lunedì 21 maggio 2012

Paolo Rigotto-"Uomo Bianco"


Giusto un anno fa, da queste pagine avevo raccontato qualcosa di Paolo Rigotto e del suo esordio come cantautore. Avevo concluso l’intervista con la mia solita domanda sulla voglia di futuro: ” …e dopo Corpi Celesti… disegna i tuoi desideri per i prossimi tre anni.”  Rispose, tra le altre cose: “… pubblicare un secondo CD…”.
A quell’epoca le idee per nuove storie da raccontare erano già in cantiere, e a inizio anno Paolo si è ricordato di me e mi ha inviato una sorta di campionatura, per sentire il parere di un “esterno”.
La mia quasi necessità di condivisione, quando mi trovo al cospetto di qualità e originalità musicale, mi ha indotto a deviare i samples verso un operatore di settore, che a distanza di tempo mi ha scritto: ”  … mi sono davvero innamorato di Rigotto, mi ci è voluto un po' di tempo per comprenderlo ma alla fine mi sono appassionato!
Su questa affermazione verte la prima domanda dell’intervista a seguire, una riflessione che non è propriamente legata al gradimento che Paolo può o non può  suscitare nell’ascoltatore medio, ma al bisogno di prendere un attimo di tempo per capire, valutare e interpretare ciò che la “superficie” quasi irriverente della sua musica non riesce a nascondere: la profondità del pensiero e dell’intera proposta.
Il nome dell’album è “Uomo Bianco”, dodici tracce per quaranta minuti di riflessioni in movimento.
Rigotto gioca con la parola e confeziona non sense che arrivano dritti al segno, e attraverso le sue magie disegna scenari drammatici che, utilizzando simbolicamente il “viso pallido”, raccontano il un fallimento di un mondo che ha vissuto con stampato sul volto il marchio della - fatua- superiorità.
Le illusioni e le delusioni delle generazioni a noi vicine si aprono a ventaglio, brano dopo brano, sottolineando le contraddizioni del mondo occidentale, un luogo in cui “The English Peace” e “ The English War” hanno lo stesso esatto significato.
E emerge forte il concetto di “vivere la vita”, di rifiutare i dogmi a noi connaturati per prendersi il tempo di respirare, per oziare e guardarsi intorno, per rifiutare logiche che, appare ormai evidente, sono perdenti. “Avercela con Dio”, o con qualunque misterioso “direttore d’orchestra” non è solo uno sfogo ma diventa  un diritto, e gli aspetti materiali e quelli trascendenti si mischiano drammaticamente.
Ma alla fine ci resterà “LA MUSICA” (“Cambiare Musica”), che se è vero  che “non può cambiare il mondo…”,  resta elemento fondamentale per alleviare le sofferenze  e dare qualche spallata al muro immenso dei problemi, costruito per giunta con materiale di scarsa qualità.
Nella mia personale e generale visione del mondo della “canzone”, la musica risulta quasi sempre dominante, perché è quella che mi colpisce, nel bene o nel male.
In questo “Uomo Bianco” -ma mi sembra una specificità di Rigotto- il messaggio domina, e anche il modo dissacrante e originale di proporlo diventa un marchio di fabbrica.
La musica quindi al servizio delle parole, ma con una varietà di generi che dimostra l’ecletticità dell’autore, in bilico tra funk, rap, etnia, reggae e rock puro. E non mancano accenni di musica progressiva, come accade nella genesisiana parte centrale di “Via Lattea”.
Per completare l’opera Paolo Rigotto confeziona in equipe un art work che è parte integrante dell’album.
Bellissime fotografie in bianco e nero raccontano esistenze comuni, e momenti di vita oscura in cui tutti, prima o poi, cadono.
E la salle de bain di Francois Veramon, improbabile alter ego francese di Rigotto, diventa luogo vissuto e centro dell’attività quotidiana, e per quanto si cercherà di allontanare i dolori, affondandoli nel water rappresentato in copertina, l’operazione risulterà impossibile, e le soluzioni andranno cercate altrove, agendo e non nascondendo la faccia, perché alla fine siamo tutti “grati di essere nati…”




L’INTERVISTA

Una nostra comune conoscenza, ora felicemente  presente nella tua vita lavorativa, ha avuto qualche perplessità iniziale sulla tua musica. Capita di aver bisogno di metabolizzare con tranquillità qualcosa che inizialmente non convince, e poi non sarà un problema  rivedere le proprie idee. Sei conscio che la tua proposta sia di forte impatto e non così facile da assimilare?

Guarda, mi capita (raramente!) di leggere recensioni non proprio entusiastiche al mio e ad altri dischi  e domandarmi come si possa costruire un lavoro che piaccia indiscutibilmente al di là dei gusti e delle tendenze. Ma alla fine la verità è che non esiste un linguaggio universale, un gusto “oggettivamente giusto”, una musica obiettivamente ineccepibile. In realtà  sono sempre più convinto che la musica la si fa e basta, inutile cercare di piacere per forza a tutti, bisogna innanzitutto piacere a sé stessi. Mi piacerebbe poter dire a chiunque si imbattesse nel mio lavoro: ascoltalo una volta per capire di che si tratta, due volte per decidere se ti piace e la terza per decidere che non lo ascolterai mai più (oppure che può fare parte dei dischi con cui faresti all'amore).

Raccontami la tua evoluzione musicale e personale compresa tra Corpi Celesti e Uomo Bianco.

Corpi Celesti è stata una sorpresa anche per me, fino a un'ora prima di cominciare a realizzarlo non pensavo nemmeno all'idea di registrare un disco a mio nome e poco tempo dopo lo stavo mandando in stampa. Uomo Bianco invece è partito già con la consapevolezza di voler e poter parlare ad un pubblico un po'  più ampio, non solo musicisti, non solo musicofili, non solo amici (e amiche) intimi. Quindi le schizofrenie sonore che popolavano il primo disco hanno dovuto trovare un compromesso, gli arrangiamenti hanno richiesto decisamente di più di un mese di lavoro (il tempo che ha richiesto la realizzazione di Corpi Celesti) e soprattutto ho preteso da me che i testi descrivessero parte del nostro tempo e del nostro mondo. Chiaramente il tutto nella misura di ciò che so fare e di come lo so fare, cioè a modo mio.

L’accusa verso questo nostro mondo “bianco” è una sottolineatura di quanto è ormai davanti agli occhi di tutti, e anche i più radicati cultori della conservazione incominciano a  vacillare. Quale pensi sia l’apporto concreto che un qualsiasi musicista, attraverso la sua arte, sia  realmente in grado di dare?

La musica è semplice medicina. Ogni anno si inventa il vaccino per l'influenza invernale, questo non impedisce all'influenza di nascere e diffondersi, ma sicuramente grazie ad esso chi vuole può starne alla larga. Non è che il mondo lo si possa cambiare noi musicisti, ma chi può e vuole sentire cosa abbiamo da dire (posto che un musicista abbia qualcosa di importante da dire) può vaccinarsi da ciò che lo minaccia, o almeno capire di che tipo di epidemia si tratta. Più si diffonde il vaccino, più la gente sta meglio. Sarà poi il mondo a decidere se vuole cambiare o meno.

Colpisce la bellezza delle fotografie (in parte tue), e l’utilizzo del  “ bianco e nero”  condiziona  la “lettura” dei contenuti (è ciò che ho provato), e io non riesco mai a scindere l’art work da musica e testi. Esiste un collegamento  tra la tecnica fotografica( quindi non solo il soggetto immortalato) e il tuo mood del momento?

Bravo, sì!  Abbiamo scattato ogni foto pensando alle atmosfere delle canzoni e a cosa volevo comunicare con le parole e la musica. Quelle canzoni sono per me ormai indivisibili dalle immagini che le rappresentano e penso che questo sia legato anche alla mia passione per il cinema e la videoarte. Parlando dei mostri sacri che da sempre fanno parte del mio immaginario rock, non è possibile ad esempio pensare al primo disco del Banco senza il salvadanaio, o a The Dark Side of the Moon senza prisma e così via. Quelle immagini hanno condizionato irreversibilmente le sensazioni legate all'ascolto dei dischi che rappresentano. Infine, il bianco e nero era la mia esigenza del momento, perché  sdrammatizza il drammatico e drammatizza il grottesco.

Se dovessi fare un bilancio tra il tuo lavoro all’interno di una band e quello da solista, riusciresti a trovare un equilibrio?

Da musicista non potrei fare a meno di nessuna delle due situazioni. Essere membro di un gruppo ormai  consolidato come Banda Elastica Pellizza è, almeno per me, un elemento imprescindibile della mia vita non solo artistica. Poi c'è il  progetto solista, che è un altro paio di maniche. Ho musicalmente bisogno di dire e fare quello che mi passa per la testa e scrivere canzoni è il modo di farlo che più mi piace.  

Nella cover è simboleggiato Il nostro mondo, pronto a cadere  dentro a un water, ma… non passa, e una parte respira. E’ proprio tutto da buttare o esiste una fetta cospicua che capisce, ed è pronta a virare la rotta?

A dire la verità, credo che la stragrande maggioranza del mondo di cui facciamo parte sarebbe pronta a cambiare rotta, se gliene venisse mostrata un'altra. Il problema è che spesso si ignora che “esistono un sacco di alternative al vivere moderno” (Fight Club). Senza esagerare, non si tratta di diventare tutti quanti elfi e di andare a vivere in grotte scavate nel tufo, basterebbe sentirsi un po' meno uomini e un po' più animali.

Come hai pianificato la diffusione live del tuo progetto? Sarà più il frutto di un’azione “one man band” o in gruppo?

Proporrò, anzi già propongo, entrambe le situazioni: una di gruppo, molto “rock”, con Silvio Vaglienti alla chitarra, Roberto Cannillo alle tastiere, Francesco Borello al basso ed Elvin Betti alla batteria. In questi concerti il principale effetto speciale è la musica. L'altra situazione live è quella battezzata “stand alone mode” in cui io, da solo, canto interagendo con un maxischermo che, in sincro con la musica, manda di volta in volta immagini di vario tipo, da musicisti virtuali che “suonano” le canzoni insieme a me, a video deliranti, frutto di collage televisivi oppure realizzati artigianalmente. 





UOMO BIANCO

...Paolo Rigotto live...

Martedì 22 Maggio 2012 
Caffè del Progresso - Corso S. Maurizio 69
Torino
ore 22:00
Ingresso libero

Info: