Un manciata di giorni fa ho ascoltato per la prima
volta Sabrina
Napoleone.
Il concerto a cui ho assistito il 7 maggio a Genova
era dedicato ad un’occasione particolare, musicale e benefica, con un focus su
John Falko che, pur essendo il protagonista della serata ha pensato bene di
circondarsi di amici musicisti, tra cui Sabrina, brillante cantautrice che con
la sua band ha contribuito alla riuscita della serata.
Una tal chiosa sa di frase di circostanza, ma così non
è, se è vero che mi è venuto spontaneo saperne di più, cercare la sua musica -ma
devo approfondire maggiormente- e porre qualche domanda per far emergere il
lato oggettivo e non solo il mio sentimento.
Genova è la patria del cantautorato, inutile
ridisegnarne il tracciato, ma quello di Sabrina Napoleone mi è sembrato un
modus innovativo, non troppo radicato al messaggio ma carico di significati…
non troppo aggrappato ad un genere ma pieno di sfaccettature diversificate.
E poi quella voglia di spaziare, di trovare nuove vie
e sonorità alternative che non mi sembra una qualità così diffusa nel concreto,
anche quando esisto i buoni propositi.
La parte migliore
è il titolo del suo album uscito circa un anno fa, e da quel disco è tratto il
video a seguire, Dorothy, che mi pare rappresentativo della filosofia musicale
di Sabrina.
Ma scopriamo qualcosa in più attraverso le sue
risposte.
L’INTERVISTA
Possibile sintetizzare la storia di Sabrina Napoleone?
Certo, in sintesi ho iniziato a scrivere prestissimo,
negli anni del liceo mi sono avvicinata alla musica e formato le prime band.
Poi dal 2010 nasce il mio progetto “solista” che si è concretizzato nell’album La Parte Migliore (Orange Home Records
2014) con la produzione artistica di Giulio Gaietto.
Ti ho conosciuto con colpevole ritardo, e l’occasione
è arrivata con il concerto che ha visto il ritorno di John Falko: come giudichi
l’esperienza del 7 maggio scorso al Govi di Genova?
Quando John mi ha invitata mi ha fatto molto piacere e
ho accettato subito. Direi che il 7 maggio al Teatro Govi si sono espresse e
confrontate diverse anime del rock genovese, e questo accade più raramente di
quanto si pensi.
La cosa che mi ha colpito della tua esibizione è stata
l’originalità della proposta, ovvero una certa sperimentazione/ricerca
utilizzata per confezionare il messaggio importante: sono lontano dal tuo modo
di concepire la musica?
No anzi direi che hai colto l’essenziale. Forse la caratteristica
fondamentale del mio lavoro è la ricerca di una sintesi equilibrata tra
sperimentazione e perspicuità, tra urgenza espressiva e chiarezza espressiva.
Questo mi allontana molto dal mainstream, ovvero il fatto di dare alle mie
canzoni una forma che mi rappresenti e non una forma generale che possa andare
bene a tutti. Chi ascolta ha comunque tutti gli strumenti per interpretare,
comprendere o approfondire e, naturalmente, decidere se essere d’accordo o
meno.
Anche la modalità vocale, che hai utilizzato a tratti,
mi è sembrata inusuale, e raramente si vedono vocalist cercare di dilatare le
possibilità dello strumento “voce”, preferendo copiare i modelli di successo, andando
così sul sicuro: che cosa significa per te cantare?
Cantare significa dare un corpo ai pensieri. Affidate
ad una melodia le parole smettono di essere meri enunciati ed accadono, si
materializzano in modo sinestetico. Ci sono moltissimi modi codificati di
farlo, legati alle diverse culture e tradizioni moltissime tecniche. Anche nel
canto cerco di essere libera.
Quanta importanza attribuisci ai testi in una canzone?
Riesci ad apprezzare una musica priva di liriche?
Io scrivo canzoni, spesso canzoni di tante parole, ma
spesso quelle parole scaturiscono dal suono. Nella maggior parte dei casi so di
cosa voglio parlare in una canzone ma è solo quando trovo il suono, il tempo ed
il ritmo giusti che sgorgano le parole, che nascono i versi.
Veniamo al tuo ultimo album: come nasce e qual è la
sua anima?
La
Parte Migliore contiene dieci brani che in vari modi e da diversi
punti di vista parlano della perdita. Non è un album negativo però; è vero che
c’è della rabbia ma c’è anche tanto amore.
Che tipo di soddisfazioni ti ha dato dall’uscita ad
oggi?
Le soddisfazioni sono state molte ed inaspettate. La
critica ha risposto bene, dimostrando un vivo interesse che ci è valso una
candidatura al Premio Tenco come migliore opera prima. Con i miei musicisti e
collaboratori è nato un bel rapporto di affetto e collaborazione e questo ci ha
portati in tour in alcuni dei più importanti club italiani assieme alla Lene
Lovich Band. Questo mi da sicuramente la forza e la voglia di proseguire e di
mettermi al lavoro sul prossimo album.
Mi dai una tua opinione sullo stato della musica in
genere, ma soprattutto nella realtà che meglio conosci, quella italiana… magari
genovese!
Che la situazione sia disastrosa è cosa nota a tutti.
In generale scarseggia il pubblico e l’interesse. Il mondo major è al collasso
ma si arrocca sui soliti quattro nomi, quattro accordi, quattro versi. Il mondo
indie, ahimè, spesso cerca il consenso di un pubblico inesistente imitando
forme pop trite e calcificate e per scarsità di mezzi lo fa peggio della
concorrenza. In mezzo a questo caos però ci sono anche moltissimi artisti ed
artiste notevoli. Ma si è un po’ tutti lì ad aspettare la folata buona per
alzarsi in volo.
Hai dei punti di riferimento fondamentali, qualche
artista/ band che ha influenzato il tuo modo di fare musica?
Credo moltissimi, poi quando mi viene chiesto quali
non me ne viene in mente neppure uno… ma direi i cantautori italiani degli anni
settanta/ottanta (soprattutto Battiato e Vecchioni), Patti Smith e Bjork.
Ma qual è “La parte migliore” di Sabrina Napoleone?
La parte migliore di me è quella che non trattengo, è
quella che condivido.