A distanza di un paio di anni i Camelias Garden ritornano all’impegno
discografico, e dopo il sorprendente You
Have a Chance realizzano Kite.
Come evidenziato nell’intervista a seguire la scelta dell’EP nasce
dalla necessità di creare un bridge tra passato e futuro, un trait d’union
legato alla naturale evoluzione e maturazione della band, alla ricerca della
conferma di un’identità che sorprese all’esordio.
Le modifiche alla line up e la pianificazione musicale di un
percorso non certo semplice ha portato a risultati eccezionali.
Inizio col dire che ascoltando Kite
il mio più grosso rammarico è quello di non poterlo avere… tra le mani, perché è
un gioiello che brillerà solo sul web, e il contatto fisico mi pare
indispensabile quando si parla di musica nobile come quella proposta dai C.G.
Le etichette si sprecano nel tentativo di dare una collocazione
conosciuta a questi giovani e virtuosi romani, e chiacchierando si scopre che
il termine post-progressive è quello preferito, ma trovo che la necessita di
agire in progressione, parlando di musica, sia qualcosa che prescinde dal
mellotron, dal moog, dalla storia concettuale e dalle immagini fantastiche, e
diventi una vera e propria filosofia di lavoro, fatta magari di ricerca di
armonie, di utilizzo di nuovi ritmi, di approccio tecnologico e strumentistico,
ma soprattutto di sviluppo continuo di idee atte a creare un benessere di cui,
purtroppo, solo le anime sensibili potranno godere.
Brani come Mellow Days, tanto
per citare una perla dell’album di esordio, sono momenti di pura felicità da
ascolto, ma ciò che troviamo in Kite è
in buona parte un salto in avanti, una diversa visione della “faccia Camelias”,
che ingloba il recente passato e prepara il terreno per il futuro, in un continuous improvement che affascina, per
sforzo e risultato.
La musica dei Camelias Garden bussa alla
porta prima di entrare, ma quando l’uscio si schiude irrompe con forza
dirompente e penetra in tutti i pori, ma resta sua peculiarità il trasporto di
note ed armonie del tutto sospese, come se il concetto di forza di gravità
fosse sconosciuto, o solo adatto alla musica normalizzata.
Vorrei abbinare al sostantivo “Musica” l’aggettivo
“educata”, perché la proposta dei C.G.
conosce le buone maniere, un formidabile passepartout capace di aprire le serrature
del cuore e della mente, volando alto, magari utilizzando l’aquilone/kite che, forte
della sua posizione privilegiata, suggerisce la migliore strada possibile.
Sì… musica educata mi piace!
Ascoltando Kite, tra le tante contaminazioni ne ho trovato una rilevante,
forse inconscia, ma sono immediatamente tornato con la mente a quel Ashes
Are Burning dei Renaissance che tanta gioia mi diede da adolescente.
Ma quanto sono bravi i Camelias Garden!!!
L’INTERVISTA
Mi pare d’obbligo chiedervi una sintesi
della vostra storia che, se pur giovane, appare già ricca di elementi
significativi.
Nasciamo tre anni fa, dentro una cameretta piena di strumenti, con l'intento di liberarci di esperienze musicali poco produttive e di raccogliere quanto di buono appreso dai lavori passati e dalle altrettanto importanti fruizioni come ascoltatori. Dopo aver fatto girare una manciata di brani demo ed aver raccolto buoni feedback da parte di qualche label prog-rock, abbiamo realizzato il primo disco con l'aiuto di AltrOck e soprattutto di Massimo Dolce dei Gran Turismo Veloce, che ha curato nel minimo dettaglio la produzione dell'album quando eravamo ancora un trio pieno di punti interrogativi e di arrangiamenti troppo pesanti per essere eseguiti in un set così ridotto. Dopo l'uscita di 'You Have a Chance' la band ha assunto la conformazione che l'ha accompagnata per l'anno e mezzo successivo, e cioè una combo di cinque elementi che si è trasformata continuamente per quasi due anni - ad eccezione di Valerio - e che nel corso degli ultimi mesi, come conseguenza della lavorazione del nuovo Ep, si è stabilizzata nell'attuale formazione a quattro che da quest'estate porterà 'Kite' in giro per i palchi di tutta Italia.
Come descrivereste la vostra musica a chi
non ha mai avuto l’opportunità di ascoltarla?
Abbiamo dato tanti appellativi alla nostra musica, che tecnicamente è un ibrido tra prog vecchio stampo, neo folk e qualche sferzata postrock. Il termine più adatto e sintetico che ci piace usare è quello che ultimamente va molto di moda, cioè post-progressive, che riassume abbastanza chiaramente l'idea di costruire musica con diverse contaminazioni e che non si fermi ai classici stilemi che caratterizzavano l'idea di progressive e jazz-rock nel passato.
Abbiamo dato tanti appellativi alla nostra musica, che tecnicamente è un ibrido tra prog vecchio stampo, neo folk e qualche sferzata postrock. Il termine più adatto e sintetico che ci piace usare è quello che ultimamente va molto di moda, cioè post-progressive, che riassume abbastanza chiaramente l'idea di costruire musica con diverse contaminazioni e che non si fermi ai classici stilemi che caratterizzavano l'idea di progressive e jazz-rock nel passato.
L’album di esordio, You Have a Chance, ha destato molto interesse e stimolato confronti: quali sono le vostre fonti di ispirazione? Esiste un artista/band del passato che vi mette tutti d’accordo?
Di fonti
d'ispirazione ce ne sono tantissime, dai Fleet Foxes ai Genesis per partire da
quelle basilari, fino ad arrivare agli Explosions in the Sky o ai God is an
Astronaut per quanto riguarda l'ultimo periodo. Ma anche James Blake, Tame
Impala, Steven Wilson, Beach Boys, tutte cose che si notano se si ascoltano
attentamente i nostri brani.
Credo che la
band del passato che ci mette tutti d'accordo siano i Beatles!
Veniamo al nuovo lavoro, KITE: l’utilizzo
della media lunghezza è una precisa scelta discografica?
Sì, abbiamo pensato a questo lavoro come un punto di raccordo fra il primo disco e qualcosa che inevitabilmente arriverà in futuro, e che probabilmente continuerà questo processo di ibridazione stilistica che abbiamo intrapreso fortemente con 'Kite'. La media lunghezza ci sembrava un'ottima soluzione per cominciare questo processo con naturalezza.
Sì, abbiamo pensato a questo lavoro come un punto di raccordo fra il primo disco e qualcosa che inevitabilmente arriverà in futuro, e che probabilmente continuerà questo processo di ibridazione stilistica che abbiamo intrapreso fortemente con 'Kite'. La media lunghezza ci sembrava un'ottima soluzione per cominciare questo processo con naturalezza.
A livello
pratico, la metà dei brani inclusi in 'Kite' sono nati in contemporanea
con l'uscita di 'You Have a Chance', tanto che sarebbero stati benissimo
in una versione Deluxe di quest'ultimo, e abbiamo sempre pensato che erano
ancora molto legati alla cifra stilistica di esso.
L'altra metà è
frutto di elaborazioni complesse su materiale vecchio e nuovo e che sono
sfociate poi in particolari soluzioni presenti in Kite (la title-track)
o in un brano come Useless, cose che sono abbastanza diverse da quello
che abbiamo fatto in passato e che probabilmente porteranno ad un'ulteriore
evoluzione futura.
Qual è l’anima dell’album? Trattasi di
concept?
No, l'album non
è un concept nel senso più stretto del termine. Ci sono dei rimandi melodici,
anche qualcosa nei testi che tiene legato il tutto, ma non è stato pensato né
messo a punto per essere un concept.
Sono sempre interessato all’artwork, che in
questo caso non posso vedere: mi date qualche elemento?
L'artwork è
esattamente quello che si vede sul web.
Questo Ep (tolta
qualche copia fisica stampata appositamente per il release party) è stato
studiato per un'uscita esclusivamente digitale, e l'artwork si compone
sostanzialmente della front-cover che tutti possono vedere ovunque su internet.
La cover è
ovviamente incentrata sulla title-track che da anche il nome all'album, 'Kite',
ed è stata realizzata da una bravissima artista romana che si chiama Isabella
Latini.
Quali sono le maggiori differenze tra il
primo atto e quest’ultimo?
Se il primo
lavoro evidenziava una miscela di progressive e folk acustico, il secondo ha
sicuramente un approccio più elettrico e sperimentale. Il rivoluzionario cambio
di line up ha apportato all'arrangiamento nuovi spunti e approcci musicali.
L'ep disegna vari paesaggi sonori e potremmo definirlo trasversale, perché
spazia dal progressive psichedelico passando per ritmiche funky/ pop fino a
sfociare nel postrock: è un disco molto colorato.
Mi date un vostro giudizio sullo stato
della musica?
La situazione
musicale, specialmente a livello nazionale, affronta un grosso periodo di crisi
dal punto di vista finanziario e strutturale. Le condizioni dei locali dove si
suona dovrebbero essere migliorate, si suona spesso in spazi non destinati alla
musica, ma per lo più focalizzati sulla moda del momento. Il pubblico
sicuramente va ad influenzare il mercato, spesso si va ad ascoltare la persona
e non la musica che uno propone. Non vogliamo generalizzare troppo, ci sono
delle eccezioni, ma in linea di massima è una buona descrizione dello stato
attuale delle cose. Nonostante tutto, rimaniamo fiduciosi.
Siete più analogici o digitali, quando si
parla di musica?
Siamo
un mix e il disco lo evidenzia in pieno.
Come sono i Camelias Garden on stage?
On stage la
formazione si è alleggerita, si è passati da 5 a 4 elementi, il che è tanto per
un gruppo che girava portandosi dietro una innumerevole quantità di strumenti.
Ora siamo più essenziali e più diretti, la formazione si è asciugata un po’, ma
dal punto di vista logistico ne abbiamo tratto un grande giovamento
Ovviamente sì.
Per quanto riguarda il futuro prossimo abbiamo in programma di suonare live il
più possibile, nei club e in tutte le occasioni che ce lo permetteranno, e a
tal proposito stiamo preparando un calendario ricco di date. Un altro obiettivo
che ci siamo prefissati è quello di suonare fuori dall'Italia: i feedback e le
recensioni che ci arrivano d'oltralpe ci hanno decisamente motivato ad
affrontare la dimensione Europea. Sarà dura, ma il percorso che abbiamo
intrapreso è destinato a portarci fuori dai confini nazionali. Infine, come
forse si è intuito, è già in cantiere l'idea di un nuovo lavoro discografico...
ma ci penseremo meglio dopo l'estate!
Tracklist
Rise (2:05)
Making
Things Together (5:10)
Kite
(8:27)
Red
Light (3:22)
The
World Inside You (3:55)
Useless (6:34)
Lineup:
Valerio Smordoni: voce e cori, tastiere, chitarra acustica
Simone Contini: batteria
Alberto Cari: basso
Claudio Bruno: guitars
Contatti: