mercoledì 2 ottobre 2024

First International Pop Festival: storia del primo, disastroso festival italiano (1968)


Siamo nella Roma del 1968, suonano i Pink Floyd al Palazzo dello Sport ma nessuno ci va. Come mai? Questa è la storia del First International Pop Festival

 

Sono capitato casualmente su di un video di ottima qualità che riporta ad un festival pop romano del 1968, evento di cui non avevo mai sentito parlare, il First International Pop Festival. Era il 1968.

Nelle righe a seguire è possibile chiarirsi le idee attraverso informazioni che ho catturato da un articolo stilato da RollingStone, ma anticipo un paio di chicche, per me assolute novità.

La prima riporta ai Ten Years After e a suo leader Alvin Lee che per la prima volta ho visto con… i riccioli!

Ma la seconda è ancora più sorprendente perché fa riferimento ai The Nice e… non avevo idea che anche Keith Emerson avesse mai un ruolo vocale e devo dire che la sua voce non era niente male!

Il primo festival mai organizzato in Italia viene ricordato come un totale disastro economico e organizzativo. Questo nonostante fossero nel cartellone gruppi non proprio sconosciuti come Pink Floyd, Byrds o Captain Beefheart in persona.

Si deve a una coppia di giovani americani, Jerry e Patricia Fife, l’idea dell’intero evento. Solo un anno prima, i due videro Jimi Hendrix rottamare col fuoco la sua chitarra sul palco del Monterey Pop Festival. È il momento culminante della Summer Of Love e, trasportati dall’onda dell’entusiasmo per questo nuovo movimento giovanile, non passa molto prima che prendano una decisione: bisogna ripetere il tutto in Europa.

Ma perché “pop”? E perché proprio Roma? Alla prima domanda qualsiasi papà potrà rispondere: all’epoca non c’è nessuna etichetta distintiva fra rock, psych o persino il prog che verrà qualche anno più tardi. Si chiamavamo tutto pop, musica pop, non intesa come popolare o commerciale, ma semplicemente pop.

Quanto alla scelta di Roma come location, probabilmente va ricercata nel crescente movimento di “capelloni” di Piazza di Spagna e del circolo ristretto della Roma bene che qualche anno prima aveva dato vita al Piper. Un’élite che grazie ai suoi vari dandy e viveur aveva permesso al mito dolcevitiano di sopravvivere agli anni Cinquanta, facendo della capitale uno snodo centrale dell’arte e della cultura mondiale.

Peccato però che, come vedremo, le sole élite benpensanti non bastino a riempire il Palazzo dello Sport dell’EUR.

E così, il First International Pop Festival viene lanciato a inizio 1968. Sui primi volantini si legge che i quattro giorni del festival si terranno il mese successivo, a febbraio.

A guardare i nomi sbandierati nel fantomatico cartellone c’è da impallidire. Sono davvero grossi, forse un po’ troppo grossi per essere veri: The Who, Pink Floyd, Cream, Soft Machine, Jimi Hendrix, Byrds, Nice, Quicksilver Messenger Service. Poi però, tirate le prime somme, ci si rende conto che 1) non è una mossa furba lanciare un evento del genere con un solo mese di anticipo e 2) non esiste minimamente la cifra richiesta per pagare tutti gli artisti promessi nei primi flyer. Ma neanche per pagarne la metà.

Così, dopo un paio di slittamenti, l’evento viene fissato definitivamente a maggio 1968, da sabato 4 a martedì 7 compresi.

Quanto agli artisti, la prima lista viene ovviamente ridimensionata. In compenso tra i confermati rimangono Pink Floyd, Byrds, Nice, Captain Beefheart con la sua Magic Band, Nice, Soft Machine più una sfilza di gruppi beat minori, tra cui gli italianissimi Camaleonti e Giganti.

Anche Jimi Hendrix sulle prime conferma, ma per problemi di incastri fra date è costretto a rinunciare in un secondo momento. Riuscirà ad arrivare nella capitale il 25 maggio, dove suonerà in una doppia data in un Teatro Brancaccio letteralmente preso d’assalto dalla folla.

Non soddisfatti di essersi dilapidati un patrimonio in artisti famosi (si dice che Jerry Fife fece fuori tutti i soldi che aveva ereditato dai parenti), gli organizzatori invitano anche fior fiore di stampa internazionale, tra cui la BBC, Melody Maker, la TV bavarese o la radio olandese VPRO. Ma è chiaro fin da subito che per colpa di una totale mancanza di comunicazione e promozione preventiva, i giovani hippie europei non si presentano né alla prima né alle altre serate al Palazzo dello Sport, immensa struttura costruita otto anni prima in occasione delle Olimpiadi. Nemmeno i giovani capelloni romani danno segno di vita, condannando il festival a una presenza giornaliera di 800-1000 persone e a una complessiva di 4000. Per il gran finale di martedì le porte del Palazzo nemmeno vengono aperte. La serata viene infatti dirottata al più intimo Piper Club.

Va da sé che alla stampa straniera non rimane che stroncare malamente gli sforzi ammirevoli ma maldestri di Jerry e Patricia Fife. Melody Maker definisce il festival “The pop-flop of ´68”, la BBC si limita a un pacato girato con poco commento e qualche veloce in quadratura al pubblico (uno spezzone sta qualche riga qui sopra), mentre il commentatore olandese di VPRO ci va più pesante di tutti: “La scelta di Roma è stata assurda. Per quanto riguarda la musica pop l’Italia è così indietro. Non esiste una scena underground di alcun genere, che è ciò di cui solitamente campano questi festival. Roma è una strana città formale piena di impiegati statali. L’idea che la gioventù sarebbe arrivata in auto da tutta l’Europa è stata un tipico errore di valutazione americano, perché i giovani europei non hanno automobili. Per farla breve, mi è venuto un nodo alla gola a vedere i Byrds esibirsi davanti a 800 persone, metà delle quali ha chiacchierato per tutto il tempo».

La performance dei Floyd, tra l’altro una delle prime in assoluto con David Gilmour al posto di Crazy Diamond Barrett, è assolutamente dignitosa. È la sera del 6 maggio, i quattro attaccano con Astronomy Domine e proseguono nella brevissima scaletta con altri tre pezzi: Pow R. Toc H, Interstellar Overdrive e Set the Controls for the Heart of the Sun. Fanno un bell’inchino davanti alle poche centinaia di fan soddisfatti e se ne vanno. È dopo di loro che iniziano i problemi.

Salgono sul palco i Move di Roy Wood, che a metà esibizione accendono dei fuochi d’artificio per movimentare lo spettacolo. La polizia non capisce e interviene sparando lacrimogeni all’interno del Palazzetto. Panico. La folla si disperde, la strumentazione viene danneggiata (non ci sarà verso di convincere il service a sostituirla per il giorno dopo).

Il First International Pop Festival finisce così, con quattro gatti al Piper e un buco nell’acqua grande come un Palazzo dello Sport.





Parlando di rock blues… Al Kooper…


Parlando di rock blues… Al Kooper

Personaggio polivalente, come produttore e come musicista (tastiere, chitarre e voce), ha registrato con Clapton, George Harrison, Tom Petty, B.B. King, Santana, Who e Rolling Stones; ha suonato l’organo in Like a Rolling Stone e in Blonde on Blonde di Bob Dylan e in Electric Ladyland di Hendrix; ha concepito il primo disco di jam rok, Super Session; ha contribuito alla nascita dei Blues Project e dei Blood Sweat & Tears e ha scoperto e prodotto i Lynyrd Skynyrd, alfiere del southern rock. Un curriculum di tutto rispetto!
Nato a Brooklyn nel 1944, debutta discograficamente all’età di 13 anni con i Royal Teens, ma il suo nome comincia a essere di dominio pubblico quando casualmente, alle sessions di Like a Rolling Stones, incide una traccia di Hammond sul pezzo già registrato da Dylan. Partecipa poi alla controversa apparizione della svolta elettrica di Dylan al Festival di Newport del 1965 e lavora in diversi dischi dell’artista di Duluth.
Dopo aver dato i natali a una delle prime band del blues revival newyorchese, i Blues Project, aiuta i Blood Sweat & Tears nella registrazione di Child Is Father To The Man, quindi è artefice della jam di Super Session con Bloomfield e Stills, album seminale e leggendario della storia del rock. Un altro suo lavoro all’insegna del blues è Kooper Session, jam in compagnia del quindicenne chitarrista Shuggie Otis,figlio del veterano del R&B Johnny Otis.

(Tratto da “Rock Blues”, di Mauro Zambellini)




martedì 1 ottobre 2024

Ohio Express, la band dell'indimenticabile “Yummy Yummy Yummy”


Nel pieno periodo beat, quando in Italia imperversavano le cover delle canzoni famose provenienti dall’America e dall’Inghilterra, era usuale sentire anche l’opposto, ovvero cantanti/gruppi stranieri che si esprimevano nella lingua italiana, per avvicinarsi maggiormente ad un mercato/pubblico che si stava rapidamente evolvendo.

Tra questi gli Ohio Express, che nel 1968 entrarono prepotentemente nelle nostre case con un brano di facile presa, “Yummy Yummy Yummy”, sigla di una trasmissione per ragazzi all'epoca molto seguita, “Chissà chi lo sa”, condotta da Febo Conti.


“Yummy Yummy Yummy” fu pubblicato come singolo nel maggio del 1968. Ecco la versione inglese...


Ma quale storia si cela dietro la band?

Ho raccolto a fatica un po’ di cronologia.

Gli americani Ohio Express si formarono a Mansfield, Ohio, nel 1967.

Anche se commercializzata come una band, sarebbe più preciso dire che il nome "Ohio Express" serviva come marchio utilizzato da Jerry Kasenetz e la Super K Productions di Jeffrey Katz per pubblicare la musica di un certo numero di artisti.
Le canzoni più conosciute degli O.E. erano in realtà il prodotto di un assemblaggio realizzato in studio da musicisti che lavoravano fuori New York, tra cui il cantautore Joey Levine.

Molti altri successi dell'Ohio Express erano opera di diversi gruppi musicali non collegati, tra cui i Rare Breed. Inoltre, una versione “itinerante” parallela, completamente separata dagli Ohio Express, apparve in tutte le date dal vivo e registrò alcune delle tracce dell'album della band.

Gli inizi: The Rare Breed (1966-67)

Chi furono i The Rare Breed?

Il primo disco accreditato all'Ohio Express fu “Beg, Borrow and Steal”, che divenne una Top 40 hit negli Stati Uniti e in Canada alla fine del 1967. Lo stesso disco era stato inizialmente pubblicato dai Rare Breed all'inizio del 1966 per la Attack Records, ma non riuscì ad avere successo a livello nazionale, anche se entrò nelle classifiche regionali, nel New Hampshire e nello Utah.


I Rare Breed pubblicarono un altro singolo nel 1966 per la Attack, “Come and Take a Ride in My Boat”, ma anche questo trovò solo una dimensione "regionale".
A seguito problemi con l’etichetta di riferimento il gruppo smise di esistere in quella conformazione.

La registrazione originale di "Beg, Borrow & Steal", cantata originariamente dall'ex membro Michael Fenneken, fu poi rimixata e ristampata per la Cameo Parkway Records, accreditata all'Ohio Express (un nome del quale la Super K Productions controllava tutti i diritti). Il singolo arrivò alla prima posizione a Columbus, Ohio, e diventò gradualmente un successo in tutto il Canada e negli Stati Uniti, nei mesi successivi.

Il cofanetto “Nuggets” (che include "Beg, Borrow and Steal") chiarisce che i Rare Breed provenivano da New York o dal New Jersey, ma non offre altri dati significativi.
Tuttavia, un'intervista del 2003 identifica i membri dei Rare Breed come: John Freno (voce, chitarra), Barry Stolnick (tastiere), Joel Feigenbaum (ritmo), Alexander "Bots" Narbut (voce York, basso) e Tony Cambri a (batteria di Brooklyn).


Sir Timothy e i Royals prendono il sopravvento (1967)

Senza alcun gruppo disponibile a promuovere il singolo suonando date dal vivo, la Super K Productions assunse una band di Mansfield, Ohio, conosciuta come Sir Timothy & the Royals e li rinominò Ohio Express. La formazione era composta da Dale Powers (voce, chitarra solista), Doug Grassel (chitarra ritmica), Dean Kastran (basso), Jim Pfahler (tastiere) e Tim Corwin (batteria).
Il gruppo fece un tour come Ohio Express, e i loro impegni itineranti resero difficile la registrazione di un nuovo singolo che seguisse "Beg, Borrow and Steal". Dei membri del gruppo "ufficiale" solo Dale Powers (voce solista) appare nel secondo singolo accreditato all'Ohio Express, “Try It”, più tardi coverizzato dagli Standells. Il singolo si fermò ben al di fuori della Top 40 degli Stati Uniti, raggiungendo la posizione numero 83.

Registrarono ben presto un album chiamato “Beg, Borrow and Steal”, un mix che comprendeva la title track dei Rare Breed con tracce registrate dal gruppo “live” dell'Ohio Express, così come altre registrate dai musicisti dello staff dei Super K con la voce dei Powers. L'LP uscì per la Cameo-Parkway Records di Filadelfia nell'autunno del 1967.
Sfortunatamente l'etichetta discografica andò in bancarotta poco dopo e fu acquistata dal magnate della musica Allen Klein, che ancora oggi possiede i master.

Due canzoni dell'album - “I Find I Think of You” e “And It's True” -, furono registrate dai The Measles, guidati da Joe Walsh.
Inoltre, i Measles registrarono una versione strumentale di “And It's True” (ribattezzata "Maybe") che fu posta sul lato B del singolo “Beg, Borrow and Steal”.

Gli anni di Joey Levine (1968-69)
Joey Levine racconta (17 maggio 2008)

L'Ohio Express si trasferì quindi nell'etichetta di casa del bubblegum pop, la Buddah Records. Allo stesso tempo Joey Levine (che aveva co-scritto “Try It”) era pronto per presentare nuovo materiale per l'Ohio Express, per volontà della Super K Productions. Registrò una versione demo del brano "Yummy Yummy Yummy" con musicisti dello staff dei Super K. Tuttavia, il capo di Buddah, Neil Bogart apprezzò la demo, tanto da rilasciare il disco così com'era, con la voce di Levine intatta e nessun input dalla versione “da viaggio” dell'Ohio Express. La canzone diventò un grande successo internazionale, raggiungendo il 4° posto negli Stati Uniti, il 5° nel Regno Unito e Irlanda, il 7° in Australia e il 1° in Canada. Due mesi dopo la sua uscita aveva venduto oltre un milione di copie, e gli fu concesso lo status di disco d'oro dalla R.I.A.A. nel giugno 1968.


Il successo di "Yummy Yummy Yummy", guidato da Levine, stabilì un modello per l'Ohio Express. Pubblicarono quattro LP e una moltitudine di singoli per Buddah tra il 1968 e il 1970, ma il gruppo "ufficiale" che appare sulle copertine degli album e agli spettacoli dal vivo non ha contribuito con una sola nota ai loro 45 giri di successo.
L'anno successivo l'uscita di “Yummy Yummy…”, tutti i singoli dell'Ohio Express furono scritti e cantati da Levine, con accompagnamento musicale di anonimi session man di New York. In base a questo accordo, nel 1968 e 1969, il gruppo segnò altri tre colpi top 40 negli Stati Uniti, in Canada e in Australia con “Down at Lulu's”, "Chewy Chewy" e "Mercy".
“Chewy Chewy” vendette due milioni di copie.  


In questo periodo il nome del gruppo perse definitivamente l'articolo davanti, diventando "Ohio Express".

Non ci sono occasioni conosciute in cui Levine si esibisce con il quintetto "ufficiale" dell'Ohio Express, dal vivo o in studio.
I cinque ragazzi dell'Ohio, nel frattempo, potevano essere ascoltati solo su alcune delle tracce dell'album. Presumibilmente, il gruppo itinerante non fu nemmeno informato dell'esistenza di "Chewy Chewy", il nuovo singolo che era uscito con il loro nome - e quando i fan lo richiedevano negli spettacoli dal vivo non erano in grado di suonarlo.

Tracce "riciclate" (1968-70)

La Super K Productions spesso riciclava tracce da una produzione ad un’altra, emettendo esattamente la stessa registrazione con due diversi nomi di band. Oltre alla hit dell'Ohio Express, "Beg, Borrow and Steal" (inizialmente accreditata ai Rare Breed), i fan poterono notare che altri pezzi dell'Ohio Express B-sides e tracce dell'album erano stati accreditati ad altri artisti dell’etichetta Super K.
Alcuni esempi sono rappresentati dal lato B del singolo "Sausalito" - “Make Love Not War” - originariamente pubblicato dai Road Runner, dalla Music Explosion, e la traccia “Shake”, del 1970, inizialmente pubblicata da Kasenetz Katz Super Circus.

L'era post-Levine (1969-70)

Dopo cinque singoli consecutivi scritti e cantati da Joey Levine (quattro dei quali di successo negli Stati Uniti e in Canada), il musicista era insoddisfatto del ritorno economico derivante dal suo contratto e lasciò la Super K Productions all'inizio del 1969. L'etichetta si rivolse così ad altri musicisti per scrivere, produrre ed eseguire singoli a nome Ohio Express: nessuno però era parte del quintetto scelto per i tour.
Dopo che Levine se ne fu andato, gli Ohio Express non entrarono mai più nella top 40 del Nord America. 
Nel 1970 il modello era ormai consolidato, e nel 1972 il nome del gruppo Ohio Express fu ritirato.

Nel 1975, Kasanetz e Katz misero insieme per un breve periodo una nuova band dal vivo con il nome di Ohio Express. Si esibirono nei club di Long Island con una formazione che comprendeva John Visconti alla voce e chitarra ritmica, Irv Berner alla chitarra solista e voce, Elliot Schwartz alle tastiere e voce e Angie al basso. Len Napolitano suonò la batteria per diverse esibizioni.

Anni dopo Tim Corwin rimise in piedi un'altra versione della band iniziando ad esibirsi a livello nazionale e all'estero. Mantenendo attiva la band, nel 1999 presentò la richiesta di utilizzo del marchio “Ohio Express”, ma non ottenne il consenso delle etichette discografiche che possedevano i diritti sul nome.
La band negli anni 2000 si è esibita a Las Vegas, in altri casinò, e più recentemente (2012) Corwin ha fatto un'apparizione su Cologne Television, eseguendo "Yummy Yummy Yummy".

A metà degli anni Settanta si unì il chitarrista dei Mansfield Mike Brumm e rimase nel gruppo fino alla fine degli anni 2000.

L'Ohio Express più recente

Una nuova versione itinerante di The Ohio Express fu rimessa in piedi negli anni Ottanta. Successivamente, una formazione guidata dal batterista originale Tim Corwin alla voce, John Baker (chitarra solista), Andy Lautzenheiser (basso), Bill Hutchman (batteria), Jeff Burgess (tastiera) e Warren Sawyer (chitarra ritmica e tastiere) iniziò a proporsi in tour nel circuito oldies.

Il 23 luglio 1988 il quintetto originale formato da Powers, Kastran, Grassel, Pfahler e Corwin, si riunì per un "concerto celebrativo dei 20 anni”, al Renaissance Theater nella loro città, natale, Mansfield.

Due dei membri originali del gruppo itinerante sono morti: il tastierista/cantante/cantautore Jim Pfahler il 10 marzo 2003 (54 anni) e il chitarrista ritmico Doug Grassel il 21 settembre 2013, all'età di 64 anni.

Il bassista Dean Kastran ora suona il basso e canta nel gruppo Eggerton-Kastran (alias E.a., EKG) - un duo acustico con il cantante/chitarrista Denny Eggerton - e con una band di cinque elementi, i Caffiends, entrambi i progetti con sede a Mansfield, Ohio.
Dale Powers è ora un evangelista di musica cristiana con sede a Mansfield, Ohio, e ha fondato una sua etichetta discografica e sito web per diffondere il suo credo.
Dean Kastran suona il basso nella Race Ministries Band e ha registrato tracce con Dale nel suo album di canzoni originali intitolato "The Journey Within!".


Indimenticabili, nonostante i poco simpatici trucchetti commerciali che il pubblico, soprattutto di quei tempi, non poteva conoscere ne immaginare!

Album
Beg, Borrow and Steal - 1967
Ohio Express - 1967/1968
Chewy Chewy - 1969
Mercy – 1970

Compilation
The Very Best of The Ohio Express - 1970
The Best of The Ohio Express - Yummy Yummy Yummy - 2001
Collegamenti esterni

Ultima versione…



“A Plague of Lighthouse Keepers": la suite di "Pawn Hearts" - I Van der Graaf Generator tra solitudine e speranza

 


All’interno dell’album “Pawn Hearts” (1971) dei Van der Graaf Generator, uno dei miei preferiti in assoluto, troviamo la suite “A Plague of Lighthouse Keepers”, suddivisa in dieci sezioni.

Venne incisa nel corso di molte sessioni, in alternanza all'attività live della band. Per questo motivo ci vollero circa quattro mesi per registrarne tutte le singole parti, unite poi in fase di mixaggio.

Il pensiero del tecnico, il produttore John Anthony, tende ad enfatizzare la tecnologia del momento: “La traccia presentava una maggiore ricercatezza rispetto agli altri album, e abbiamo spinto al limite le capacità del Trident, utilizzando ogni singolo strumento presente negli studi di registrazione".

Le sperimentazioni di cui parla Anthony includevano varie tecniche, come la manipolazione del nastro e perlustrazioni sonore tramite l'utilizzo di mellotron e sintetizzatore. David Jackson affermò che una parte venne sovraincisa ben 16 volte. Alle registrazioni partecipò anche Robert Fripp dei King Crimson come ospite alla chitarra, il cui contributo può essere ascoltato nei minuti 8:10-10:20 e verso la fine della canzone.

A proposito delle liriche, Peter Hammill dichiarò: "È semplicemente la storia di un guardiano del faro, di base è solo quella. Viene narrato il suo senso di colpa e i suoi complessi nel vedere morire le persone, lasciando che esse periscano senza poterle aiutare. Non c'è una vera una fine, sta all’ascoltatore decidere la conclusione più appropriata.”

Il narratore lotta contro la solitudine, l'isolamento, la disperazione e il tormento, mentre aspetta che qualcuno lo salvi dalla sua terribile situazione. Il suo isolamento interiore e fisico è reale, ed egli lancia una nota profetica sul fatto che il disastro lo annienterà se non agirà al più presto.

Dalla canzone sgorgano molteplici immagini molto chiare che riflettono il tumulto interiore dell’uomo: gli spettri e gli scheletri delle navi che passano davanti alla sua torre, le onde che si infrangono contro le pietre, le maschere bianche di ossa e mascelle di ferro dei fantasmi.

Mentre il guardiano è testimone di molte cose orribili, si rende anche conto di essere bloccato in un ciclo infinito di sofferenza, e alla fine sembra accettare il suo destino e abbraccia la presenza della notte, riprendendosi dalla tristezza, dal lutto e dal dolore che ha vissuto.

Sono questi gli effetti dell'isolamento, della solitudine, che portano alla sensazione di essere intrappolati a causa delle circostanze determinate dalla vita.

A mio giudizio un capolavoro, rappresentativo di un album di cui non si può fare a meno. 

 


Artista: Van der Graaf Generator

Autore/i: Peter Hammill, Hugh Banton, Guy Evans, David Jackson

Album: Pawn Hearts

Data:1971

Etichetta: Charisma

Durata: 23:04