“It’s Time for Revolution” è quanto indicato
a grandi lettere nell’ultima pagina del libretto inserito nel cd “Stones of Revolution”, ed è quindi necessario
aprire la confezione per carpire e interpretare il pensiero dei Thee Jones Bones,
band bresciana arrivata al quarto album della propria storia. Ma non è
necessario avere fretta, perché l’immagine di copertina parla, suona e canta
anche a guardarla da lontano… potenza delle immagini e sapienza nel proporle!
Un uomo a torso nudo, con la chitarra issata come arma di
conquista, a cavallo, immerso nella natura, sotto a un cielo indeciso, è il
disegno di un’epoca, di una cultura, di un movimento, di una speranza e di
un’illusione… e della libertà. E’ anche la picture simbolo di una musica
particolare e del luogo in cui è nata o comunque cresciuta, facendo scuola.
Insomma, se fossi ancora un adolescente che si aggira nel
reparto musica della STANDA, alla ricerca di novità, come accadeva ad inizio
anni ’70, la sola immagine mi parlerebbe di musica rock, blues, country, di
brani cantati in inglese, di ritmi, di chitarre slide e di riff alla Keith Richards.
Non avrei però capito che i musicisti in questione sono italiani, ma ciò
sarebbe difficile da stabilire anche dopo l’ascolto.
Undici brani che potrebbero essere stati scritti nei
trecentoquaranta chilometri che separano Memphys da Nashville, o Austin da
Dallas… che sanno di birra, di pub, di palchi di periferia, perché certa musica
sta bene ovunque, ma si autoalimenta tra gli uomini e le donne che la vivono
quotidianamente, magari ballando all’unisono o fischiando in caso di scarso
gradimento.
Stones of
Revolution suona così, un album
da volume al massimo, da viaggio coast to coast, da decappottabile,
completamente liberi.
E’ un album che sa anche di tributo ad una musica a cui
si riconoscono meriti che hanno peso, perché è spesso quella con cui si nasce,
si cresce e a cui si tende ad arrivare sempre e comunque, quasi fosse un centro
gravitazionale capace di vincere ogni passeggera resistenza.
La musica, qualunque essa sia, non potrà cambiare il
mondo, anche se, per qualche attimo, si è pensato sarebbe stata meta
raggiungibile; non è però fatto illusorio credere che attraverso di essa si possano
vivere attimi di intensa e gratificante libertà.
A tutti quelli che hanno preso coscienza di ciò, Thee
Jones Bones dedicano questo godibile disco.
Questo album è dedicato ai rockers:
quelli che ci hanno creduto, quelli che ancora ci credono
e quelli che crederanno nella rivoluzione della musica rock. Queste pietre sono per
voi. Restate liberi.
L’INTERVISTA
Come nasce la voglia di rock blues… esiste una scintilla, un episodio che
vi ha segnato il percorso musicale?
Personalmente
ascolto rock blues da quando stavo in culla; ho provato ad interessarmi ad
altro ma alla fine si ritorna sempre lì…
Non conosco i vostri precedenti lavori.”Stones of Revolution “ che tipo di “evolution” rappresenta nel
vostro percorso musicale?
Fino all’anno scorso
e tre dischi fa il progetto TheeJB consisteva in un duo, chitarra e batteria
dedito ad un rock’n’roll decisamente più scarno con influenze che spaziavano
dal country al punk, e il nuovo disco doveva essere nelle mie intenzioni una
svolta verso atmosfere più blues e rock. Poi il caso ha voluto che sia arrivato
un batterista che si è portato un bassista e Frederick (il vecchio batterista)
è passato alla seconda chitarra… e così le idee che erano nate in duo hanno
preso una forma del tutto diversa.
La presenza di Boris Savoldelli- di cui conosco il valore- in qualità di
ospite è funzionale al progetto o è anche una scelta legata a
conoscenza/amicizia?
Boris è solito
frequentare lo studio Rumore Bianco di Esine (Bs) dove abbiamo registrato
l’album, e dato che c’era il bisogno di finire l’album e risolvere delle parti
un po’ incerte l’abbiamo coinvolto ben volentieri; poi la collaborazione che
doveva essere solo per un pezzo si è ampliata a vari episodi con piacere per
entrambi!
Ascoltando la vostra musica risulta automatico ritornare a schemi
consolidati che tutti gli amanti del rock conoscono. Esiste una band che ha da
sempre rappresentato una guida, un esempio da seguire, su cui tutti siete
d’accordo?
Siamo un quartetto
composto da gente simile ma abbastanza diversa tra loro, soprattutto negli
ascolti musicali… non parlo di guida, ma penso che una band che piace a tutti
quanti e che a mio avviso rappresenta un bell’esempio musicale sono i
Motorpsycho.
Anche l’immagine sulla cover è di forte impatto e… ci si potrebbe scrivere
un romanzo. Che cosa rappresenta per voi quella sorta di hippie a cavallo,
immerso nella natura estiva, con la Gibson innalzata come vessillo?
Dopo il disco con la
copertina remake di Electric Ladyland, chi ci conosceva si aspettava una
copertina d’impatto… questa è stata una sorta si visione (o incubo) appena
svegliato; gli elementi dovevano essere quelli tipici del rock degli anni ’60,
con l’ideale di libertà rappresentato dal cavallo, non immaginavo però di
doverla fare io la foto a febbraio subito dopo una nevicata. Poi è stato Paolo Tresoldi di Stilemio a realizzare l’immagine.
Che giudizio date dell’attuale panorama musicale? Esistono talenti
rilevanti che faticano a trovare spazio?
Penso che ci siano
tantissimi gruppi solamente italiani veramente bravi, che non riusciranno mai a
“sfondare”; se parliamo degli stranieri non basterebbero dieci enciclopedie,
per il resto si ascolta più o meno solo “vecchia” musica!
Che importanza date alle liriche come “conduttori di messaggi”?
Nel nostro caso,
l’importanza delle liriche è più legata al suono e alla sua funzionalità nella
melodia delle canzoni… salvo casi particolari.
Quanto amate la fase live? Riuscite ad instaurare un’interattività con
l’audience? L’apice
della formazione a duo era arrivata ad esibizioni da circo con salti, arrampicate,
partenze in mezzo alla gente con gli strumenti e c’è chi ha spaccato palchi,
chitarre e ginocchia, piuttosto che parti di batteria o dita varie. Difatti
parlavo del cambio di atmosfera che si voleva intraprendere anche perchè dopo
un paio di anni così è dura; adesso i live sono basati solo sulla musica, meno
roll e più rock e con ampie improvvisazioni strumentali a due chitarre.
Che spazio date alla tecnologia che avanza (strumentazione, tecniche di
registrazione, internet, ecc…).
…il più piccolo
possibile, siamo un po’ tutti “analogici”!
STONES OF
REVOLUTION
Il Verso del Cinghiale Records 2012
Il Verso del Cinghiale Records 2012
Distr. Goodfellas
11 brani, 58 minuti
Line up: Screaming Luke
Duke (chitarre, voce), Brian Mec Lee (batteria), Frederick
Micheli (chitarre, voci) e Paul Gheeza (basso, voci)
Thee Jones
Bones:
http://www.theejonesbones.com
Il verso del cinghiale:
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Line up: Screaming Luke
Duke (chitarre, voce), Brian Mec Lee (batteria), Frederick
Micheli (chitarre, voci) e Paul Gheeza (basso, voci)
BIOGRAFIA -
THEE JONES BONES (dal sito di Synpress44)
Nati nel 2001, i Thee Jones
Bones sono una realtà consolidata nel panorama rock’n’roll made in
Italy. Dopo i primi anni trascorsi suonando classici del rock in veste di power
trio (composto da Luca Ducoli aka “Screaming Luke Duke”, Andrea Bellicini “Van
Cleef Continetal” e Beppe Facchetti “Il Grande Omi” tra gli altri ndr.), la
band sotto la guida di “Luke Duke”
si trasforma in un duo con Mauro Gambardella (da poco coi“The R’s”) e nel 2006
rinasce pubblicando il primo album Rock’n’roll
is a Lifestyle.
Il disco riceve ottime recensioni dalla stampa specializzata e
permette alla band di intraprendere una lunga serie di date. Nel 2008 un nuovo
cambio ai tamburi (subentra Frederick Micheli “Angioletti Trio”) dà vita ad una
virata del sound dal rock blues di matrice Jon Spencer Blues Explosion del
primo album a sonorità più rock’n’roll e country. Il risultato è Sticks & Stones, che come il
precedente riceve ottimi apprezzamenti e dà il via ad una lunga tournee in
mezza Italia.
A due anni di distanza si ripete il solito copione e la band realizza
il nuovo lavoro Electric Babyland,
orientato a sonorità più sixties e pubblicato in vinile per Rumore Bianco/Il
Verso del Cinghiale nel 2010. Il disco catalizza l’attenzione della stampa per
la copertina che replica la mitica cover di Electric Ladyland di Jimi
Hendrix; seguono una settantina di date in cui si fanno i primi esperimenti di
formazione allargata con l’intervento di altre chitarre e basso.
Nel 2011 “Luke Duke” comincia a lavorare al materiale per il
nuovo album, che segna un ritorno alle origini e si sposta verso un sound più
“classico”, con reminiscenze di Rolling Stones, Alllman Brothers Band, Humble
Pie e con lunghe parti lasciate alle improvvisazioni strumentali, cosa mai
fatta prima d’ora. Frederick Micheli passa alla seconda chitarra e subentrano
Domenico Ducoli (alias Brian Mec Lee) e Paolo Gheza (alias Paul Gheeza), già
sezione ritmica dei Punto G, rispettivamente batteria e basso.
Il 2012 segna così l’esordio di questo nuovo ensemble che pubblica a
marzo il nuovo album Stones of
Revolution, composto da 11 pezzi originali per una durata di un’ora.
Con un repertorio originale di oltre una quarantina di brani e una nutrita
serie di cover più o meno rielaborate (dagli Animals a Joe Cocker) la band si
propone per la presentazione del nuovo disco, con un repertorio ampio e
adattabile a qualsiasi situazione.
Dal 2006 al 2011 i Thee Jones Bones hanno effettuato più di 300 date in tutta Italia passando
dai grandi palchi di importanti manifestazioni alle piccole birrerie,
dividendo le serate con Mojomatics, Lombroso, Lord Bishop Rocks, Legendary Kid
Combo, Dome La Muerte & The Diggers , The A-Bones, 59ers, Los Fuocos e
moltissimi altri.
Info:
Thee Jones
Bones:
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Il verso del cinghiale:
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