Puntuale, come ogni
mese, arriva il pensiero di Aldo Pancotti (Wazza Kanazza) che ci ricorda
Francesco Di Giacomo
21 Febbraio 2014 - 21 Gennaio 2015
E'
incredibile restare a terra con le ali sgonfie in salita scattano avanti e tu
che non ce la fai...
(cit. Tirami
una rete)
Manca il tuo
pensiero... buon viaggio Capitano
A seguire un ricordo di Francesco scritto
da Timisoara
Pinto, con l'inedito testo di "A certe altezze”.
A certe altezze
(Dedicato a Francesco Di Giacomo)
di Timisoara Pinto
Non ho mai pianto e
riso insieme così tanto. Francesco Di Giacomo, una delle voci più belle della
storia del pop-rock italiano, aveva un cuore grande ed era una spalla
formidabile, nel senso comico e filosofico della vita. Mi aveva adottato.
Undici anni fa, prima di conoscerlo, sulle pagine degli spettacoli di un
quotidiano, scrissi che era il barbonepiù elegante della scena musicale.
Non l’aveva dimenticato e, quando per la fretta usciva con il maglione
sbagliato o la camicia non stirata, lo ripeteva alla sua amata Antonella: “Sai cosa ha scritto Timi di me?”.
Cercava la mia complicità, specie da quando la grande famiglia di Stradarolo (ilmeraviglioso Festival di arte su stradadi Zagarolo e Genazzano ideato e
diretto dai Tetes de Bois) mi aveva accolto, e mi diceva: “Tanto prima o poi, dopo una bella cena, a Satta je meniamo tutti
insieme! Ecco, appunto, Andrea Satta, al mio fianco, rimasto senza padre,
il 21 febbraio 2014, per la seconda volta. Andrea guardava a Francesco come a
un faro, come a un gigante buono che splendeva e che doveva splendere ad ogni
costo, ma anche come a un bambino con la barba piena di zucchero a velo.
Insieme sembravano Tom e Jerry, nei loro occhi il guizzo e il furore, la
lampadina che si accende e improbabili impalcature che crollano e, sotto, loro
due che, resistenti a tutto, si proteggono non perdendosi mai di vista.
Una coppia nella vita,
ma anche in un film di Agostino Ferrente, che ne racconta il sogno e l’ironia,
purtroppo interrotto dai meccanismi della produzione.
Quel poco che ho
descritto spiega il perché di tante acrobazie, la voglia di dare a Francesco
sempre il piedistallo più alto, la ribalta metafisica che ne mostrasse
inequivocabilmente il genio e la sregolatezza, la forza magnetica e il dolce
sguardo, il piglio intriso di animo popolare e il dettaglio del fuoriclasse, le
sue comiche incazzature e la sua repentina capacità di recuperare con ironia.
Nel 1994, il 14 luglio, ad un anno dalla morte di Leò Ferré, Andrea chiese a
Francesco di presentare il primo cd autoprodotto dei Tetes de Bois. Era un
disco dedicato ai loro amori francesi, primo fra tutti Léo.
Fu uno show case
itinerante, a bordo del tram numero 30, una vettura degli anni Venti in
regolare servizio che portava la bizzarra compagnia, mischiata ai romani e ai
turisti, in giro da Porta del Popolo a Porta Maggiore a Porta San Paolo. Di
Giacomo, seduto al posto del bigliettaio e in divisa da vero tranviere,
rispondeva alle richieste delle ignare vecchiette munite di trolley per la
spesa, leggendo pagine da Sputerò sulle vostre tombe di Boris Vian. Tutto regolarmente
organizzato con le necessarie autorizzazioni e persino uno sponsor, la libreria
Rinascita di via delle Botteghe Oscure, con il
suo direttore storico, Urbano Stride, che li seguiva in motorino.
Un’altra volta, a
Stradarolo 1998, Andrea gli affidò una corriera anni60, di quelle
con lo spazio per le valigie sul tetto e il vetro anteriore diviso a metà. Mentre il conducente faceva il giro
della campagna romana, da una strada consolare all’altra, Francesco era ai
fornelli a cucinare bucatini all’amatriciana, minestra di fagioli e carciofi
alla romana per i viaggiatori del Festival.
Nel 2001, di nuovo
insieme, sulla Ferrovia dell’Allume, il paesaggio lunare della Tuscia,
impreziosito da piccole stazioncine liberty abbandonate. Francesco questa
volta, era su un bidone di benzina, piazzato sui binari della fermata fantasma
di Civitella Cesi, provincia di Viterbo, a leggere. Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. In un’altra
stazione del percorso, nel 2007, ad Allumiere, per una tappa del tour Avanti Pop, a raccontare la magia del
tempo e dell’umanità sul cassone
di un Ape verde petrolio.
Di nuovo, nel 2007,
sul tranvetto del 1924 che, dalla Stazione Termini, attraversando la periferia
est di Roma, dal Mandrione al Pigneto, al Casilino, fino a Pantano Borghese,
ben oltre il Racconto romano, dove forse un giorno vedremo comparire la moderna
metropolitana, Francesco, alloggiato nella sua postazione in carrozza, leggeva
Pasolini per uno spettacolo della Notte Bianca, che i Tetes, con la solita
testa situazionista, hanno chiamato Tramiamo.
Una postazione Di Giacomo era sempre prevista a Genazzano,
durante Stradarolo, dove, capando cicoria e fagiolini per le signore dei
vicoli, declamava Trilussa. Ricordo Francesco inseguire Andrea sul ponte tibetano in val Di Fassa, in una scena del Film a pedali, cui accennavo prima, tra le macerie
dell’Aquila, sull’ammiraglia della Transumanza a pedali, seduto come il Dalai
Lama su un risciò pedalato da
Andrea che, dopo pochi metri dalla partenza, non avendo calcolato la larghezza
posteriore, ha finito la sua corsa incastrato nell’uscita della Fortezza Da
Basso di Firenze.
Nel settembre del
2004, al concerto dei Tetes de Bois, in piazza dei Cinquecento a Roma per la
rassegna Enzimi, Francesco preferì quello di Fiuggi di Lou Reed e Patti Smith.
Ma anche in quel caso, non riuscì a recidere il cordone ombelicale con Andrea
che gli chiese un collegamento telefonico per intonare Perfect Day durante l’esecuzione di Lou Reed, e
condividerne l’emozione con il pubblico della piazza romana. Al campetto dello
sport di Fiuggi sui cellulari nessuna rete, tutti improvvisamente a cercare di
fare da antenna, al buio, a frugare nelle borse degli amici per trovare quella
tacca in più.
Alla fine si fece, con
il telefonino di Maria Cristina, che forse aveva Tim. E anche quella volta,
Andrea potè dire l’amico mio c’era e Francesco diventò amico anche di queste tre sognatrici
di Radio Rai, la Pinto, la Zoppa e la Malantrucco, e con una, in particolare,
avrebbe condiviso la sventura di ritrovarsi Andrea Satta sul
proprio cammino. Nei giorni a seguire, Francesco mi chiese almeno cinque volte
di ringraziare la mia collega per aver tirato fuori dal sacco quel cellulare
provvidenziale. Noi non finiremo mai di dire grazie a lui per aver tenuto a
battesimo il nostro programma Scherzi della
memoria, in onda per diversi anni nella notte di Radiouno.
Il collegamento dall’alto
non gli era ancora riuscito, quello in mongolfiera, a descrivere il panorama in
diretta su un’emittente locale, cucinando uova strapazzate. Era tutto pronto, a
Stradarolo 99, superato lo scetticismo del
sindaco di Genazzano, l’incredulità dei pompieri e dei vigili urbani, fatta l’assicurazione per spedire
Francesco nella cesta di vimini, mongolfiera recapitata dal Piemonte da una
società di noleggio ai nastri di partenza,
passeggero unico già imbracato, con gli occhiali da saldatore, ormai votato al
sacrificio. Il pubblico del Festival avrebbe sentito il suo reportage,
attraverso casse distribuite lungo un percorso artistico che si snodava,
contemporaneamente, per centinaia e centinaia di metri nei vicoli dei due
paesi.
Caro Francesco, solo
il cielo non era pronto, e le condizioni meteo non permisero ai tuoi amici di
sollevarti più di quanto avresti mai potuto immaginare.
Vedendo l’esito di
questo Sanremo avresti esclamato …E c’Arisemo! Più o
meno quello che hai detto arrivando in ritardo a casa nostra, martedì, per la
prima serata. Ho sentito Arisa in macchina… questa
vince n’antra vorta. Chi l’avrebbe mai detto Francé che mi sarei ritrovata dopo tre
giorni a pensarti come Claudio Villa, l’unico a morire la sera prima della
finale, con Fazio che dà l’annuncio,
come fece Baudo prima di far cantare Nostalgia
canaglia ad Al Bano e Romina, in un’epoca
senza social, ne wikipedia.
A proposito, Francè,
altro che Reuccio, la tua faccia è bella e famosa a Roma come la Bocca della
Verità, ci penso io a Satta non ti preoccupare, e smettila Andrea con questa tua aria
da Gerard Philippe glielo dirò ogni tanto anch’io, per ridere e
piangere insieme come abbiamo fatto tante volte e come non smettiamo di fare in
queste ore.
Sarà per le tue lanose gote, ma so cosa vorresti
dirmi in questo momento, sfranta per il tuo ultimo volo: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.
A seguire, un testo di Francesco Di
Giacomo per Stradarolo 99
A CERTE ALTEZZE (ho poco tempo
Andrea)
A certe altezze, si fanno più
leggibili, le parti fisiche, di una terra, sempre più gnoma, boccia, pallino,
punto puntino, punto, appunto.
A certe altezze, braccia e gambe, e
seni e ventrame sparpagliato, alterni a tessuti muscolari, viadotti e vialetti,
terminali nervosi e l’intestino enorme. Autostrade, strade, autosentieri,
colline e montagne e mo basta! Nella somma di puzze e odori celestrini da piastrellaio, quel
cielo a noi così poco riverito, come un grande cesso pubblico.
A certe altezze una serie di sussurri
e sospiri, di grida e di dolcezze, di impressioni basse e bestemmie sante. Su tutte il pensiero veloce di un bambino che
scrive col dito per aria: pallone, palla, boccia, pallino, punto, puntino: voglio venire anch’io.
A certe altezze non si deve mai dire
maestà. I re sono così lontani, a certe altezze.
FRANCESCO DI GIACOMO