Ospitata in quella
che era praticamente un’abitazione privata, tra effluvi di whisky e abbondante
presenza femminile, l’ultima esibizione di Robert Johnson può contare su
testimonianze piuttosto labili. Occorre pertanto affidarsi ai ricordi di Sonny Boy
Williamson, grande armonicista in possesso di un’aneddotica
sterminata, che sostiene di aver suonato insieme al leggendario bluesman in
quella fatale notte.
La popolarità di
Johnson nella regione del delta del Mississippi era cresciuta negli anni ’30
grazie anche al suo presunto patto con il diavolo stipulato alla periferia di
Clarksdale, all’incrocio fra la Statale 61 e la Statale 49. Solo qualcuno che
avesse venduto l’anima al diavolo, si diceva in giro, poteva suonare
contemporaneamente parti ritmiche e soliste con tanta abilità, oppure cantare
del “cane degli inferi sulle mie tracce” con pathos quasi
soprannaturale.
Nel luglio 1938, dopo molto peregrinare, Johnson si era stabilito a Greenwood.
Il sabato sera suonava in un locale chiamato Three Forks, dove si era messo con una ragazza del paese. Difficile dire se sapesse o meno che si trattava della moglie del proprietario della bettola.
Sonny Boy Williamson racconta che una sera Johnson, durante una pausa nella sua esibizione, si vide arrivare una bottiglia di whisky. Consapevole delle tensioni che la spregiudicatezza sentimentale dell’amico stava creando (il flirt era iniziato un paio di settimane prima), l’armonicista afferrò la bottiglia e la gettò via.
Nel luglio 1938, dopo molto peregrinare, Johnson si era stabilito a Greenwood.
Il sabato sera suonava in un locale chiamato Three Forks, dove si era messo con una ragazza del paese. Difficile dire se sapesse o meno che si trattava della moglie del proprietario della bettola.
Sonny Boy Williamson racconta che una sera Johnson, durante una pausa nella sua esibizione, si vide arrivare una bottiglia di whisky. Consapevole delle tensioni che la spregiudicatezza sentimentale dell’amico stava creando (il flirt era iniziato un paio di settimane prima), l’armonicista afferrò la bottiglia e la gettò via.
“Non mi strappare mai di mano una bottiglia di whisky”, lo ammonì Johnson che, poco dopo, accettò
senza indugi una seconda bottiglia. In realtà Williamson aveva visto giusto.
Non appena ricominciò a cantare, Johnson ebbe un malore e dovette lasciare il palco.
Al whisky era stata aggiunta della stricnina. Sebbene non fosse risultata subito fatale, Robert Johnson morì circa due settimane dopo, il 16 agosto 1938, senza immaginare che l’incrocio presso cui la sua vita e la sua arte si erano intersecate sarebbe diventato il mito primigenio del musicista-fuorilegge del xx secolo.
Non appena ricominciò a cantare, Johnson ebbe un malore e dovette lasciare il palco.
Al whisky era stata aggiunta della stricnina. Sebbene non fosse risultata subito fatale, Robert Johnson morì circa due settimane dopo, il 16 agosto 1938, senza immaginare che l’incrocio presso cui la sua vita e la sua arte si erano intersecate sarebbe diventato il mito primigenio del musicista-fuorilegge del xx secolo.
Da “Io C’ero”, di Mark
Paytress
Nessun commento:
Posta un commento