Dopo una serie di
disavventure organizzative, non certo interessanti per i lettori, sono venuto
in contatto con una musica ed un musicista imperdibile. Mi riferisco ad Alessandro Monti, artista veneziano
dall’indole itinerante.
Ciò che ho ascoltato è
un doppio CD, Unfolk+Live Book, che
raccoglie una vita di suoni e di situazioni.
Come al solito resta
determinante il pensiero dell’autore, esposto a seguire, che risulta il modo
migliore per entrare in un mondo affascinante, tutto da scoprire e,
soprattutto, da condividere.
Partiamo dai dati
oggettivi.
Il primo CD è la
riproposizione del lavoro di “start up” di Monti, quell’ Unfolk nato nel 2006, e
ora rimasterizzato con l’aggiunta di alcuni inediti. La riedizione dell’album
aveva come obiettivo la creazione di una nuova veste, che potesse raggiungere canoni di estrema qualità, per effetto delle cure di un professionista assoluto, Jon Astley, non uno qualunque! Operazione riuscita.
Il secondo CD è live, Live
Book, con estratti da due soli concerti disponibili, realizzati sull’asse Venezia-Leicester, basato sul materiale
compreso nel secondo disco, il concettuale The Venetian Book Of The Dead, che
vede la partecipazione del chitarrista e vocalist Kevin Hewick.
Intanto è bene
sottolineare come Alessandro Monti lasci trasparire, senza alcuna volontarietà,
la status di genio musicale, rilasciando con estrema semplicità una musica che
sembra la sintesi dell' impegno musicale di lustri… il tutto in una
sorta di contrasto che si può riassumere nell’urlare con moderazione, nel proporre tematiche sociali enormi
attraverso suoni dolci e sognatori.
Pare l’inventore di un
nuovo genere, quell’unfolk che non rappresenta una negazione ma una evidenziazione
di diversità.
Tutto il primo album è
caratterizzato dal suono del mandolino, una vera scoperta che cambia la vita
quando avviene in età matura, quando cioè si pensa di avere molte certezze
musicali e all’improvviso si aprono nuovi e positivi orizzonti. E di quei suoni
non si riuscirà più a fare a meno.
Altro elemento
importante è il tema del viaggio, che significa ampliamento culturale riversato
poi sulle creazioni proprie. Ma significa anche nuovi stimoli, scoperte
strumentali, sfumature ambientali, conoscenze umane e interazioni che conducono
verso percorsi musicali impensabili.
E tutto questo va
condiviso, soprattutto nella fase originale, quella della nascita, da cui poi
dipenderà la piena accettazione da parte del pubblico.
Il gioco di squadra -
anche questo è spesso una tardiva e felice scoperta - porta alla definizione di
“collettivo”, l’ensemble che lavora con e attorno a Monti, creando trame
uniche, che uniscono acustica, elettronica, etnia, sperimentazione ed un
folklore trasversale, che pare non avere precise coordinate spaziali e
temporali.
Il secondo CD introduce novità.
Intanto è live…
E poi racconta di
accadimenti drammatici e di morti legati al degrado ambientale e manageriale di Venezia e dintorni.
Ciò comporta l’utilizzo
di testi e di un elemento nuovo, Kevin
Hewick, la cui voce potrebbe da sola dare l’impronta ad un intero album.
Un po’ più elettrico,
un po’ più tipico, strutturalmente parlando, questo concept, nel descrivere una
situazione particolare, si adatta ad atmosfere e temi universali, uscendo da una
iniziale dimensione ridotta, arrivando rapidamente
ad una rappresentazione globale, che assume valore assoluto perché raggiunta attraverso
mezzi e metodi originali, qualcosa a cui pare nessuno abbia mai pensato.
E ritorno alla
genialità di un musicista che sembra
veda chiaro anche nel buio, riuscendo ad inventare metodi espressivi
innovativi, racchiusi a parole nell’etichetta unfolk.
Riassumo.
Un viaggio di cui non si cerca la fine…
Tanti compagni, nella
speranza che aumentino…
La continua ricerca,
tra tradizione e novità…
L’impressione è che
Alessandro Monti sia solo all’inizio… nel suo cassetto ancora molte frecce mai
scagliate, ma i calcoli non c’entrano, non ci sono pianificazioni e botti a
orologeria… la musica uscirà da sé, al momento opportuno.
E che la condivisione
abbia inizio!
L’INTERVISTA
Partiamo dal doppio CD che ho nelle mani, “Unfolk+Live Book”. Puoi sintetizzare la genesi e il percorso realizzativo?
Si tratta della ristampa del mio primo lavoro solista (Unfolk
appunto) in versione rimasterizzata, arricchita da vari inediti e un intero cd
extra registrato live e in studio, ma con materiale appartenente al concept
successivo "The Venetian Book Of The Dead". Io lo chiamo "The
Young Person's Guide To Unfolk" (!) perché in effetti é una bella sintesi
del nostro percorso. Il primo cd era stata una completa autoproduzione ed era
uscito in un'edizione limitatissima di 350 copie. Nonostante questo si era
guadagnato un piccolo spazio di culto tra il pubblico alternativo, grazie anche
al catalogo indipendente Cd Baby (vedihttp://www.cdbaby.com/cd/alessandromonti)
al cui interno erano apparse recensioni entusiastiche. In passato avevo
collaborato con numerose band dell'area veneziana (tra cui gli amici Quanah
Parker), ma soprattutto avevo realizzato due lavori "ambient" con
Gigi Masin (1986-91) che si sono guadagnati nel tempo un grande numero di
appassionati, soprattutto all'estero:
Poi avevo pensato di interessarmi alla produzione ed avevo
avuto una grande occasione negli Usa producendo i Caveman Shoestore nel 1992,
un gruppo di musicisti in bilico tra grunge e prog (!) e che sarebbero andati
avanti collaborando addirittura con il grande Hugh Hopper dei Soft Machine.
Francamente non avevo mai pensato di iniziare una mia avventura solista fino a
quando non ho acquistato un bel mandolino in Irlanda e ne é uscito Unfolk, che successivamente é divenuto
il nome del progetto e del Collettivo di musicisti.
L’incontro con Jon Astley appare come una svolta nella tua
vita professionale. Come è avvenuto e come ha realmente inciso sul tuo percorso
musicale?
Per spiegarti questo link devo partire da Kevin Hewick: ci
siamo conosciuti tramite il vecchio myspace e siamo rimasti in contatto per
mesi. Io avevo i suoi dischi degli anni ‘80 (su Factory e Cherry Red); Kevin
era - ed é tutt'ora - una delle voci più belle di tutto il post punk inglese,
con radici nel classic rock, nella new wave e nel folk alternativo (da Bob
Dylan a Neil Young, dai Joy Division ai Led Zeppelin). Volevo registrare un
tributo alla mia città Il Libro Veneziano
dei Morti ("The Venetian Book Of The Dead") per dedicarlo a tutte
le vittime del Petrolchimico di Porto Marghera; così ho deciso di spedirgli le
basi strumentali nella speranza che potesse magari inserire delle voci… é stato
così entusiasta dei pezzi e della tematica da venire qui a Mestre e registrare
l'intero album! Mentre era qui abbiamo capito quanti ascolti avevamo in comune
(King Crimson, Genesis, Vdgg, Dylan, Miles Davis ecc.). Il disco era talmente
bello che volevo avesse un suono il più professionale possibile. Così dopo una
serie di emails, su suggerimento di Steven Wilson, Kevin mi ha consigliato il
grande Jon Astley che ha una politica molto interessante per gli indies con
prezzi molto inferiori a quelli delle majors. Considero
il mastering un momento fondamentale nella produzione di un cd e così ho deciso
di spendere qualche soldo in più e farlo con lui: credo che abbia fatto un
lavoro straordinario in The Venetian Book Of The Dead e ho voluto che
eseguisse anche il remaster del primo lavoro. Ti confesso che sono fiero che
Unfolk sia stato toccato dalle stesse mani che hanno toccato perle come
"All Things Must Pass", "Led Zeppelin IV", "Who's
Next" o "Small Faces"… Jon é anche una persona gentilissima e
cordiale.
L’idea che ci si può fare, avvicinandosi superficialmente al
tuo mondo, è quella di trovarsi al cospetto di un talento che emerge per caso,
e che si fa largo senza forzare più di tanto la situazione? E’ una valutazione
totalmente fuori strada?
E' tutto così strano:
io ho scelto di non essere un musicista "professionista", ma di
dedicarmi alla musica dal punto di vista puramente artistico ed espressivo. Non
so che forza misteriosa abbia contribuito alla riuscita della mia visione
musicale ma tutto, dalla copertina alla musica, per me é stata pura magia.
Venezia e
la sua laguna. Quanto può essere influenzato un musicista dal luogo in cui
vive?
Io sono per metà Veneziano (madre) e per metà Romano (padre)
ma, nonostante sia andato spesso a Roma e ami molto quella città, ho vissuto
sempre a Venezia-Mestre. Nel caso del mio secondo lavoro, The Venetian Book Of The Dead, l'influenza della mia città é stata
totale, essendo un lavoro di denuncia sulla situazione ambientale in cui ho
vissuto. Ma nel caso del primo, Unfolk,
ho semplicemente tracciato una sorta di geografia dei miei viaggi, ma ho
condito il tutto con il mito di un musicista immaginario in cui peraltro mi
sono identificato in pieno. Qualcuno ha colto delle antiche influenze Veneziane
nel primo lavoro: ci sono senz'altro in alcuni
punti e ne sono orgoglioso... pensa che un brano inedito é la famosa Peregrinazione Lagunaria, un pezzo
tradizionale di autore anonimo.
Mi parli del tuo impegno sociale, portato avanti attraverso
la tua musica?
Appartengo ad una generazione di artisti in cui l'aspetto
dei testi é stato molto importante, sia dal punto di vista sociale che
politico. Credo che un artista abbia il dovere di comunicare dei messaggi
importanti attraverso le sue opere… ho cercato di farlo con il "Libro
Veneziano", ispirato dal libro di Gianfranco Bettin
"Petrolkimiko". Credo che l'impegno sia un aspetto che completa
l'altro lato della mia musica, quello più strettamente musicale ed esoterico (del
primo "Unfolk").
I viaggi sono in genere una incredibile fonte di stimoli.
Cosa significa per te venire a contatto con nuove culture?
Gioia infinita e scoperta senza fine: sono un entusiasta
della musica etnica e cerco sempre di portare a casa dai miei viaggi qualcosa
da poter suonare ed utilizzare nei miei lavori…
Faccio un po’ di fatica nel collocare la tua musica in
qualche categoria conosciuta - e ne sono felice. Tu come la definiresti?
"Non folk", ovvero quel folk immaginario che può
essere o non essere, e può contenere qualsiasi stile o trasformazione. Un pezzo
del doppio cd si intitola Secular
Kosmisch Folk, un termine che avevo creato quasi per gioco per definire la
mia musica. Secular sta per musica antica "profana", che si
differenziava da quella religiosa; Kosmisch é un riferimento alla musica dei
Corrieri Cosmici degli anni 70 (un pezzo é dedicato a Florian Fricke, grande
ispirazione del mio lavoro); mentre Folk non ha bisogno di essere spiegato, ma
é importante comprendere che la musica popolare é una materia organica che si
evolve con i tempi inglobando tutto il possibile. Ho notato che molti hanno
trovato accostamenti lontanissimi, dal prog alla musica etnica, dalla new wave
al folk rock, dall'elettronica al jazz: per me é un buon segno!
Come nasce in Alessandro Monti l’amore per la musica? Quali
gli esempi seguiti?
Sono cresciuto in una famiglia in cui si ascoltava molta
musica: mio padre aveva costruito con le sue mani un vecchio mobile giradischi.
Ricordo che da bambino ero rimasto affascinato da un "microsolco" che
si trovava su una mensola, la Sagra della
Primavera di Stravinsky, un'opera fondamentale! La vera scoperta della
musica é stata un momento sconvolgente: avevo 11-12 anni (circa 1971-72),
un'emozione indescrivibile e che non si é più fermata. Così appena ho avuto la
possibilità ho iniziato ad acquistare 45 giri, cassette e poi sono passato agli
albums. Il primo disco serio che ho deciso di comprami era dei Van Der Graaf
Generator, tutt'ora una delle mie bands preferite. Oggi ascolto soprattutto
classica, antica, jazz e molta musica etnica…
Abbiamo una cosa in comune, l’incontro casuale - e il
successivo amore - per il mandolino, strumento che una volta conosciuto ti
rimane attaccato per sempre. Che cosa ti da in più rispetto a tutti gli altri
strumenti?
E' davvero impossibile da spiegare… dal primo momento che
ho sentito quel suono (in The Battle Of
Evermore) sono rimasto letteralmente in estasi. Credo che dipendesse molto
anche dal tipo di effetti e ambience di quella registrazione, ma ogni volta che
nei dischi sentivo un mandolino ero felice. Io resto soprattutto un bassista e
forse il doppio remaster esaurisce quello che volevo fare con il mandolino. Dopo
i miei lavori come Unfolk sono
tornato al mio vecchio strumento, il basso. Ho intenzione di mettermi a
studiare la musica seriamente.
Forse c’è un’altra cosa che abbiamo in comune, il piacere del
lavoro di squadra. Sbaglio nel dire che è una cosa in cui credi molto?
Hai assolutamente ragione e sono felice che tu abbia colto
il mio concetto di "Collettivo". Ognuno dei musicisti ha dato un
contributo determinante agli arrangiamenti. Se ho fatto qualcosa di valido é
stato certamente l'aver scelto i giusti amici per creare pezzi diversi, ben
sapendo le loro caratteristiche: senza di loro il lavoro sarebbe stato molto
diverso.
Che cosa hai pianificato, o cosa speri di realizzare,
nell’immediato futuro?
Vorrei ampliare questa mia piccola etichetta Diplodisc
(marchio non depositato), un'occasione per produrre cose interessanti che non
voglio assolutamente restino in un cassetto. Il prossimo lavoro é pronto: si
tratta di "Spirali", il primo cd solista di Massimo Berizzi, tromba
del Collettivo Unfolk, in cui partecipo al basso e alle percussioni etniche; un lavoro indefinibile che definirei "post jazz". Infine ho l'idea di un omaggio a Don Cherry, musicista che
amo e che potrei davvero definire Unfolk per la sua visione multietnica... ho decodificato dai dischi (Relativity
Suite e Brown Rice) le strutture portanti del basso
di Charlie Haden e ne vorrei dare una mia personale rilettura... forse un
giorno, chissà!