martedì 14 febbraio 2012

Giacomo Lariccia


Probabilmente non sarei mai arrivato a Giacomo Lariccia se casualmente, alcuni giorni fa, non fossi incappato in un servizio a fine TG, dove si affrontava brevemente il fenomeno dell’emigrazione degli anni 2000, evidenziando come il fenomeno sia ancora attuale e non riguardi solo i nostri antenati.
A metà indagine veniva presentato un cantautore italiano, ma residente a Bruxelles, costretto ad “uscire “ dall’Italia per una specializzazione in chitarra jazz ad inizio secolo, e tutt’ora lontano da casa, per scelta, per poter lavorare, per poter vivere.
Il suo nome è Giacomo Lariccia, ed il giorno dopo l’ho contattato, ricevendo immediata risposta, e realizzando l’intervista a seguire che fornisce un quadro interessante e idee su cui occorre riflettere, nonché una canzone, “Povera Italia”, che ha già  fatto il giro del mondo.
Ripropongo subito il servizio del TG, e per chi non volesse vederlo per intero, ma ascoltare solo la sezione dedicata a Lariccia, consiglio di “saltare” al minuto 3.55.




L’INTERVISTA

Premessa: ho ascoltato casualmente la tua intervista al TG e il mio interesse per tutto ciò che è novità musicale si è miscelato a problemi di ordine sociale, che presto riguarderanno anche i miei figli. La curiosità, musicale e non, mi ha spinto a contattarti. Approfondiamo qualche concetto captato dall’intervista.

Che cosa ti ha spinto ad intraprendere una scuola di tipo musicale al di fuori del tuo paese? Anche dal punto di vista della didattica siamo carenti?

Sono partito dall'Italia nel 2000 quando i conservatori di Jazz esistevano solo in forma "sperimentale" quando già da decenni, in tutto il mondo, costituivano un corso separato dalla musica classica. Le scuole private non mi davano alcuna fiducia  e in più avevo il bisogno di tagliare i ponti con Roma, dopo la laurea in Scienze della comunicazione, perché correvo "il rischio" di rimanere invischiato nell'ambiente dei miei studi. Io volevo avere un periodo di full immersion nel jazz e la cosa migliore era partire.

Ci si innamora sempre di paesi diversi dal nostro, per tanti motivi, anche se vivendo realmente culture altrui, non solo come turista ma come cittadino, si può scoprire che non ci sono Paradisi sulla Terra. E’ davvero una necessità “lavorativa” la tua o a Bruxelles hai anche trovato una dimensione di vita più… “civile”?

Come dici tu quando si viaggia e si vive all'estero ci si rende conto che non esiste il paese perfetto. Non è perfetto il Belgio come non è perfetta l'Italia. Vivendo qui da 12 anni mi scontro spesso con quelli che sono i difetti di questo paese e con situazioni che in Italia non esistono. Detto questo però la mia permanenza qui è stata caratterizzata dalla realizzazione dei miei sogni. Il fatto di essermi diplomato in chitarra jazz, di aver girato il mondo per suonare nei festival più diversi, di aver fatto un primo disco di jazz a mio nome  (Spellbound, Label Travers, distr Benelux) e adesso questo disco di canzone d'autore (Colpo di sole, Avventura in musica, distr. Benelux) che sta riscuotendo tanta attenzione mi riempie di orgoglio. Se poi unisci anche il fatto che qui ho conosciuto mia moglie Yael, che mi sono fatto una famiglia con tre bei bambini capirai che sono molto legato e "grato" a questo paese e alle opportunità che mi ha dato.

Al di là degli stereotipi, delle frasi fatte, dei luoghi comuni che tanto amiamo, cosa ti  ha portato a  scrivere e a cantare “Povera Italia”… delusione personale o osservazione oggettiva di una situazione che si fa sempre fatica a capire quanto sia grave?

Povera Italia è un grido di rabbia, di frustrazione. Ed è lo stesso grido che tanti italiani hanno sentito e provato ad esprimere. Tanto più che questa rabbia per una crisi etica e morale coincide in pieno con un periodo di forte crisi economica.  Come è possibile che siamo andati avanti cosi tanti anni vivendo al di sopra delle nostre possibilità? Con una politica che ha rappresentato in Italia e nel mondo i peggiori caratteri dell'italianità? Per questo scrivo " Cambio paese, cambio continente (...)E' la mia gente che non riconosco". La mia partenza, dovuta a motivi prettamente musicali, ho iniziato a viverla come una  presa di distanza dai valori che hanno regnato in Italia in questi ultimi 18 anni. Il vuoto pneumatico che ha regnato aveva come unico modello previsto quello di consumatore. Da consumatori siamo diventati "consumati", logorati, svuotati  e profondamente in crisi. Che sia chiaro: Povera Italia (come anche nel disco il brano "Nella vasca degli squali") è anche una autocritica alla mia generazione della quale io mi sento parte.

Come ti sei avvicinato alla musica? Che cosa ha fatto scattare la scintilla?

La scintilla è scattata tanti anni fa. Nei sogni di bambino. Avevo un mito che era Edoardo Bennato e una sera chiesi a mio padre se davvero nella vita possiamo diventare quello che vogliamo. Lui mi rispose di si. E dopo tanti anni di lavoro e passione sono qui.

In questo tuo percorso fatto di scelte difficili (almeno lo immagino così), che ruolo hanno avuto i tuoi cari, i tuoi amici, le persone da cui poi ti sei allontanato fisicamente?

I miei genitori hanno avuto un ruolo determinante nel permettermi di partire con una serenità e stabilità di fondo. Mia madre è stata quella che, nel mezzo dei miei studi universitari, mi ha messo davanti all'ultimatum "se non ti laurei non parti". Mia padre mi ha passato la determinazione nel seguire i sogni.  Ma la persona a cui devo di più è naturalmente mia moglie che ho conosciuto qui, con la quale sono cresciuto in questi anni importantissimi e che mi sostiene ogni giorno nella scelta di continuare a fare musica.

Mi puoi indicare qualche musicista/band che consideri un esempio da seguire, o un brano che, anche a distanza di tempo, ti regala qualche brivido?

Il quartetto americano di Keith Jarret (quello con Jan Garbarek) è per me una fonte di emozioni pazzesche... Mi ricordo che quando sentii per la prima volta il disco "My song" rimasi a bocca aperta. Ancora oggi ho lo stesso effetto.  Se passiamo alla musica classica adoro Bach. Ascolto molto in questo periodo le suite per violoncello. Per quanto riguarda la canzone Paul Simon rimane un punto di riferimento indiscutibile. Degli italiani mi piace molto Daniele Silvestri (di cui apriro' il concerto a maggio qui a Bruxelles) e fra i giovani apprezzo molto Giovanni Block, Andrea Epifani. Non possono mancare naturalmente altri autori che stimo: Giorgio Gaber, Gianmaria Testa, De Gregori, De André.

Che idea ti sei fatto dell’attuale  businnes che ruota attorno alla musica?

Ho smesso di cercare di farmi un'idea. E' un mondo talmente in crisi da risultare schizzofrenico e autolesionistico.

E cosa puoi dirmi delle possibilità- e degli svantaggi- procurate da Internet?

Le possibilità di internet sono pazzesche. Pensa che il videoclip "Povera Italia" prima di attirare l'attenzione della televisione era stato condiviso e ascoltato  migliaia di volte dall'Uruguai al Giappone passando, naturalmente per tutta l'Europa. Tutto questo è stato possibile solo per la facilità di comunicazione e per il ruolo dei social network.

E dei Talent Show?

Non ne penso niente perché non li ho mai visti. Senza voler fare il radical chic ma vivo da 12 anni senza televisione. Credo solo che se l'industria discografica  per sopravvivere punta solo su questi meccanismi di popolarità formattata e standardizzata (e imposta) impoverisce il mondo, la musica e la cultura.

Qual è la dimensione in cui ti senti più a tuo agio, tra studio e live?

Essendo di formazione un jazzista e avendo lavorato di più come "performer" piuttosto che come turnista prediligo il concerto e le situazioni live.  A dir la verità penso che la musica sia nutrita dalla vita: quindi fra il live e lo studio prediligo la dimensione della vita. 

E ora prova a sognare. Cosa vorresti ti capitasse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?

Mi piacerebbe riuscire a portare Colpo di sole in Italia in Francia e in Germania (senza un ordine di preferenza). Penso che la canzone italiana possa e debba essere ascoltata anche fuori dai confini dell'Italia e che possa competere con la musica anglofona e francese.






IL NUOVO DISCO DI GIACOMO LARICCIA:
"COLPO DI SOLE"

Giacomo Lariccia canta favole di mondi vicini e lontani, racconti sentiti nell'infanzia e frammenti di storia. Pensieri, visioni e sogni catturati su un pezzo di carta e liberati nella musica.
Le sue parole esprimono il disagio di vivere in un’Europa anestetizzata dalla ricchezza e dal benessere. Parlano delle virtù e dei vizi del nostro mondo.
Le sue note ci raccontano la storia, vista dagli occhi di chi non ha potuto raccontarla ma ne ha subito gli effetti spesso drammatici.
Le sue canzoni ci parlano della bellezza dell'amore e della difficoltà di amare, della voglia di vivere e di guardare avanti.

BREVE BIO

Dopo aver percorso in autostop le autostrade del nord, chitarra in spalla, Giacomo Lariccia si innamora, alla fine, di Bruxelles e del Jazz.
Incide il suo primo disco come chitarrista e, insieme a musicisti di ogni confine e provenienza, viaggia e suona, percorrendo questa volta, il sud. Tunisia, Egitto, Israele, Barhain, Italia, Spagna…

All’improvviso, dopo anni di note, assoli bislacchi e cravatte stonate, scopre la potenza della parola. Inizia a scrivere e scrivere e scrivere ancora, tranquillizzato dal fatto che in un paese francofono nessuno l’avrebbe capito.

Il suono della chitarra può colpire le sensazioni ma la parola può toccare nel profondo, può commuovere e divertire, creare un mondo alternativo e criticare quello in cui viviamo. Con le sue canzoni Giacomo Lariccia percorre le strade dei sogni, e i binari della memoria e gioca con personaggi inventati e storie meravigliose

Uno dei suoi brani, per un caso fortuito, finisce nelle mani di un critico che, a sua insaputa, lo iscrive al primo concorso di canzoni dal quale esce vincitore…. e oggi, insieme cento ammiratori ha prodotto il suo primo disco da cantastorie: COLPO DI SOLE.