Il giovanissimo Simone Ricatto, appassionato di musica, inizia a descrivere gli album che più
lo appassionano, ed è un vero piacere ospitarlo sul mio blog… largo ai giovani!
“SEVENTH SON OF SEVENTH SON”
1988
IRON
MAIDEN
“Seventh son of a seventh son” esce
nell'aprile del 1988 e raggiunge subito la posizione numero uno nel Regno
Unito, mentre negli U.S.A. arriva alla dodicesima. Il disco rappresenterà un
grande successo per il gruppo vendendo
complessivamente dodici milioni di copie.
Rappresenta a mio modo di vedere il capolavoro della “vergine di ferro”,
perché incarna nelle sue tracce massicce influenze progressive, senza però mai
abbandonare le tipiche sonorità della band londinese.
Per la prima volta in carriera il
gruppo decide di utilizzare tastiere e
sintetizzatori per incidere un album, e il risultato è semplicemente esplosivo;
mi sento di dire che questo disco è uno
dei primi veri esempi di prog metal, genere che verrà poi sviluppato e definito
grazie a band come Dream Theater (che nel 1992 partoriranno il magnifico
“Images and words”), Queensryche (con il concept “Operation Mindcrime”) e Fates warning (Perfect Simmetry).
Seventh Son è il primo e unico concept
album dei Maiden.
Harris si ispirò all'epoca al romanzo di
Orson Scott Card che parla di un bambino fittizio dotato di poteri psichici.
L'album tocca tematiche quali la reincarnazione, il misticismo, la psiche e le
visioni profetiche.
La copertina è l'ennesimo capolavoro di
Derck Riggs; essa raffigura Eddie con la sola parte superiore del corpo
raffigurata nell'atto di reggere un feto piangente che rappresenta il settimo
figlio, il tutto in un’atmosfera da mondo glaciale, veramente suggestivo, con
iceberg modellati a varie forme della mascotte del gruppo.
L'album inizia con un intro di chitarra
acustica accompagnato dalla meravigliosa voce di Dickinson e pochi istanti dopo
esplode “Moonchild”, la prima
traccia, con un accompagnamento di tastiere da brividi. La seconda canzone, “Infinite Dreams”, è a mio giudizio la
gemma dell'album: parte lenta e soave fino ad arrivare ad un tripudio di potenza
ed esplosività strumentale; il terzo tassello è il vendutissimo singolo “Can I play with madness”; segue al
quarto posto la splendida “The Evil That Men
Do”: indimenticabile è infatti il travolgente e anche malinconico riff che
la apre ed il fantastico ritornello che anche adesso mentre scrivo mi ritorna
in mente.
La seconda parte del disco inizia con la
title track, il brano più lungo e progressive dell'opera. Con la potente
apertura di tastiere il brano è un meraviglioso viaggio tutto da scoprire, con frequenti
cambiamenti di tempo; segue “The prophecy”,
forse l'unico pezzo dell'album un pò sottotono rispetto agli altri. La numero
sette, “The clairvoyant”, è uno dei
cavalli di battaglia dei Maiden, con l'incredibile intro di Harris, fino ad
arrivare alla velocità epica del brano accompagnata dalla voce aggressiva di
Bruce. Chiude “Only The Good Die Young”, una tipica cavalcata maideniana
che si chiude con l'intro iniziale quasi a dire che alla fine di un lungo
viaggio c'è sempre la strada del ritorno da intraprendere.
Ascoltiamo l’album intero: