Vuoto Pneumatico è un nuovo progetto che vede come protagonisti Gianni Venturi
e Giacomo
Marighelli.
Conoscevo Venturi come vocalist degli Altare Thotemico, ma quello che ho ascoltato in questa occasione è
lavoro differente, da trattare con cura, nuovo e antico allo stesso tempo.
Come spesso mi accade ho utilizzato il pensiero di uno dei protagonisti -
Venturi - per capire qualcosa in più e fornire al lettore qualche dettaglio
importante per la comprensione del disco. Sì, la comprensione. Il primo
suggerimento che mi arriva, antecedente
all’ascolto, è il seguente: l’album è “difficile”.
Più che difficile direi fuori dallo standard e lontano da ciò che
normalmente ci ritroviamo tra le mani, e
mi sento di aggiungere … per fortuna.
Tredici tracce realizzate in assoluta libertà, dove ogni schema tradizionale
viene fatto a pezzi a favore della creatività e della sperimentazione spinta, e
dove il tappeto musicale si trasforma in base essenziale per la proposta poetica.
La lirica nasce spontanea, ed altrettanto spontaneamente segue a ruota la
sua colonna sonora, costruita con qualsiasi cosa sia utile all’espressività
correlata, e nasce un sistema caotico positivo, portatore del nuovo attraverso
l’elaborazione dell’antico.
Assenza di spazio, annullamento del tempo, ma continua progressione: “Mio padre musicava anche la morte che
diveniva musica viva. Mai ripeteva lo stesso tema… la sinfonia era in divenire…
Composizione istantanea … la vita!”.
La mia prima immagine, esposta nell’intervista a seguire, colloca Venturi
e Marighelli in un passato - ed un luogo -
ben preciso, quello che vide protagonista Andy Warhol e la sua Factory, un
mondo completamente libero, da ogni punto di vista, e altamente creativo, dove
le arti non conoscevano separazione, e dove, ad esempio, l’orina rovesciata sui
dipinti trovava giustificazione nell’idea a cui aveva fatto seguito l’azione
apparentemente sconsiderata.
Vuoto Pneumatico è figlio della performance live ma
nasce in studio, dove non è presente la sollecitazione dell’audience, ma esiste
forse la tranquillità che permette di osare e cercare il limite, scoprendo poi che,
forse, il limite non esiste.
Vuoto Pneumatico potrebbe sostenersi anche senza
parte sonora, perché è poesia pura, ma il completamento musicale permette di
arrivare all’omogeneità e a quel Panta rei che è frutto del flusso costante di
atmosfere ed emozioni.
Qualcuno ha detto: “La musica è
tutta attorno a noi, occorre solo lasciarsi avvolgere e catturarla…”.
Gianni Venturi e Giacomo Marighelli ci insegnano, almeno in questa occasione,
cosa voglia dire “afferrare” i suoni che si muovono nell’aria e appiccicarli ai
sentimenti. Ed ecco che il disco “complicato” diventa, oltreché piacevole, un
esempio didattico a favore di una nuova - almeno per alcuni - possibilità di
far cultura, abbattendo paletti e barriere che qualcuno ad arte costruisce per
noi.
Artwork tutt'altro che minimalista e lontano da ogni tipo di improvvisazione, degno di un grande album... con logica progressiva!
Artwork tutt'altro che minimalista e lontano da ogni tipo di improvvisazione, degno di un grande album... con logica progressiva!
L’INTERVISTA
Partiamo dai protagonisti: come nasce, musicalmente parlando, la
collaborazione tra te e Giacomo Marighelli?
Mi avevano invitato in una galleria d’arte a fare una performance, la
feci insieme a Eugenio Squarcia, grande artista in vari campi, Giacomo c’era,
non lo conoscevo, ma rimase molto colpito dalla cosa, avevamo improvvisato
completamente. In un'altra performance sempre con Eugenio, e Andrea Pavinato,
grande contrabbassista allievo del mitico Ares Tavolazzi, partecipò anche
Giacomo. Lo vidi per la prima volta suonare un plexiglass elettrificato.
Grandioso. Tempo dopo dovevo fare uno spettacolo in un locale con Eugenio, ma
all’ultimo non venne, venne Giacomo! Una serata fantastica, ci fecero smettere
dopo tre brani, alcuni testimoni di Geova presenti dissero che eravamo
satanici, bambini che piangevano e gente che si lamentava, ma noi da lì abbiamo
concepito Vuoto Pneumatico.
Il risultato della vostra collaborazione è l’album “Vuoto Pneumatico”:
qual è la motivazione del titolo?
Il vuoto pneumatico è l’assenza totale di spazio! Ma è anche il titolo di
uno spettacolo eseguito una volta sola dalla compagnia teatroscienza di Alex Gezzi,
Eugenio Squarcia e Elena Pavoni! Noi ne siamo la continuazione musicale.
All’inizio di ogni spettacolo una televisione trasmette parte di questa
performance.
Mi hai anticipato che “… trattasi di album difficile…”: senza svelare i dettagli, puoi delineare i contenuti e le linee
guida?
La linea guida è la poesia senza compromessi dati dalla ricerca formale,
ad esempio: prima nasce il testo, la musica vi s’incolla, senza cambiare o
deformare nessuna parola, Giacomo ascolta ed entra nel testo, la sua
composizione diviene poesia musicale. Poi l’uso di suoni ben poco musicali,
voci assurde, trapani, bottiglie, campane tibetane, gong, scatole di scarpe,
armonici, tutto quello che ci è venuto in mente. E di certo un disco non
politically correct!
Il disco è positivamente saturo di poesia e sperimentazione, e fa tornare
alla mente tentativi ed espressività avanguardistica che ha origini lontane:
come definiresti il contenitore che proponete e come tradurresti in termini
concreti il concetto di rock-poetry?
Rock-poetry perché si tratta semplicemente di rock e poesia, rock inteso
come rottura, quello che è in realtà il rock. La sperimentazione a mio avviso è
il tentativo di andare oltre, rompere gli schemi, che è quello che in origine
era appunto il rock. “Dimenticate tutto quello che avete sentito e amato!
Lasciatevi trascinare in un mondo dove regna il caos, caos
dal quale nasce tutto, persino l’ordine!” Mi piacerebbe definirla musica
quantica! Cristiano Roversi, ci ha invitato ad un festival abbastanza sperimentale,
ci ha definito: Tecno dark esistenziali! Anche questa etichetta non è male. Io
amo Copernicus, poeta e artista. Se digiti jazz-poetry in google appare lui.
Magari un giorno digitando Rock-poetry ci saremo noi!
Una costruzione come “Vuoto Pneumatico” mi
sembra perfetta per esibizioni live, in contesti particolari: come si ricrea in
studio la magia della performance?
Semplicemente vivendo lo studio come un live. Io ho cantato tutto
sdraiato su di un divano guardando il soffitto, poi ho fatto le voci buone con
un microfono da un sacco di soldi, ma abbiamo tenuto le vecchie, Ahhhh è stata
registrata in cantina come provino, ma poi è stata tenuta quella versione. C’è
l’abbiamo messa tutta per essere vivi all’interno del disco! A volte anche
accettando imperfezioni, ma piene d’anima e viscere.
Ascoltando l’album mi è venuto spontaneo immaginarvi nella Factory di
Andy Warhol: quanto conta trovarsi al posto giusto nel momento giusto?
Per il successo conta molto, per la riuscita estetica di un lavoro nulla!
Certo essere nel contesto giusto è importante. Mi pare che oggi in Italia per
chi sperimenta sia veramente arduo essere nel contesto giusto. Hai citato La
Factory, ma quelli erano tempi dove la creatività veniva premiata. Oggi mi pare
che sia l’esatto contrario, più un lavoro è massificato e più speranza ha! E
come la Factory noi abbiamo un gruppo che ruota attorno al progetto, la regista
dei nostri video Rita Bertoncini, la compagnia teatroscienza, Ale fabbri grande
ballerina, fotografi, videomaker. Insomma tutto un tessuto artistico. Vuoto Pneumatico non siamo solo io e
Giacomo, ma un idea d’insieme creativo.
Ci sono affinità tra questo progetto e quello legato ad Altare Thotemico?
Io! Si ci sono, Altare Thotemico è stato definito da alcuni Jazz-poetry.
La poesia è la regina dei due progetti, l’improvvisazione, la ricerca, l’uscita
costante dagli schemi.
Che tipo di futuro professionale prevedi per il duo Venturi/Marighelli?
Un altro disco. Tanto live. Si credo che faremo ancora tanto insieme!