Fabio Biale esce allo scoperto e presenta il primo album solo, “La sostenibile
essenza della leggera”.
Pare sia nato col
violino in mano, Fabio, ma conoscendolo meglio appare chiaro come la sua
predisposizione per gli strumenti in genere sia molto marcata, e poco importa
se le dita scorrono su di una tastiera o creano il ritmo per mezzo dei famosi
“cucchiai”.
Prendiamo il kazoo,
quello reso famoso da Bennato… lui soffia dentro proteggendolo all’interno di
un bicchiere e … nasce il suono di una tromba!
Niente da dire, un
talento.
Ma non bastano tecnica
e virtuosismo per camminare con forze
autonome; fare un album proprio significa cambiare pelle mantenendo vivo l’artista,
diventando manager, leader e… facendo tornare i conti, avendo ben presente che
nel momento in cui la divisa non è più la solita, ma è quella di chi coordina,
i collaboratori, anche se amici, ti scoprono come nuovo e ti giudicano… e un
po’ ti mettono alla prova.
Cosa c’entra tutto
questo con la musica? Mettiamola così, dall’esito del progetto può dipendere il
futuro “solo” di Fabio Biale, e a giudicare da ciò che ho ascoltato sarebbe un vero
peccato troncare l’esperienza.
Ho sempre visto Fabio
come un ottimo comprimario, geniale, ma al servizio della squadra, qualunque
essa fosse: incredibile spalla di Zibba
in un disegno folk rock cantautorale, cultore della tradizione - rivisitata -
con i Liguriani, tanto per citare i
suoi binari.
Non era un giudizio
riduttivo il mio, il mondo musicale è pieno zeppo di enormi artisti che
svolgono un lavoro superiore al visibile, e godono nell’agire di cesello, ma
nelle retrovie.
Forse Biale è anche
questo, ma non solo, che gli piaccia o no, ed è stata una scoperta.
Ho ascoltato il CD, e ho
visto un po’ di live, lui completamente solo, un one man band che mi auguro di
ritrovare molto presto, perché i numeri per tener il pubblico in tensione ci
sono tutti, compresa un’eccellente predisposizione alla comunicazione verbale e
gestuale.
Nel disco dieci
tracce, episodi di vita vissuta non uniti da tratto concettuale.
Il titolo è il frutto
di un gioco di parole, ma non è casuale, e dall’utilizzo di non so quale figura
retorica emerge il termine “leggera”, che nella tipica concezione ligure
identifica un “mascalzone bonario” - in cui Fabio si ritrova - e allo stesso
tempo sottolinea il tratto un po’ pop - e in ogni caso molto immediato - delle
canzoni dell’album.
In quello che lui
definisce ”disco onesto”, c’è il ricordo della prima delusione d’amore, così
come la creazione musicale estemporanea legata ad un evento lieto; c’è la
testimonianza delle origini e la celebrazione del mito.
L’essenza dell’album è
rappresentata dall’amore, dalla riconoscenza, dal dolore, dal rispetto e dalla
paura di perdere il riferimento della vita, un punto fisso, come solo certe figure
familiari possono esserlo.
Per questo momento
magico Fabio resta solo, la voce e la chitarra bastano e avanzano per decantare
una poesia.
Varia la musica,
molteplici i generi, perché un racconto di parte di vita non può essere dipinto
con un solo colore, e così lo swing si mischia al blues, al rock e alla melodia
tipica dei nostri luoghi.
E’ anche un bravo cantante
Fabio, capace di miscelare le carte e presentare le sue diverse sfaccettature vocali tra una traccia e l’altra, e l’iniziale
“Al mio funerale”, ad esempio, non da
l’esatta misura di ciò che si troverà cammin facendo. Tutto da scoprire.
A seguire propongo un filmato che potrà aiutare, più delle mie parole, a comprendere il
personaggio e la sua musica, uno stralcio
della presentazione ufficiale del 31 gennaio alla Ubik di Savona.
Una bella e positiva
sorpresa!