venerdì 18 maggio 2012

Intervista a Max Manfredi



Da gennaio ad oggi mi è capitato di vedere un paio di volte Max Manfredi dal vivo e in entrambi i casi la finalità era benefica. Se a gennaio, al ProgLiguria di  Spezia, era stato ospite del Tempio delle Clessidre, un paio di mesi dopo, al Politeama di Genova, a lui era stato affidato il set di apertura di una serata piena di contenuti. Situazioni diverse e contesti differenti, ma mi preme evidenziare che quando si parla di solidarietà la musica riesce sempre a dare aiuti concreti, che oltrepassano quindi la tipica azione simbolica. Vedere Max sul palco con ruoli diversi - ospite  o propositore della propria musica – ha stimolato la mia curiosità e a lui ho posto qualche domanda che ha trovato una pronta replica. Il risultato è di indubbio interesse.




L’INTERVISTA

Da inizio anno ho avuto la possibilità di vederti sul palco un paio di volte, e in entrambi i casi si trattava di eventi realizzati a scopo benefico, pro alluvionati: il ProgLiguria di Spezia e lo spettacolo del Politeama, a  Genova. In entrambe le occasioni era lecito aspettarsi di più dal punto di  vista dell’affluenza, visto l’obiettivo e la qualità della proposta. E’ un  problema che riscontro sempre e ovunque, qualunque sia la finalità e non penso che tutto possa far capo alla crisi economica che stiamo vivendo. Che cosa  secondo te impedisce che ci siano risposte adeguate? E’ forse troppo vasta l’offerta?

Troppo vasta l'offerta, senza un pesante appoggio mediatico e una propaganda capillare riempire un teatro non è cosa semplice. Ciò detto, il Politeama era praticamente pieno. Il Prog alla Spezia no, a meno che non si sia riempito la sera.

Resto in tema ProgLiguria e quindi, per quanto ti riguarda, Tempio delle  Clessidre. Come nasce la vostra collaborazione e che cosa ami di più della loro musica?

Devo ammetterlo: Elisa, la tastierista. E' piena di verve e di entusiasmo, e ha una grazia che chiamerei gozzaniana. Però mi piacciono anche gli altri, mi piace l'energia con cui si dedicano a uno stile misto, a tratti dirompente, a  tratti diafano. Uno stile impossibile come un film perduto, o una serata di lanterna magica o di spiritismo. E, nello stesso tempo, così riconoscibile nei modi.

Nella mia quotidiana analisi di nuovi album, spesso realizzati da band agli esordi, esiste un filo conduttore, indipendente dal genere, e cioè la quasi  necessità di esprimersi attraverso più arti che confluiscono poi nel  contenitore musicale. E’ questa secondo te un evoluzione culturale o è fatto sempre esistito, ma rimasto latente perché non “richiesto” dai tempi?

I tempi non richiedono nulla, purtroppo: impongono.  La miscela di cui parli è naturalmente sempre esistita, anche se - in altri tipi di musica - le fusioni avvenivano col contagocce. Si tratta di stili apparentemente refrattari alle oggi tanto amate "contaminazioni". Eppure  si trasformavano. Prendi il fado portoghese o il rebetiko greco. Basti pensare  allo sviluppo e poi alla cristallizzazione della sua strumentazione, cristallizzazione ulteriormente disdetta in epoca contemporanea, dall'apporto di strumenti diversi dagli originari.  In altri casi queste arti finiscono nel nulla, come il periodo d'oro della  canzone napoletana (quella degli inizi del novecento), disponibile solo nella  memoria o nelle attuali esecuzioni di alcune brave artiste. Non dico "evolvono", perché non c'è nulla da evolvere. Semplicemente si trasformano. Bisogna pensare che la canzone è un organismo vivente che vive in simbiosi  con l'autore. In questo senso si può utilizzare il termine "evoluzione". Non in  senso umanistico, come una specie di miglioramento continuo, che invece non  c'è.

I miei figli liceali fanno studi classici. Fioriscono le “uscite” teatrali e  le conferenze, ma non ricordo la partecipazione ad un solo evento musicale, ne l’organizzazione di una lezione specifica. La musica non è quindi considerata cultura laddove ci si attribuisce il ruolo di detentori della massima sapienza. Eppure la musica nella scuola si potrebbe portare senza tante difficoltà. Qual è la tua idea in proposito?

Boh, penso che ci sia molta incompetenza musicale nelle  scuole. Forse gli insegnanti non portano i ragazzi ai concerti perché  ritengono, erroneamente, che vadano a sentirseli da soli. D'altra parte la canzone è anche forma teatrale. Sì, credo si tratti di distrazione,  incompetenza, mancanza di gusto o di voglia. Non tutti gli insegnanti o le scuole sono così: io ho svolto lezioni-concerto per una decina d'anni, a Milano, con l'Accademia Viscontea. Ci chiamavano gli insegnanti. Certo, se poi tagliano i finanziamenti, ci si spoetizza.

Ho letto una tua frase relativa alla musicalità delle parole e alla  poeticità dei suoni. Chiedo spesso agli artisti quale sia il vero ruolo del  messaggio, partendo da un dato oggettivo che è quello che ci siamo perdutamente innamorati, molti anni fa, di canzoni di cui non capivamo una parola. Che cosa rappresenta per te una musica priva di testo?

Senti, non esiste una musica "priva di testo". Se nasce come musica,  è musica. Se ha un testo, allora deve esserci un connubio fra musica e parola.  Una musica può essere sublime, interessante, divertente, bruttina, orrida, e così via. E' vero che ci innamoravamo di canzoni di cui non capivamo le parole, ma poi le traduzioni ce le facevamo o ce le andavamo a cercare. Se invece la domanda si riferisce alla "tenuta" puramente musicale di una canzone, eseguita senza le parole, non c'è dubbio: alcune canzoni reggono, altre no. Dipende anche dall'arrangiamento, certo. Allo stesso titolo, certi testi hanno una relativa autonomia poetica anche al di fuori della musica. Relativa, però: perché la canzone nasce da un parto gemellare.

Comporre musica, credo, sia innanzitutto un’esigenza personale. Il passo  successivo, credo, sia quello di dare visibilità e condividere le proprie  creazioni. Ma io non sono un musicista. Come spiegheresti la magia di una  qualsiasi genesi musicale e l’iter successivo?

Ahimè. Comporre musica, una volta che chiunque si mette in grado di farlo, anche senza conoscerla, significa dare sfogo a un proprio istinto.  Ognuno ne percepisce la magia, e il travaglio. L'iter successivo andrebbe spesso evitato, ma come fai a impedire a uno di pubblicare quello che ha fatto? Specialmente quando sentono in giro delle  schifezze che vengono adulate?

Mi sono fatto l’idea che tu sia un artista un po’ fuori dalla routine e dal comune modo di agire. Qual è il tuo rapporto con la tecnologia? Quanto ti piace e quanto ti infastidisce l’utilizzo di mezzi come internet?

 Allora: sono un artista fuori dalla routine nel senso che faccio  canzoni che son fuori dall'andazzo comune, dalle mode e dalla immediata  riconoscibilità. Insomma, faccio quel che mi pare, anche perché non ho nessun interlocutore che possa dirmi cosa debbo fare e cosa mi procurerebbe lui in cambio. Tutto è tecnologia, specialmente oggi. Tutto, a meno che non si registri in analogico, è digitale. A rigore non esistono più strumenti "non elettronici", nel momento in cui si amplifica o si registra. In questo senso m'interessano molto le possibilità di una materia che ignoro, ma di cui ascolto e vado conoscendo gli effetti. Se registriamo un violino, poi lo passiamo comunque in digitale. Internet mi pare necessaria. Come tutto ciò che è necessario, può essere fastidiosa, inutile o nociva: dipende da come si usa. Il cicaleccio telematico può essere utile o divertente; a patto che non sostituisca (almeno per ora!) le relazioni immediate, corporee.

Affermo sempre che l’ambiente musicale (dal mio punto di vista di fruitore del lavoro di altri) permette di vivere conoscenze di qualità, che oltrepassano e annullano le barriere generazionali. Che cosa è invece il “rapporto con gli altri” secondo il tuo vivere da artista?

Non capisco la domanda, o meglio, il nesso fra la sua prima  parte e la seconda. Non credo affatto alle barriere generazionali: il mio  pubblico è fatto di bambini, ragazzi, adulti e vecchi. Non conta la  generazione, ma la qualità dell'ascolto. Poi dalla mia pagina facebook risulta che chi parla di me ha, per la maggioranza, un'età che sta fra i trenta e i quarant'anni. Ma ripeto, il "target" è trasversale! Anche i musicisti con cui suono od ho suonato fanno parte di generazioni molto diverse.

Esiste per te un qualche rammarico per un treno passato e mai preso per 
eccesso di cautela?

Tanti, ma non so se chiamarli rimpianti. Di certo se avessi pubblicato il primo disco negli anni settanta avrei abitato un periodo più favorevole rispetto all'industria discografica e culturale italiana. Ma non mi è capitato, per tanti motivi. Quando mi son presentato in pubblico, col primo disco, ero fresco come una rosa, ma il mercato era già decrepito, e la cultura italiana stava stramazzando. Così ho dovuto fare di virtù necessità, e andare avanti in  un terreno, diciamo, melmoso.

Apriamo il vocabolario dei sogni. Che cosa trovi alla voce: “… da  realizzarsi assolutamente entro il 2013!”.

Più che sogni, strategie operative, se riguardano la mia attività. Di sicuro pubblicherò un altro prodotto discografico. I sogni, poi, chissà, sono tanti... non tutti riposano fra le maglie di una  canzone.


Per qualsia curiosità o informazione supplementare consultare il sito ufficiale di Max Manfredi: