estremo”, scrittore, artista e musicista completo, mi sorprende sempre per talento e capacità creativa, anche se spesso capto la sua difficoltà nel far comprendere il suo spirito libero e la sua attitudine all’innovazione, all’alternativa rispetto allo standard che ci viene proposto quotidianamente.
Paladino è, anche, un genio della macchina da presa, un regista all’avanguardia, e i suoi movie, pluripremiati, hanno significati non sempre limpidi, e spingono a mettersi in discussione, a riflettere, senza avere il tutto servito su di un piatto d’argento.
Ciò che hanno realizzato in questa occasione è un concept multimediale che prevede un ricco contenitore: un cortometraggio di Francesco Paladino -“Quickworks & Deadworks”-, un CD musicale di Nichelodeon/Insonar -UKIYOE-Mondi Fluttuanti- e il video clip di Claudio MilanoTutti i liquidi di Davide”. All’interno ricco booklet e illustrazioni (di Milano).
La ricostruzione oggettiva dell’intera opera emerge chiaramente dalle parole a seguire dei due “creatori”, che entrano nel dettaglio, trasformando il loro commento in didascalia vera e propria.
La cronologia della sequenza evidenzia la nascita del film, a cui segue il commento musicale.
Mentre riascoltavo e rivedevo il tutto, a pochi giorni dalla morte di Daevid Allen, dipartita che mi ha coinvolto emotivamente, mi è venuto spontaneo il parallelo tra mondi -quello di cui sto scrivendo e quello di Radio Gnome- a cui provo a trovare un comune denominatore: la pazzia creativa, il superamento della tradizione, una certa rigorosità di metodo inserita nella libertà espressiva, e la genialità della soluzione finale.
Il canovaccio su cui si muovono i protagonisti tratta il tema dei fluidi, acqua, ma non solo,  e i termini tecnici marini "Quicworks" e "Deathworks" -ciò che emerge sempre dell'imbarcazione e quello che non spunta mai- diventano forte metafora, il simbolo delle incomprensioni che caratterizzano le nostre vite, aspetti che da chiari diventano scuri, sentimenti che rimangono sommersi per una vita, a cui basterebbe poco per trovare luce naturale. Punti di vista differenti e avvelenamenti continui che necessiterebbero soltanto di un po’ di trasparenza.
Anche “Tutti i liquidi di Davide” utilizza il pretesto dell’elemento materiale per spaziare su un macro concetto, quello che descrive la necessità di assoluto amore, in ogni sua forma, come dice Claudio “… contro ogni razzismo e pregiudizio…”, e così la storia d’amore tra un uomo e il suo palloncino Davide diventa la sintesi dell’impegno quotidiano dell’autore, un valore assoluto che richiama ad una condivisione selvaggia.
UKIYOE è un album più breve rispetto alle “quantità” a cui ci ha abituato Milano, ma il risultato della sua squadra al lavoro è davvero notevole. Per certi versi più accessibile rispetto ai lavori precedenti, evidenzia ancora le incredibili doti vocali dell’artista, messe a disposizione del progetto, dove ogni ospite fornisce un completo contributo in fase di composizione e arrangiamento. Tra le liriche si segnalano due passaggi di Rainer Maria Rilke (importante poeta di fine 800) e un estratto dall’Antico Testamento (Ezechiele 29:4-29:5).
Per il resto… occorre lasciarsi andare; sarà forse la premessa a condizionare il feeling da ascolto, ma il senso del “liquido” è qualcosa di presente nell’aria, capace di colpire non solo l’udito, ma tutti i sensi, e diventa impossibile separare i singoli pezzi proposti (musica, parole e aspetti video), che rappresentano, nella forma e nella sostanza, anelli indissolubili.

Ma leggiamo le parole di Claudio Milano e Francesco Paladino.


L’INTERVISTA a Claudio Milano


Quale dei tuoi tanti percorsi paralleli ti ha portato verso UKIYOE?

L'amor proprio. Ero in ospedale e ho ricevuto una chiamata di Francesco Paolo Paladino che mi ha proposto un concept multimediale con spese di stampa a suo carico. In prima battuta ho rifiutato, avevo annunciato, non senza convinzione, di voler fare solo concerti dopo il box del 2013 con Bath Salts e L'Enfant et le Ménure. Di concerti non ce ne sono stati, tranne un paio di esibizioni di livello da turnista, e qualche sfuocato abbozzo del mio repertorio, con formazioni provvisorie, più una valanga di esibizioni a cappella in chiave di performance, alcune bellissime, altre tali da portare a vere e proprie “insurrezioni” del pubblico. Le mie condizioni di salute non sono andate migliorando. Ho riflettuto sul fatto che avevo poco lavoro, zero relazioni umane di valore, in seguito al trasferimento obbligato dalla Lombardia alla Puglia e ho deciso di darmi una ragione per svegliarmi al mattino. Non avevo forze per dedicarmi da solo agli arrangiamenti di un progetto che volevo fosse un grande arazzo, un arazzo fatto di caos. Capace di raccontare vita e morte, come in un dormiveglia, tra crudo realismo autobiografico, lettura della realtà che la noia in meridione trasforma in “mito”; osservazione distaccata di tanti omini che altrove si muovono affannandosi inutilmente, “perché tutti si ha da morire” ed è tutto distante, i sogni, gli affetti e il lavoro desiderati, le invenzioni e le guerre. Questa terra vive di misticismo misto a paganesimo volgarissimo, in un minestrone assai gustoso, ma altamente tossico.

Il tema del mare è qualcosa che ti appartiene da sempre o una nuova e sorprendente scoperta?

Sono nato a pochi chilometri dal mare, ma di fatto, la terra è stata l'esperienza che ho interiorizzato di più, complice anche l'aver vissuto in campagna da bambino per qualche anno. Nessuna sorpresa dunque, ma neanche particolare appartenenza, mi è bastato riconnettermi a qualcosa parte di me, ma di fatto UKIYOE parla di acqua più che di mare e in modo ancora più esteso, di fluidi, moti di coscienza che alterano percezioni, rimescolando la nostra concezione di realtà rendendola “impermanenza”. Del resto il titolo stesso del disco fa riferimento a un concetto, quello del ciclo continuo di nascita e di morte a cui i buddisti hinayana cercavano di sottrarsi nel 1600. Tuttora, anche il buddismo mahayana, che non parla di allontanamento dai desideri, ma li considera illuminazione, parla della possibilità del conseguimento di uno stato vitale così elevato dalla pratica meditativa, da staccarsi completamente da un mondo impermanente e superare qualsiasi difficoltà, trasformandola in beneficio. L'impermanenza di fatto rimane, cambia “solo” il modo proprio di affrontarla. Una sorta di “Surfin Maelstrom” (originario titolo del lavoro), in piena decadenza culturale ed economica occidentale e con i popoli a lungo, stupidamente, bistrattati, che presi dalla rabbia cieca sono pronti a farci affondare, ma senza pensare al modo in cui poi tenersi a galla loro. Le meduse dei miei dipinti, sono le nostre coscienze e stanno venendo a prenderci.

Mi racconti come si sviluppa questa volta il tuo lavoro di squadra?

Si è articolato tra networking, istant composing e un articolatissimo lavoro di sound design, prevalentemente in due studi, a più di 1000 km di distanza, uno a Fragagnano (Ta), con Mimmo Frioli dei Karma in Auge e qui è nata la materia, l'altro a Vedano al Lambro (MB), con Paolo Siconolfi e qui la materia ha preso forma definitiva. L'evoluzione del tutto però è andata organizzandosi tra Italia, Belgio (qui vive, la mia sorella elettiva e spirito guida, Erna Franssens aka KasjaNoova, che E' arte) e Germania, in una quantità di studi e home recording studios spaventosa. Un disco prende forma in genere attraverso la registrazione di una sezione ritmica sulla quale incidono tutti gli strumenti e infine la voce, o da un demo con suoni midi a partire del quale ognuno registra in location diverse il proprio contributo. C'è ovviamente anche l'opzione della presa diretta di un intero ensemble. Io, ho proceduto perfettamente al contrario, incidendo per primo le sezioni vocali e scrivendo a mano, o partiture integrali per l'arrangiamento, o bozze di esse per due-tre voci strumentali. Alcuni musicisti hanno avuto un ruolo essenziale e sono stati Stefano Giannotti (OTEME), Vittorio Nistri (Deadburger Factory), Erica Scherl, Fabio Zurlo, Alessandro Seravalle (Garden Wall), Josed Chirudli. Giannotti, Nistri e la Scherl, in particolare, hanno realizzato arrangiamenti integrali per alcuni brani, che in studio sono stati assegnati, assieme al mio, ad un canale specifico. Si è provveduto, in maniera quasi performativa, ad alzare ed abbassare volumi, fino a stabilire presenze, compresenze, assenze, fino ad un mosaico perfettamente cristallizzato che, in particolare nel brano Marinaio e in Ma(r)le, ha trovato la sua massima espressione. Fabio Zurlo è stato responsabile di una virulenta sessione in studio, tra partitura e lunga improvvisazione, per voce e fisarmonica, che ha definito Into the Waves, la sezione centrale della suite conclusiva. L'ultima parte della suite, Mud, è fondata su una composizione elettronica di Seravalle, chiamata originariamente “Il Male”. Josed Chirudli ha lavorato alla definizione dell'ossatura strumentale di Ohi Mà, in compartecipazione diretta in studio con Camillo Pace. L'arrangiamento di Veleno è quasi esclusivamente mio, quello del singolo Tutti i Liquidi di Davide, si è organizzato attorno a voci e synth miei e al violino di Erica Scherl. I Pesci dei tuoi Fiumi è quasi ad esclusivo appannaggio mio e di Vittorio Nistri. Fi(j)ùru d'Acqua si è andata definendo attorno ad una mia partitura, dalla quale Giannotti, in Germania, ha sviluppato un processo compositivo tutto suo, sul quale si è innestato il contributo di Chirudli. Un vero e proprio processo di cesello in continuo work in progress fino alla definizione di una forma conclusiva. Maree, null'altro che maree. C'è il racconto emotivo tipico di NichelOdeon (Tutti i Liquidi di Davide, Veleno, Ohi Mà), la ricerca sonica e vocale spinta agli estremi di InSonar (I Pesci dei tuoi Fiumi, Ma(r)le) e qualcosa che rimane a metà (Marinaio e Fi(j)ùru d'Acqua). Ci sono poi voci assai importanti, quelle di Dalila Kayros, Stefano Luigi Mangia e Laura Catrani, su tutte. Meno presente il contributo di Raoul Moretti, impegnato per un tour mondiale di presentazione del suo elegantissimo Harpscapes, a cui ho preso parte cantando in un brano, Raped Lands. Una cosa però questa volta è emersa, è stato un lavoro assai faticoso, a dispetto dei doppi che hanno costituito il box del 2013, che si sono sviluppati in maniera assai più giocosa, praticamente “perfetta”, come nel caso di Bath Salts. E' stata necessaria una guida fermissima da parte mia per non degenerare e avere una direzione chiara. Paolo Siconolfi ha dovuto organizzare di sana pianta intere partiture, ridisegnandole. Esiste un nostro storico di e-mail notturne che ammonta ad un numero di diverse centinaia. Lui lavorava di notte, io di giorno e fino alle 3-4 del mattino, dormendo non più di 4 ore, per 4 mesi e mezzo di fila, tra Febbraio e Giugno, con bonus di 3 mesi, tra Settembre e Novembre, per il singolo. E' stato anche realizzato un videoclip per questo, su regia di Pietro Cinieri e mio concept/storyboard (video a seguire) e i ready made che accompagnano le edizioni limitate del lavoro, mi accompagnano tuttora, giorno e notte, come in un'accumulo di parti di me donato a chi ha voglia di entrare a far parte del mio mondo. Assolutamente infantile, certo, ma senza alcun livello di mediazione a fargli fango attorno.

L’album è impreziosito da un movie di Francesco Paladino: da dove nasce l’dea?

La domanda andrebbe riformulata al contrario. Da dove nasce il disco? Cosa peraltro ben espressa, perché è stata la necessità di legare a un progetto visivo, quello di Francesco, dei suoni, a far nascere UKIYOE. Il film, originariamente doveva essere girato nell'arco del mese di Luglio scorso, a Taranto. Non sono stati trovati dei fondi. Francesco parlava della volontà di trasformare la sua casa nella stiva di una nave ed effettuare lì le riprese. Poi si parlava di introdurre nel DVD un suo bel mediometraggio di qualche anno fa, con la partecipazione dei fratelli Placido. Di fatto, essendo lui a Piacenza e io in Puglia, non ho seguito tutte le fasi dell'evoluzione del progetto visivo, così come lui, ha seguito solo in parte quelle della realizzazione del cd. Siamo persone assai diverse, io assai ordinato nel processo creativo, lui disordinatissimo quanto vitale, eppure tutti e due necessitiamo di tenere quanto più possibile “sotto controllo” quello a cui stiamo partecipando, per sentirlo nostro. So che, il mediometraggio è stato realizzato in tre giorni (ricordo che in contemporanea Francesco aveva in corso d'opera il suo Son of Unknown Fish e una miriade di altri progetti esclusivamente video) e che è la realizzazione più rapida del suo percorso di regista, ma del resto, i tempi è stato Francesco stesso a definirli, chiedendomi le musiche entro la prima decade di Giugno e io tutto sono tranne che disposto a protrarre progetti per anni, senza una casa, un lavoro, una vita sociale, in salute precaria... UKIYOE, sta tra realtà feroce e sogno, è disco impenetrabile e facile, corto ma densissimo, è un disastro meraviglioso.

Dietro ai termini nautici “QUICKWORKS & DEADWORKS” si possono nascondere interpretazioni e metafore personali: qual è il tuo punto di vista?

Si tratta rispettivamente delle parti di una nave che rimangono sempre fuori e sott'acqua. Bisognerebbe chiedere a Francesco, ma credo lui ne abbia dato una visione assai meno “apocalittica” della mia e più romantica. Lui ama manifestarsi in modo assai più solare rispetto a me, con una dolcezza dichiarata. Ha smussato alcuni miei eccessi in fase creativa e ha fatto bene. C'era un pezzo in cantiere, ad esempio, intitolato “Ho gettato mio figlio da una rupe perché non somigliava a Fabrizio Corona” e lui è, giustamente, insorto, così come mi ha chiesto di limitare l'aggressività del mio linguaggio presente originariamente in alcuni testi. Devo riconoscere che la rabbia ad un certo punto, mi stava portando lontano, assai lontano...

Che tipo di sperimentazione o innovazione costruttiva hai realizzato questa volta?

Il processo di stratificazione della materia sonica, intesa proprio in qualità di “materia” (alla stessa maniera di quanto adoperato da me per la resa di pannelli, dipinti e illustrazioni di artwork ed edizioni deluxe del digipack) è stato descritto nella risposta alla tua terza domanda. Ma c'è anche la progressione da una iper-forma (Veleno, Fi(j)ùru d'Acqua), un mosaico perfettamente a fuoco, fino al suo progressivo sgretolamento in detriti (la chitarra di Eugenio Sanna) e fango (i drones di Seravalle) nella musique concrète di Mud, che chiude il disco. Tutti i Liquidi di Davide, come una sorta di riemersione alla realtà dei sentimenti che ci permeano, può essere considerato tanto origine che conclusione dell'opera, nel suo essere ballata dolcissima e disperata, un inno alla vita vissuta senza “se e ma”, dedicato ad una persona che di morte appresso ne ha già avuta abbastanza.

Come giudicheresti questo tuo prossimo lavoro: una tappa di avvicinamento verso una meta precisa o un punto di arrivo prima di una nuova svolta?

La manifestazione di un male viene letta spesso come “origine” dello stesso, ma è in realtà, già soglia dalla quale ha origine una cura. Il cancro è andato originandosi prima. Allo stesso modo, che UKIYOE sia naufragio, approdo, o illusione di un avvistamento, proprio non so dirlo.


Come Claudio Milano sottolinea, tutto parte da un’idea di Francesco Paladino, che mi ha raccontato a tal proposito…

Ci sono aspetti di noi che a volte emergono chiari, certi altri che non emergono mai. Quicworks & Deathworks parla di questi aspetti. Il termine adottato, che è anche il titolo del film, è un termine marinaio che indica quello che emerge sempre dell'imbarcazione e quello che non emerge mai. Il film dura 30 minuti ed è uno dei miei lavori estremi, perchè si compone soltanto di cinque impaginazioni, un prologo tre situazioni e l'epilogo.
Nel prologo due coppie, una di ragazzi, una di persone un pò più mature, lasciano una banca attraccata ad un molo tropicale. Una voce fuori campo, la voce di Barbara Burgio, cantante di Seattle, mia carissima amica, che ha curato la versione inglese del lavoro, ci indica che si tratta di un attracco di fortuna, la nave probabilmente è in panne; quindi per un caso della sorte i quattro personaggi sono costretti a convivere in un piccolo spazio, una sorta di balcone sulla foresta tropicale, tutti insieme. Il film è ambientato in una sorta di onirico fine 800, che improvvisamente si squarcia su tempi attuali quando la giovane protagonista, Giada Galeazzi, intona una canzonetta dei giorni nostri, o quando, nel terzo quadro, una radio racconta la raccapricciante notizia di due bimbi mangiati da un pitone. Nell’attesa, che non si sa quanto durerà, i quattro personaggi vengono in contatto e si formano le alleanze, le amicizie, e le esclusioni, in particolare il personaggio maschile maturo, che vorrebbe dire, parlare, gridare e che è sempre colto da crisi di vomito, viene escluso dalla piccola comunità. L’epilogo accompagna i quattro personaggi di nuovo sulla battigia, da dove erano arrivati, quando il giorno inizia a tramontare e tutti guardano il cielo in attesa di qualcosa che deve arrivare.
Gli attori -Carolina Migli Bateson, Gianluca Prati, Giada Galeazzi e Luka Moncaleano- nei tre quadri in cui la storia si sviluppa (escludendo la prefazione e l'epilogo, recitano come si diceva a Cinecittà, a "braccia". Nei giorni di preparazione abbiamo lavorato sul creare quattro personaggi con identità precise, con caratteri pronunciati, e abbiamo studiato tre racconti di "massima", spiegando cosa doveva succedere nel tempo di 7-8 minuti. Poi ho lasciato loro la più ampia libertà di espressione, potevano fare ciò che volevano, sempre che esprimessero la linea rossa della storia che avevo individuato. Ci si è messo anche il caso a recitare, improvvisamente è salito il vento, il cielo si è velocemente liberato e riempito di nubi, cambiando i colori, il cappello di Giada è volato via... la scatola delle pastiglie è fuoriuscita dalle tasche di Carolina, suggerendo una fine alla storia, che non avevo inizialmente pensato. E’ stata una grande emozione creare questo film, perché in esso sono confluite delle linee metodologiche che sicuramente applicherò alle mie nuove prossime creature. Si tratta del mio lavoro più libero, in cui la recitazione è vita, gli attori sono anche loro creatori e così anche gli imprevisti;  le musiche di Claudio sono fantastiche, e appaiono e scompaiono, a sottolineare certi momenti, certe emozioni certe tensioni che si creano tra i personaggi. Con Claudio ho lavorato benissimo, è una colata lavica di idee e lavora veloce come un colibrì. Sicuramente lavoreremo ancora insieme, perché ci siamo trovati benissimo e tutto è coinciso alla perfezione, come i pezzi di un puzzle. Amo la musica di Claudio perché è viva, sprizza energia e voglia di essere curiosa, imprendibile, chiara e definita, eppure misteriosa.

Il trailer…