mercoledì 20 febbraio 2013

Silver Key-Land of Dreams


L’album di cui parlo oggi è In the Land of Dreams, dei Silver Key.
Esce con molto ritardo rispetto alla nascita della band che risale agli inizi degli anni ’90, ma nell’intervista a seguire emergono le motivazioni, così come viene sviscerata ampiamente la filosofia musicale del gruppo.
Stabiliamo il link tra i … vari titoli.
Silver Key” è anche il nome di un racconto dello scrittore americano  Howard Phillips Lovecraft, famoso per i suoi “Miti di Cthulhu”, ciclo letterario tra fantasia e magia, dove una “Chiave d’Argento” garantisce l’accesso alla “Terra dei Sogni”, luogo in cui si realizza ogni possibile desiderio.
Ma il messaggio centrale, vero legame concettuale, è quello che spinge alla riflessione: tutto quello che cerchiamo è a portata di mano, possediamo la chiave per raggiungerlo, e sappiamo anche come e dove usarla; ma ci vuole coraggio, fede, intraprendenza, buon senso e intelligenza nel capire che tutto ciò di cui abbiamo bisogno risiede nel quotidiano. I sogni non sono proibiti, nessuno ce li può rubare, ma una volta dissolti occorre trovare equilibrio e serenità, agendo ad occhi bene aperti:
Prendi il mondo com’è, nella terra dei sogni. Guarda il mondo com’è, nella terra dei sogni”.

I Silver Key nascono come band filo Marillion & Fish, e di quel gruppo conservano il lato prog più classico, con un tappeto tastieristico che si intreccia a trame vocali caratterizzanti, e melodie più “italiane” sostenute da una sezione ritmica di prim’ordine. Conoscere la storia, in questa caso “storia musicale”, aiuta nel creare nuove situazioni sull’onda del continuous improvement, e i S.K. miscelano i loro propositi tematici ad una modernità di idee che è poi quello che si chiede ad ogni nuova proposta… mantenimento delle radici e inserimento di pensieri personali.
Liriche in lingua inglese - la cui traduzione è fruibile nel sito di riferimento - per un percorso che si snoda attraverso quattro brani iniziali che sfociano in una lunga suite, tipica del prog seventies, che in questo caso cattura l’attenzione già al primo ascolto.
Di grande effetto l’immagine di copertina - l’unica parte di art work che ho visto -  e se tanto mi da tanto, il lavoro dedicato di Claudio Bergamin è materia da… vinile!

Ma il mio personale giudizio sull’album sfugge dalla sfera della razionalità, della tecnica e dei concetti universali applicati ad ogni nuova realizzazione, per entrare in quella dell’istinto e del sentimento “a pelle”: The Land of Dream emoziona, colpisce e induce ad un po’ di nostalgia, riportando ad un epoca che vedeva ben saldo il “rito del vinile”, quando uno disco pretendeva il contatto fisico, la soddisfazione visuale e la comprensione dei testi.
Musica, parole e immagini, il triangolo ideale di cui  i Silver Key conoscono la perfezione geometrica, e noi ascoltatori non possiamo che godere di questo know how, in attesa di nuovi capitoli musicali.




L’INTERVISTA

L’inizio della vostra attività risale a molti anni fa, ma l’uscita del vostro primo album è fatto recente. Come mai siete arrivati al primo appuntamento con la registrazione con … un po’ di ritardo?

È vero che la prima formazione di una band chiamata “Silver Key” risale a molti anni fa, ma si trattava di progetti diversi, con formazioni e finalità differenti. La formazione più recente risale al 2006 e, inizialmente, l'idea era di formare una tribute-band dei Marillion dell'era Fish. Fin dalle prime prove abbiamo avuto idee e spunti per brani originali e il desiderio di svilupparli. Ciò si è reso effettivamente possibile solo con la line-up che è arrivata a registrare il disco, qualche anno dopo, e questo sia per disponibilità artistica che per capacità tecniche. Il fatto di non essere più giovanissimi e di dover realizzare questo sogno non a tempo pieno ha ulteriormente rallentato i lavori. L'accoglienza positiva che i brani hanno avuto fin dalle loro prime presentazioni live ci ha incoraggiato ad abbandonare gradualmente le cover e a lavorare con sempre maggiore decisione alle nostre canzoni. L'ulteriore incoraggiamento della Ma.Ra.Cash Records, che ha fortemente creduto nel progetto fin dall'inizio, e degli amici che hanno deciso di finanziare il progetto (Fabrizia Casagrande e Andrea Minini Saldini, che sono produttori dell'album) ci ha infine convinti a provare a fare “il grande salto”...

Come vi siete formati musicalmente parlando? Chi vi ha regalato l’impronta prog?

Ogni componente della band ha una formazione musicale diversa e possiamo dire che il prog sia un punto d'incontro che, seppure con differenze di gusti individuali, mette d'accordo tutti. Io amo molto il folk anglosassone, oltre a sonorità elettroniche e world-music, Viviano prende spunto dal metal e dall'hard-rock, Davide ama la musica classica e il jazz, Alberto i Weather Report ed il Prog-Fusion, e via di questo passo. Il prog è una risposta naturale, in quanto è un genere musicale ampio che consente di mischiare tutte queste suggestioni in qualcosa di coerente e dinamico. Permette libertà creativa, trasformismo e contaminazione, sperimentazione e ricerca su molti fronti. Per quanto mi riguarda, comunque, i Marillion del primo periodo sono stati il primo approccio al variegato mondo del progressive-rock e, come si suol dire, il primo amore non si scorda mai...

Mi raccontate quale sia la vostra “Land of Dreams”? Dobbiamo obbligatoriamente rifugiarci nella musica per trovare una dimensione vivibile?

Tutt'altro: la storia del disco – ne parlerò più diffusamente rispondendo alla domanda otto – dice che l'unico Mondo dei Sogni è quello in cui viviamo tutti i giorni! In termini più prosaici, è chiaro che la Terra dei Sogni di ognuno di noi è fare ciò che ci piace in modo profondo, che dà un senso alla nostra esistenza. Per alcuni può essere la musica, per altri può essere un'attività completamente diversa. Credo che scoprire quali sono le nostre vere inclinazioni e dar loro una forma compiuta sia fondamentale per la ricerca di quella cosa strana e sfuggente che chiamiamo “felicità”. La mia particolare Terra dei Sogni è scrivere e suonare, per me e per gli altri, condividere qualcosa di intimo cercando di renderlo universale e comprensibile senza cadere in facili banalizzazioni. È un processo difficile, ma le rare volte in cui riesce è qualcosa di assolutamente meraviglioso.

Non ho potuto gustare per intero l’art work ma ho visto l’immagine della cover, degna di un vinile anni ’70. Come è nata l’idea?

L'idea della cover dell'album è cambiata molto nel corso della lavorazione. L'idea generale era creare qualcosa che riflettesse i testi dei brani all'interno del disco e che, magari, aggiungesse qualcosa o desse una diversa chiave interpretativa. Senza l'ausilio artistico di Claudio Bergamin, autore di copertine di dischi di altri famosi autori come Arjen Lucassen, ciò non sarebbe stato possibile. L'idea è nata da alcuni schizzi preliminare di Claudio, fatti dietro una mia generale indicazione degli elementi che ritenevo importanti. Una volta approvato lo schizzo iniziale, abbiamo discusso dei dettagli – le rondini in volo o il fatto che ci siano due Lune nel cielo, eccetera – ognuno dei quali ha un significato preciso nell'economia della narrazione della storia. Ritengo che le immagini, le parole e la musica siano tre aspetti di un unico grande atto narrativo, ognuno dei quali può anche essere visto e giudicato indipendentemente, ma che viene compreso fino in fondo solo in relazione agli altri, completando il quadro. Non si tratta “solo” di una copertina, insomma, ma di una rappresentazione grafica della musica, così come la musica è una rappresentazione sonora dei testi, eccetera. Non è facile creare questo incastro ma ritengo che renda il tutto più divertente e interessante, sia per noi che per il pubblico.

Chi accende le singole scintille della vostra musica? Lavoro di squadra o c’è chi “guida il gruppo” con qualche regola consolidata?

La maggior parte degli spunti musicali proviene da Davide Manara, il tastierista, che è il membro in assoluto più attivo dal punto di vista compositivo. Tuttavia, ogni singola idea viene poi rielaborata e riarrangiata dagli altri componenti della band, integrando altri spunti o idee musicali o modificando, anche radicalmente, alcuni passaggi. A volte capita che sia un mio testo a ispirare un certo tema musicale, mentre altre volte accade l'esatto contrario. Ciò detto, ci sono brani nell'album che derivano da idee musicali degli altri componenti, naturalmente. In generale, il processo è piuttosto caotico e non abbiamo un “metodo” vero e proprio. Il lavoro di squadra, inutile dirlo, è fondamentale. La “guida” del gruppo è affidata a chi riesce ad avere una maggiore visione d'insieme rimanendo “all'esterno” e ascoltando i pezzi come se fosse tra il pubblico, e in genere sono io a rivestire questo ruolo. Inoltre, essendo io a scrivere i testi, spesso mi ritrovo a dare consigli riguardo all'arrangiamento che hanno lo scopo di integrare meglio la musica con ciò che viene raccontato, per avere un insieme più coerente e logico.

Quanto amate la fase live?

Immensamente. La fase live è la parte più bella e divertente della nostra attività come band. Io personalmente, poi, adoro ogni singolo momento. Il viaggio, l'arrivo nel locale, il setup degli strumenti e il sound-check, le prove... e poi, ovviamente, l'inizio dello show. È bellissimo sentire le persone che ti guardano e ti ascoltano, sentire le critiche e gli apprezzamenti, l'attenzione e l'affetto di chi ti segue da tempo, oppure la sorpresa di chi ti “scopre”. La prima volta che vedi qualcuno tra il pubblico che canta il ritornello di una tua canzone è un'emozione fantastica! Spero che l'uscita dell'album ci dia sempre maggiori possibilità di viaggiare e di suonare dal vivo, perché credo che sia la vera linfa vitale della band, il vero senso e scopo di comporre, registrare e suonare insieme. Ne approfitto anche per sottolineare che abbiamo subito un ulteriore cambio di formazione dopo l'uscita del CD a causa di difficoltà da parte di Alberto Grassi a seguire le necessarie date di promozione dell'album, e abbiamo accolto tra i membri del gruppo Ivano Tognetti, già conosciuto nell'ambiente prog italiano per la sua partecipazione a diversi progetti musicali (Nomalia, The “G” Cover Band). Ivano è riuscito in tempi brevissimi ad integrarsi molto bene nel progetto musicale, ricostruendo fedelmente le linee di basso principali composte da Alberto ed arricchendo alcuni punti con altre soluzioni sicuramente interessanti.

Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione sulle possibilità offerte oggigiorno dalla tecnologia, applicabili al campo della comunicazione. Quali i pro e quali i contro di internet, se pensate alla diffusione della vostra musica?

Personalmente, ritengo che i lati positivi della “rivoluzione digitale” siano molto più importanti degli aspetti negativi. La tecnologia non solo ci ha permesso di realizzare l'album – abbiamo gestito il mastering con uno studio inglese – UK Mastering – tramite l'invio dei file su Internet e la comunicazione tramite posta elettronica – ma ci dà anche enormi possibilità di promuoverlo e venderlo – tramite Facebook, il nostro sito web, la vendita su iTunes o su Amazon, eccetera. Solo dieci anni fa tutto questo non sarebbe stato possibile o, quanto meno, sarebbe stato molto più difficoltoso. Internet e le nuove tecnologie digitali consentono di abbattere un tetto che aveva sempre creato una divisione netta tra le band “mainstream” e le band “underground”. Naturalmente, Internet è semplicemente uno strumento e molto dipende da come lo si usa. Ci sono degli aspetti negativi, ovviamente, come la pirateria digitale e una cultura della fruizione musicale diversa: al giorno d'oggi c'è forse meno attenzione nell'ascolto dei brani perché tutto è molto più semplice ed è quasi automatico avere Terabyte di musica sui propri hard-disk ma non avere magari il tempo di ascoltarli mai tutti come si deve. D'altronde, io sono convinto che siamo solo all'inizio di questa nuova era della comunicazione e della produzione di nuovi media. Una cosa è certa: il vecchio business-model delle major discografiche è obsoleto e deve essere ripensato e riprogettato dalle radici.

Entriamo un attimo nello specifico di “The Land of Dreams”. Quale il messaggio profondo?

Come per ogni opera, la vera risposta a una domanda come questa può arrivare solo da chi la ascolta e la interpreta a livello personale. Il messaggio che io ho voluto passare con i miei testi, tuttavia, è all'incirca il seguente. Sia nella title-track che nella lunga suite presente nell'album, il concetto fondamentale è che noi viviamo già nel Mondo dei Sogni, solo che lo riempiamo di incubi. Immaginiamo un mondo terribile, ricco di ombre e di paure, ed esso si realizza in conformità al nostro potere creativo. Se ci rendessimo conto davvero di tale potere, se prendessimo consapevolezza delle nostre potenzialità, potremmo modificarlo e migliorarlo, sia a livello individuale sia a livello sociale. Siamo noi la Chiave d'Argento, non c'è nessun oggetto magico esterno capace di darci più potere di quanto non possediamo già per diritto di nascita in questo universo. Non vorrei sembrare “mistico”... il mio intento è molto concreto. Siamo come topi persi in un labirinto – come il protagonista che scappa nelle fogne di una città in fiamme – convinti di doverci muovere al suo interno, come se quello fosse tutto il nostro mondo, e abbiamo dimenticato che esiste qualcosa al di fuori che può essere anche radicalmente diverso. Al giorno d'oggi, anche solo sognare un mondo differente e migliore, sembra essere considerato un delitto. “Utopia” significa “nessun luogo”, qualcosa che non esiste, attualmente, da nessuna parte... ma non che non potrà mai esistere in futuro. Credo che il compito della nostra generazione e di quelle più giovani, sia quello di reimparare a sognare.

Che opinione avete dell’attuale stato della musica, sia dal punto di vista dei talenti che da quello delle possibilità?

In parte, questo si ricollega a quanto ho detto rispondendo ad una domanda precedente. La musica, almeno la musica leggera “mainstream”, è un'industria che ormai ha scarsi e vaghi collegamenti con qualsiasi cosa che si possa definire “arte”. E' sostanzialmente la creazione a tavolino di prodotti ben confezionati e promossi in modo da raccogliere consensi e vendite da una determinata fetta dell'audience, da certi target anagrafici, sociali e razziali. Tutto è studiato nei dettagli, dai suoni al marketing, dall'immagine dell'artista alle copertine degli album, dai video ai passaggi sulle radio e le TV nazionali e internazionali. Sono pochi gli artisti che riescono a navigare a vista in questo mare di portaerei prodotte in serie, persone che continuano a creare emozioni e che riescono a essere sincere con il proprio pubblico. Mi vengono in mente un paio di nomi che derivano dai miei gusti personali: Paul Simon e Peter Gabriel. Poi c'è un altro mondo sommerso, di miliardi di piccoli pesci che si nascondono tra i coralli e le alghe, e che cercano semplicemente di ottenere un po' d'attenzione, lanciando in alto le bolle delle proprie creazioni. La cosa assurda è che ci viene raccontato che questo è l'unico sistema possibile e che le cose funzionano così perché le case discografiche danno al pubblico ciò che il pubblico vuole. A me viene in mente una frase del grande fumettista e autore Alan Moore: “Il compito di un artista non è dare al pubblico ciò che il pubblico vuole, ma dargli ciò di cui ha bisogno.” Ci sono tanti artisti che creano con coraggio, perseveranza e cocciutaggine, spendendo tempo, sangue, sudore e lacrime (e soldi!). Penso che “il pubblico” sia molto più intelligente di quanto non ci venga venduto e che riesca ad apprezzare questi “prodotti” alternativi. Bisogna solo dargli un'opportunità di sentire proposte diverse e avere una maggiore cassa di risonanza per chi ha davvero qualcosa da dire.

Che cosa avete pianificato per l’immediato futuro?

Stiamo lavorando a nuove canzoni e abbiamo molto materiale “grezzo” da raffinare e arrangiare. Abbiamo molte idee e, purtroppo, poco tempo e poche risorse per realizzarle nei tempi che vorremmo. Stiamo cercando più occasioni possibili per suonare dal vivo e promuovere l'album. Speriamo di poter far uscire un secondo lavoro entro tempi ragionevolmente brevi. L'accoglienza del pubblico e della critica – almeno finora – è stata incoraggiante e dobbiamo essere molto grati alle persone che ci ascoltano, comprano il disco o lo scaricano da iTunes, ci vengono a sentire e ci supportano con consigli, critiche o anche la semplice presenza. Credo che, in ultima analisi, il piano per l'immediato futuro sia divertirsi e far divertire. Tutto il resto deriva di conseguenza.



Band:
Yuri Abietti - Vocals, Acoustic Guitar, Percussions
Carlo Monti - Lead Guitar
Davide Manara - Keyboards, Synth, Samples
Viviano Crimella - Drums, Percussions
Alberto Grassi - Bass Guitar