Se “DO UT DES”
fosse un book che racconta la storia degli UT NEW TROLLS ci sarebbe di
che spaziare, gli argomenti sono tanti e sostanziosi. E forse un po’ book lo è
davvero, ma le sue sembianze fisiche sono quelle di un album, e quindi oltre a
concetti e parole… musica.
Ho la fortuna di
conoscere Gianni Belleno e Maurizio Salvi, e chi meglio di loro poteva
spiegare l’essenza di un lavoro che appare come un nuovo punto di arrivo - e di
partenza - una nuova sfida, un ulteriore
progetto rivolto al futuro? Il punto di vista di un esterno stimolerà forse la
curiosità, indurrà ad indagare e a sviscerare dettagli, ma il pensiero dell’autore
mi pare abbia valenza superiore, e l’intervista a seguire esemplifica le mie
idee.
E ora vengo alle mie…
di idee.
Ho lasciato gli UT
a luglio, dopo aver ascoltato - e descritto - l’album che testimonia la loro
anima prog in fase live, e dopo averli visti on stage all’Arena del Mare di
Genova. La musica di quei giorni era qualcosa di già conosciuto al pubblico,
che era servita a rodare il motore e a stabilire e a dimostrare come il cuore
prog pulsasse più che mai.
Il nuovo album potrei
dire che è quasi inaspettato, tenuto conto delle difficoltà che si presentano
al cospetto di chi decide di iniziare un nuovo progetto discografico, e credo
che la spinta decisiva arrivi sempre dal versante ”passione”.
Dieci tracce proposte
da una modificata line up, che oltre a Belleno - batteria e voce - e Salvi - tastiere multiple - presenta Claudio Cinquegrana
alle chitarre, Alessandro Del Vecchio alle tastiere e voce e la new entry Anna Portalupi al basso.
E veniamo ai
contenuti.
L’impressione che ho
avuto è quella di trovarmi davanti ad un album nuovo e antico allo stesso
tempo. Non amo le etichette, ma anche sforzandomi, per definirne una la dovrei…
inventare. Potrebbe andare pog melodico? Poco importa.
Ho ritrovato delle voci
uniche, che ho sempre legato al solo mondo “New Trolls”. Credo che nessuno
abbia mai espresso, almeno in Italia, un’armonia vocale come quella dei N.T.,
band di cui Gianni Belleno e Maurizio Salvi hanno fatto parte, e come Gianni
sottolinea sono radici profonde che restano nel tempo. Se poi aggiungiamo le
qualità di Del Vecchio, musicali in genere, ma nello specifico alla voce, il
quadro si delinea molto chiaro. Brani come “Per
ogni lacrima”, “Do Ut Des” o “Sarà per noi”, ne sono un significativo
esempio. Discorso a parte per “Oltre il
cielo”, rivisitata anche in versione inglese, “Can’t go on”, con testo di Del Vecchio riproposto dall’ex TOTO Fergie Frederiksen,
rimasto incantato dal casuale ascolto della versione italiana.
La musica è una sorta
di prog evoluto, contaminato positivamente dalla melodia e dalla classicità di
cui Salvi è maestro, con spunti di “emersoniana” memoria - parte centrale di “La luce di Vermeer” - e tempi dispari
inequivocabili - “Per ogni lacrima” ,
“Do Ut Des” - con discese nel rock
blues - “Rispettare può salvare” - che
sottolineano l’indole chitarristica di Cinquegrana.
Molto importante l’aspetto
“liriche”. I temi sociali abbondano: le carceri, la guerra, la politica, l’amore,
il rispetto… è come se dopo anni di attesa i due autori rialzassero la testa
per dire la loro, in un momento drammatico, forse il più difficile, della
nostra storia moderna. E niente è meglio della musica, un’arte capace di far
opera di sintesi e di veicolare con forza i messaggi.
Come dice Gianni: “… è come aver dato voce a tutti i delusi…”,
e di questi tempi sono davvero tanti!
E questi aspetti
dalla difficilissima soluzione trovano una possibile via d’uscita, una fuga
verso la speranza, verso un luogo, od un modo di vivere, che prevede un po’ di spiritualità,
quella di cui tutti abbiamo sempre più bisogno.
Una bella sorpresa,
ancora più gradita perché inaspettata, almeno in una veste simile.
http://www.utnewtrolls.com/
L’INTERVISTA
Dopo l’album live di pochi mesi fa, con la
forte riproposizione dell’anima prog dei New Trolls, nasce questo nuovo disco
fatto di inediti, dove tu e Maurizio Salvi avete firmato liriche e musica.
Esiste una concettualità nei brani proposti? Quale il messaggio profondo in un
momento così difficile per la nostra
società?
Più che una linea concept dell’intero
album che, tuttavia, conserva precisi messaggi sociali, direi che ogni brano
vive di una propria dimensione concept, soprattutto in riferimento al momento
attuale di crisi in Italia che riflette, tutto sommato, una crisi più profonda
nell’essere umano in genere. Quando le certezze, gli schemi su cui hai contato
per anni, giusti o sbagliati che fossero, vengono scossi o crollano, è allora
che incominci a farti domande: è solo il primo passo per rialzarsi e guardare
avanti, sperando di non commettere altri errori. Brani come “La luce di
Vermeer” è un esplicito messaggio contro la pena di morte, ma anche contro i
giudizi facili dei benpensanti e la situazione delle carceri in Italia.
“Rispettare può salvare” non è un semplice invito alla pace come quello che
possono fare i politici o le organizzazioni internazionali, spesso accompagnato
da forze armate… In fondo il Bambino di Betlemme già esule e perseguitato nei
suoi primi giorni di vita, non rispecchia altro che la situazione attuale:
anche oggi vivrebbe in una quotidianità segnata dalle armi o dai compromessi
politici. Ma c’è sempre la speranza di una stella: sta a noi trovare il
coraggio e la volontà di seguirla. Un messaggio più esplicito lo abbiamo dato
in “Sporca politica”. Tutto sommato direi che la linea concept dell’album sta
nell’aver dato voce a tutti: riflessivi, arrabbiati, stanchi. Per esperienza,
quando la protesta è accompagnata dalla musica ha infinite possibilità in più
di raggiungere il bersaglio…
Qualche considerazione rispetto alla line up.
Nel corso del vostro concerto genovese, nel luglio scorso, Alessandro Del
Vecchio era all’inizio della collaborazione e al basso c’era Fabri Kiarelli,
ora sostituito da Anna Portalupi. Come funziona la “macchina” con i nuovi
innesti?
Gli elementi chiave del gruppo
siamo Maurizio Salvi ed io. Fabri Kiarelli è un ottimo musicista, ma i suoi
molteplici impegni di lavoro non sempre lo rendevano disponibile per le nostre
attività in studio, che richiedono per forza di cose una situazione stabile, se
vuoi la garanzia di un risultato efficace. Lo stesso discorso può essere fatto
per Anna Portalupi, bravissima bassista ma, anche lei, impegnata su più fronti;
il discorso dell’articolazione della band, quindi, a parte gli elementi
fondamentali, è sempre una costruzione “in itinere” a cui, per quanto
possibile, cerchiamo di dare la necessaria stabilità che vede Maurizio e me come
punti di ancoraggio.
Ascoltando l’album si ha l’impressione di un
ritorno a certe vocalità che hanno contraddistinto il marchio New Trolls, sin
dagli inizi. Trattasi di DNA? Precisa scelta? Attaccamento alle proprie
profonde radici?
Se vogliamo partire dalle
radici più profonde bisogna tornare ai Jet di Genova, la prima formazione in
cui ho suonato, insieme a Franco Gatti ed Angelo Sotgiu, i futuri Ricchi e
Poveri: eravamo davvero un gruppo vocalmente molto in gamba. Poi i New Trolls,
che sono stati una parte determinante della mia vita: nel bene e nel male hanno
comunque lasciato una loro impronta che non posso e non voglio rinnegare. Al di
là delle specifiche scelte musicali credo che, comunque, il DNA musicale ti
formi per tutta la vita e dia una connotazione specifica al lavoro, rendendolo
veramente “tuo”.
Come nasce l’opportunità di ospitare Fergie Frederiksen? Che giudizio puoi dare della vostra
collaborazione, dal punto di vista umano?
Ho conosciuto Frederiksen in studio, mentre registravamo “Do
Ut Des”: era in Italia per la realizzazione di un video legato al suo ultimo CD
e Alessandro Del Vecchio era il suo produttore. Fergie ascoltò in studio il
nostro lavoro, in fase di realizzazione, e si innamorò letteralmente di “Oltre
il cielo”. Non ho fatto altro che cogliere l’attimo, pregando Del Vecchio di
realizzare un testo in inglese che potesse adattarsi alla splendida voce di
Frederiksen; ne è venuta fuori una stupenda versione, interpretata in maniera
eccezionale, che dà al nostro lavoro un potente riflesso di energia e bellezza
e, cosa non secondaria, un’interessante apertura al pubblico esterno all’Italia.
A proposito di Art Work, mi dai qualche spiegazione
sull’immagine centrale del booklet?
Al centro di tutto c’è un tatuaggio, riprodotto nell’opera di
una nota artista contemporanea, Raffaella Maron: rappresenta un’antichissima
mappa stellare scoperta negli anni 50, durante uno scavo archeologico. Era la
rappresentazione dell’idea di cosmo che l’uomo si costruiva, il desiderio di
raggiungere qualcosa di superiore verso cui si sentiva immancabilmente
attirato. La donna nella copertina
del nostro CD è l’artista che interagisce con una sfera superiore, celeste,
divina per chi lo crede. E’ la risposta ad un atto creativo che è avvenuto per
primo. In fondo, anche la musica è una risposta ad un dono che si riceve e,
allo stesso tempo, diventa dono per chi vuole ascoltarla.
Fare un album “nuovo” è cosa in cui raramente si cimentano i
musicisti storici… difficile far quadrare i bilanci e far rientrare le spese di
produzione. Qual è l’aspetto che nel vostro caso ha fatto scattare la molla:
coraggio, passione o rischio calcolato?
La passione e la voglia di fare qualcosa di nuovo sono
determinanti, altrimenti non ti metteresti neanche a sedere a tavolino per
cominciare. Credo inoltre sia anche una questione di rispetto nei confronti di
chi ascolta la nostra musica e, immancabilmente, ogni volta ci dona affetto ed
energie nuove; lo stesso titolo del nostro ultimo lavoro, “Do Ut Des”, è un
messaggio esplicito: se dai qualcosa, alla fine riceverai altro in cambio. Noi
speriamo di offrire buona musica e la risposta che ogni volta constatiamo ci
rassicura che il nostro lavoro funziona. E poi la musica stessa è una risposta
ai nostri momenti di scoraggiamento o di crisi: non viene mai da sola e,
certamente, anche se di musica viviamo non è mai qualcosa di calcolato, ma un
rischio che accettiamo volentieri di correre da una vita.
Come promoverete in fase live il vostro album?
L’aspetto promozionale, anche in rete e, soprattutto nelle
radio, credo sia naturalmente necessario per portare a conoscenza del nostro
lavoro il maggior numero possibile di persone; ma la fase live, i concerti sono
determinanti: il disco, il tuo “biglietto da visita”, se così possiamo
chiamarlo, ti mette sul palco: ma lì sei tu che suoni e comunichi direttamente
con chi ti ascolta, senza nessun supporto, social network o schermo di alcun
genere. Nonostante il momento di crisi confidiamo in un numero di date tale da
offrire a tutti la nostra musica e ricevere, in cambio, l’energia che si
trasforma in nuova forza creativa.