Mi capita
spesso di parlare dell’influenza che CIAO 2001 ha avuto su noi adolescenti dei primi
anni ’70. L’occasione per accennare agli artisti dell’epoca è quotidiana, ma è
impossibile dimenticare chi ci ha permesso di arrivare a conoscere i Genesis, ELP, Gentle Giant e…
potrei andare avanti per ore. Sto parlando di persone dotate di ovvi
talenti, ma che hanno avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento
giusto, in un’era di fermenti musicali e scarsa informazione, veicolata solo attraverso
pochi intraprendenti “eroi” dell’epoca, come Caffarelli, Gallo, Giaccio,
Insolera e pochi altri. Tracce di quei commenti si possono trovare al seguente
indirizzo:
La mia
curiosità musicale e la mia voglia di
tornare a quei giorni hanno trovato largo aiuto nella tecnologia disponibile e
sono così riuscito ad avvicinare giornalisti che erano conosciuti come e più
dei musicisti di cui raccontavano le vicende di vita.
Chi ha
vissuto quei giorni così speciali, contaminato dalla musica “nuova”, non
dimentica, ed è sufficiente dare un’occhiata alla pagina di facebook dedicata a CIAO 2001 per rendersi
conto di quanti “nostalgici attivi” abbiano ancora la voglia di tenere vive
pagine indelebili di vita.
Proprio nel
social network ho fatto il mio ultimo incontro, quello con Maurizio Baiata, uno del gruppo, uno
di quei giornalisti in erba in grado di
descriverci il “Festival di Villa
Pamphili” o l’ultimo album del “Balletto
di Bronzo”, eventi di cui non avremmo mai saputo niente attraverso le
normali vie di informazione.
Maurizio,
nel proprio percorso di vita, ha modificato gli interessi primari.
Ecco un
giudizio, succinto ma esaustivo, trovato in rete:
“Una vita,
la sua, passata tra gli States e il nostro paese, a svolgere egregiamente il
ruolo di giornalista innamorato della Beat Generation e di ricercatore nel
campo ufologico, che divenne successivamente la sua vera passione. Egli ha
costituito in questi anni, un tramite inequivocabile, il vero collegamento tra
l’ufologia italiana e le figure più altisonanti di quella più seria…”
Leggiamo il suo pensiero…
L’INTERVISTA
Il tuo nome, assieme a
quello di altri giornalisti, è indissolubilmente legato a Ciao 2001. Con
Armando Gallo ho
ripercorso quei giorni e la sua esperienza. E tu, come sei arrivato a quel tipo
di collaborazione? E’ stato un incontro casuale legato all’amore per certa
musica, o qualcosa di fortemente voluto?
Rispondo iniziando da un passo del mio libro e
proseguendo con un ricordo del Ciao che mi ha chiesto Max Stefani. Modifico
tutto un po’.
Dopo la morte di mio padre, nel Novembre del
1960, ero stato in collegio per cinque anni, con mio fratello e solo l’amore per
la pallacanestro e per la musica - Radio Luxembourg ascoltata di nascosto la
notte con una radiolina a transistor e auricolare - mi avevano aiutato a uscire
da un’educazione cattolica che ora rifiutavo completamente. Un’oppressiva e
tetra educazione che imponeva ai bambini di pregare dalla mattina alla sera, di
salmodiare il messalino nell’austera cappella del collegio a Piazza di Spagna e
di imparare a pensare alla salvezza della tua anima invocando tutti i santi del
paradiso e ad avere terrore della morte che portava alla corruzione della
carne. Il Rock nascosto sotto il cuscino era rivoluzionario. Sentii i
Beatles, gli Yarbirds, i Troggs e chissà cos’altro e da allora non mi sono più
staccato da quei suoni. Sino al liceo, nel 1965 al San Leone Magno di Roma,
nuovamente istituto tenuto da religiosi, ma con un professore di Italiano e
Latino, Walter Mauro, al quale devo tutto. Grandissimo
giornalista, critico letterario, autore del fondamentale "Jazz e Universo
Negro" (1972), che mi impartì lezioni di pensiero per tutti gli anni di
Liceo Scientifico, costanti, dicendomi alla fine, prima della maturità, che
sapevo scrivere, avevo una buona predisposizione al giornalismo, ma la testa
troppo tra le nuvole. E devo molto anche
ad Enzo Caffarelli, allora più giovane di me di un anno, e che un giorno,
durante la ricreazione - la nostra dozzina di minuti
d'ora- nel 1969 mi disse
che a Ciao 2001 (lui già scriveva la colonna delle recensioni Underground &
Pop) cercavano qualcuno che scrivesse di motociclette. Saverio
Rotondi voleva inaugurare una rubrica e la moto era la mia passione. E partì la
rubrica, una cosetta a una colonna e mezza, copiavo da "Motociclismo"
e non incidevo per nulla sul substrato culturale del mondo giovanile a due
ruote. Poi Rotondi mi disse,… dai fai un
pezzo su Gustavo Thoeni, e lo feci,
poi ne feci un
altro su Lew Alcindor, allora pivot della squadra
universitaria UCLA (Los Angeles) e poi divenuto mega stella basket NBA con il
nome di Kareem Abdul Jabbar. E poi scrissi un pezzo sui Black Sabbath. Finì fra
gli strilli di copertina. Ero preso dalla musica del dark sound, ossianica,
intrisa di leggende gotiche, già durissima e per me, rivoluzionaria. In
redazione andavo due volte la settimana, c'erano Fabrizio Cerqua e Luigi Cozzi
come redattori e Rotondi era un buon padre, burbero ma buono, che mi ripeteva
sempre, quasi una cantilena con accento sudista, passando dal lei al tu: "Baiata,
sa cos'è? Tu quello che mi porti in 30 righe lo devi scrivere in 10". Non
lo ascoltavo quasi mai e molti pezzi venivano sapientemente limati, ma
passavano e guadagnavo un po' di lirette. Privilegio assoluto, critico Rock a
20 anni nell'era dell'esplosione della Musica Progressiva. Il Kosmico Tedesco
era la mia stella, scrivevo non so come, sentendo le musiche e traducendolo in
lettere. Gli altri critici del Ciao 2001 che seguirono avevano anche loro uno
stile, ma parlavamo solo e troppo di musica e il limite si iniziò a sentire
dentro di me... sarei approdato a MUZAK, ovviamente. Ma con il Ciao era una
situazione magica e per più di due anni l'ho vissuta con orgoglio e senza
tentennamenti, cercando sempre di esprimere ciò che avevo dentro e la Musica mi
suscitava…
Che ricordi hai di quel momento culturale
così… rivoluzionario?
Come
critici Rock cercavamo tutti (Ferranti, Insolera, etc.) di anticipare i tempi,
di avere in mano l'ultimo album originale ancora prima che la casa discografica
italiana lo stampasse,
di intervistare l'artista di passaggio in Italia… tutto però mi appariva
superficiale e mentre nelle strade e nei palasport si lottava per liberare la
musica, noi entravamo nell’epoca del glamour e del rock decadente… per me non
andava bene e sono riuscito ad essere me stesso solo quando la mia coscienza
giovanile ha avuto pace, con il collettivo di MUZAK, la più grande rivista
alternativa di tutti i tempi, una delle più belle avventure di vita vissuta,
per me e per la generazione non dei figli dei fiori che non pensavano al
domani, ma dei figli della lotta contro questo sistema, che ancora ci domina. A
Muzak ho dedicato un intero capitolo del mio libro.
Come si è evoluta la tua vita dal punto di vista strettamente musicale?
Con Jimi Hendrix. Con Woodstock. E con le avanguardie tedesche e le fughe lisergiche
californiane. Con la discesa negli inferi e con le scalate alle stelle. La
matrice del cambiamento sono stati i Popol Vuh. Ma parlarne in poche righe è
impossibile.
A quando risale la tua percezione, la tua
presa di coscienza che … non siamo soli su questa terra? Come si incastra tutto
questo col mondo della musica?
Risale alla nascita, alla terra di mezzo
fra questa e altre vite, che non sono disgiunte da altre vite ancora, qui e
fuori e sono senza spazio e senza tempo. Altrettanto accade con la Musica. Se
poi pensiamo solo un attimo al momento cruciale del film di Spielberg “Incontri
Ravvicinati del Terzo Tipo”, balza nel cuore la connessione suono/colore, da
Zoltan Kodaly al gesto della mano di Lacombe (Truffaut) che instaura il
contatto della uguaglianza e della partecipazione.
Sognando ad occhi aperti, lo scorso anno
ho scritto una storia che descrive il mio passaggio (ma era un sogno) a miglior
vita, con tutti gli incontri musicali ( e non solo) che mi piacerebbe fare. Hai
mai avuto la sensazione di essere… osservato dai tuoi miti di un tempo, ormai non
più tra noi?
No, è una sensazione che non ho mai
provato. Ho sempre provato emozioni fortissime, sempre, nel vedere Jimi in
azione e Santana e pochi altri piangendo spesso… ma mi fai pensare ai DEAD CAN
DANCE, miei miti assoluti, Lisa Gerrard per me non è di questo mondo e se i
Morti danzano al nostro fianco lo fanno, ne sono certo, al suono delle sfere
interiori. Invece ho fatto un’esperienza di pre-morte (NDE e OBE) e da questa
posso dire che tutti gli incontri musicali che ho avuto, le centinaia di concerti
live, migliaia di dischi ascoltati hanno tratto nutrimento segreto, sub
coscienziale, rimasto dentro per decenni e oggi riaffiorato, finalmente,
consentendomi di capire qualcosa di più di me.
Cosa c’era di “poco umano” in Hendrix, la
Joplin, Morrison, Brian Jones…
Erano stelle cadenti. Umane. Non
potevano appassire come i fiori, dovevano bruciare e in un istante, come lame
incandescenti ferirci nel profondo dell’Anima.
Anche tu, come Gallo, hai vissuto a lungo
fuori dall’Italia. Che cosa non funziona qui da noi?
Qui ciò che funziona è il dominio della
paura di fare del male e di offendere chi ha creato le leggi e i dogmi. Qui
domina il dualismo. Qui domina il fascismo interiore.
Non ho letto il tuo libro (non sapevo esistesse) e mi
ripropongo di farlo, ma… perché “gli Alieni ti hanno salvato la vita?”.
Per poter rispondere alle tue domande e,
grazie a te, essere di servizio per chi ci legge.
Girando per le strade di Memphis un
taxista mi ha detto:” Ma davvero credi che Elvis sia morto?”. Qual è il confine
tra la realtà, la suggestione e l’autoconvincimento?
Non ci sono confini, perché questa realtà che di norma
percepiamo come tridimensionale, invece non lo è. Chi abbia toccato con mano la
sensazione dell’al di là,
del voler andare a vedere cosa c’è alla fine del tunnel di luce, sa bene che di
là c’è la vita reale. Quando io scrivo, quando il musicista compone, quando
facciamo l’amore, quando respiriamo alla luce del primo mattino, non si compie
il grande gioco della ragione, ma quello della nostra quintessenza. Siamo
esseri grandiosamente elevati nella scala delle essenze di questo Universo, ma
viviamo nei vincoli delle dimensioni nelle quali preferiamo vivere.
Sei ancora in contatto con il “vecchio” team di Ciao 2001? Hai ancora
qualche tipo di legame?
L’ultimo sopravvissuto l’ho incontrato
sei anni fa, volevo coinvolgerlo in una ricerca sui libri maledetti e Manuel
Insolera e’ un grande esperto di libri antichi, rari e introvabili, ma declinò
l’invito.
Esiste un sogno che hai nel cassetto e che
vorresti prima o poi realizzare?
I sogni sono ancora sogni e l’avvenire
ormai è quasi passato, credo fossero queste le parole di Luigi Tenco. Forse la
sua era una metafora. Il mio sogno si realizza ogni giorno, vivendo questa vita
e le altre che si incrociano con la mia lungo il percorso che la nostra Anima
ha scelto.