Venerdì 9 dicembre 2011 sono partito da Savona, direzione
Genova, con il solito obiettivo del venerdì, quello del concerto di fine
settimana.
Non avevo
ben chiaro il programma, che avevo letto sommariamente sulla bacheca di
facebook di Aldo
Ascolese, non per superficialità, ma solo perché è un periodo
intenso in cui faccio estrema fatica ad afferrare nei dettagli tutto quello che
mi gira attorno.
Sapevo della
finalità benefica dell’evento, della necessità di estrema solidarietà nei
confronti di chi è stato da poco colpito dall’alluvione, e sapevo che tra i
tanti gruppi musicali avrei trovato il mio amico Ascolese (e Origone) e
la Beggar’s Farm di Franco Taulino.
Tutto vero,
tutto così come l’avevo pensato, ma il mio passaggio in Piazza Adriatico ha lasciato un
profondo e doloroso solco che spero di
riuscire a descrivere, almeno in minima parte.
Per chi non
lo sapesse, Piazza Adriatico è quella zona di Genova che ad inizio novembre è
stata drammaticamente colpita dalla violenza senza limiti della natura o…
dell’uomo.
Non credo
esista una sola mia parola che possa dare un contributo oggettivo a ciò che è
stato raccontato dalla gente attraverso i media.
Non credo ci
sia un solo mio pensiero che possa alleviare ferite che mai più si
rimargineranno.
E allora
perché parlo di cose che non mi hanno toccato da vicino? Con che diritto…
neanche un po’ di cronaca, a questo punto della storia!
Mi sento
autorizzato a farlo, solo perché mi è stato chiesto, da un uomo comune, da una
donna comune, impegnati nell’esercitare un ruolo compreso tra il “cicerone e il
guardiano del dolore”.
Mi hanno "spinto" a farlo, a me come ad altri, quando, quasi supplichevoli hanno sussurrato:” scrivi un pensiero sul quaderno, lascia la tua testimonianza!”.
Ho visitato
una casa al piano rialzato di Piazza Adriatico, disposta su tre lati.
L’avevo
vista appena arrivato, le finestre aperte e un proiettore che spingeva sul
grande muro bianco del palazzo di fronte tutte le immagini de “Gli angeli del
fango”, quel nutrito gruppo di volontari che ha contribuito alla
ripresa della vita nelle zone alluvionate. Ma non avevo osato entrare, mi
era sembrata un’intrusione, perché non avevo capito lo spirito di quella
“visita in casa d’altri”.
Ci sono
ripassato dopo un’ora, attratto da qualcosa di ben definibile, già provato
altre volte, quella voglia di vedere da vicino un luogo dove è accaduto qualcosa
di indimenticabile, in questo caso di negativo, estremamente negativo!
Ecco dunque
cosa posso fare, raccontare semplicemente la mia serata e le mie emozioni, così
come mi è stato chiesto.
Il giorno
successivo al tragico evento avevo visto un messaggio di Ascolese che
raccontava di essere impegnato tra il fango e l’acqua, ma non avevo capito che
era stato colpito proprio il suo quartiere, o meglio, non sapevo che lui
abitasse lì, e solo ieri ho saputo che anche in casa sua il livello dell’acqua
è salito sino a trenta centimetri, e che le sue chitarre, strumento- anche- di
lavoro, si sono rovinate.
Tra i vari
palazzi posti a 90 gradi lo spazio è stato occupato da un palco e
da stand gastronomici vari.
Ancora una
volta la musica è risultato il fatto aggregante per eccellenza, anche se tutto
ciò che ho percepito al contorno mi ha molto distratto, e non ho ascoltato
nulla sino a che non ho avvertito che piazzarmi in prima fila e registrare la
performance di Aldo e Beggar’s avrebbe avuto un suo significato… oltre la musica.
Sono tornato
indietro con la mente, a quando esisteva il quartiere, a quando ci si sedeva
fuori dai portoni e ci si conosceva per nome… ed ero bambino.
Qui ho
respirato la stessa aria, anche se esiste il forte dubbio di aver assistito
alla dimostrazione dell’esistenza di un forte legame tra gli uomini, creatosi a causa della
tragedia, frutto del bisogno di
condivisione, dalla necessità di dare e avere. Chissà cosa avrei provato tra
questi palazzi due mesi fa?!
Non c’è
allegria nelle fecce che incontro, e tutto mi appare forzato, come se la voglia
di alzare la testa fosse tanta, ma il dolore troppo forte da lenire.
Non posso
dire di avere partecipato ad una festa, ma piuttosto ad una prova di sana forza di gruppo, e magari ad un tentativo di scacciare tutto
ciò che di indesiderato si può allontanare, cose e persone.
Ritorno
nella casa e mi tranquillizzo un po’ quando mi dicono che non era abitata,
perché in fase di trasformazione prima di una nuova destinazione uso ufficio, e
ciò è testimoniato dalla perfetta imbiancatura dei soffitti. Solo quelli sono
perfetti.
La prima
cosa che mi ha colpito, una volta varcata la soglia d’entrata, è un disegno su
di un muro, un gattino sdraiato su di una mensola ed una piccola pergamena
recante una scritta, forse voluta da un bimbo: “Io voglio che nessun giorno della
mia vita sia un giorno triste”. Innocenza di bambino… un delitto impedirgli di sperare!
Pareti
macchiate, nastri che impediscono l’accesso, come fosse il luogo di un delitto.
Visitatori
senza parole e “guardiani” del luogo desiderosi di raccontare, di sottolineare
le gesta di questi magnifici volontari e degli abitanti del quartiere.
Un’emozione
unica che porterò con me per sempre, un momento toccante capace di ferire e al
contempo dare luce alla speranza che per ogni evento negativo esista poi un
rimedio.
All’uscita
dalla casa passo davanti a “La Bottega del caffè”, la stessa vista poco prima sulle fotografie, con il livello dell’acqua
appena sotto alla scritta. E mi sembra di rivivere le immagini carpite da
Youtube.
E poi la
musica, la solita musica che generalmente mi fa star bene. Mentre sono
appoggiato alla transenna, davanti al palco, vedo Ascolese che trova la forza
per ironizzare con il “suo” pubblico, anche se il suo vero stato d’animo
traspare e in quel momento lo abbraccerei,
e con lui la Beggar’s Farm, capace correre in aiuto di un amico e di una città
che hanno bisogno… di tutto.
Il “ loro”filmato
che ho scelto è di De Andrè, “Volta la carta”, e il significato che
voglio dare al brano è proprio il senso del cambiamento, simbolicamente
rappresentato da una carta che si gira, come un “punto e a capo”, come spesso
capita nella vita.
Una piccola
riflessione, facile a farsi a posteriori… forse.
In questo
periodo ho numerose prove della forza del vero lavoro di squadra. L’azione
degli “Angeli del fango” è un ulteriore esempio di cosa possa fare un gruppo
unito e motivato, con un obiettivo completamente condiviso.
Credo che
questi esempi debbano insegnare, illuminare e aprire la strada a progetti
diversi, che non abbiano l’unico collante della disperazione.
Anche in
questo caso sottolineo che la mia non è retorica, ma la mera convinzione che la
forza e l’unione degli uomini e delle
donne onesti e intelligenti, possa cambiare radicalmente tutto ciò che va
modificato, senza fare rivoluzioni, ma con tenacia e buon senso.
Chissà se
questi “volontari della disperazione” sono realmente consci della loro forza!