Articolo tratto da MAT2020...
Il VOX 40 ha avuto uno spettatore di
eccezione che ho avuto l’opportunità di conoscere, Mario
Lanfranchi.
L’ho conosciuto sul
palco, a fine concerto e, nonostante non sia più giovanissimo, la sua
freschezza e il suo entusiasmo erano palesi.
Dopo qualche giorno
abbiamo fatto una chiacchierata al telefono, incentrata sul VOX 40, perché non
ho avuto il coraggio di proporre quel milione di domande che avevo in testa, e
che sono certamente l’oggetto di centinaia di interviste concesse nella vita.
Lanfranchi è andato a
ruota libera, soffermandosi occasionalmente sulla sua vita personale.
A seguire propongo
l’estratto della nostra telefonata.
Come proporre una
biografia dell’uomo? Non basterebbe un libro, per cui la sintetizzo con poche
righe trovate in rete (per chi volesse saperne di più le informazioni sul web
non mancheranno):
Mario Lanfranchi è stato uno dei più
grandi registi d’opera del ‘900. Già in quei primissimi anni ’50 infatti,
mentre mamma RAI era ancora una “bambina in fasce”, fu proprio lui a gettare l’idea
di produrre l’opera in versione film, e da allora tale filone è diventato un “cult
movie” che tutt’oggi viene portato avanti dalla televisione di stato.
Ecco quello che è emerso dalla nostra telefonata, iniziata
con una richiesta precisa, il suo giudizio sul VOX 40:
Sono rimasto molto contento. Ho trovato questa mirabile
commistione di classico e moderno, di rock e sinfonismo, molto intrigante ed
entusiasmante; non sono a conoscenza di esperimenti di questo genere, penso sia
una musica nuova, almeno così mi è parsa, e a parte la novità, è proprio il
valore in sé, quello musicale, che colpisce, così come l’impatto sul pubblico,
che mi è parso entusiasta di questo esperimento.
Nella mia vita ho militato e operato nella musica classica,
ma sono cresciuto con una grande passione per il jazz, quando ancora non
esisteva il rock; avevo un professore molto particolare di Lettere e Storia
dell’Arte, al liceo, Attilio Bertolucci, poeta insigne, padre del mio futuro
collega Bernardo Bertolucci, che ci ha instillato l’amore per il jazz; con
quelle premesse, il ritrovarmi in America mi ha spinto a conoscere meglio
questo nuovo fenomeno che era il rock. Sono sempre stato molto curioso di
scoprire novità e questa musica trascinante mi aveva colpito, anche se ero già
troppo maturo per realizzare qualcosa di pratico - anche perché ero ormai
cementato in altri ambienti - ma ho subìto
una certa fascinazione; non era poi così facile avere accesso ai locali
esclusivi di N.Y., dove si suonava jazz, mentre non mi sono trovato impreparato
quando il rock è esploso e anzi, mi ci sono immerso.
Sono poi stato attratto, dal punto di vista meramente
informativo, filologico, dai più creativi rockers italiani, e Lanzetti mi era
parsa una voce singolare, un po’ diversa dagli standard del tempo, non solo
come qualità di voce, ma proprio come presenza, un musicista con una sua
impronta, una sua personalità, e forse per questo inserito in modo faticoso
nelle band.
Oggi potrebbe avere una collocazione più classica,
all’interno del mondo delle musica lirica. Prima non avrebbe potuto, perche
forse non conosceva la sua voce, ma recentemente ho avuto l’impressione che
abbia addirittura sviluppato il suo “strumento”, ed è sorprendente perché è
abbastanza maturo, e quindi teoricamente incollato a certi moduli espressivi,
anche tecnici, consolidati, e invece lui che è un ricercatore, uno studioso - anche
di se stesso - ha tirato fuori questa voce formidabile… certamente sarebbe
stato un grande tenore se avesse fatto musica lirica, su questo non ho nessun
dubbio, con la possibilità di arrivare ad un repertorio lirico spinto, Verdi,
Puccini...
Quando organizzavo spettacoli nella mia villa, assieme
abbiamo messo in scena eventi creati da lui, serate che hanno entusiasmato il
pubblico. Ho una villa antica che ho restaurato e tutti mi domandavano di
poterla visitare e io negavo sempre il permesso, sino a che un giorno ho deciso
di aprirla al pubblico una volta all’anno, offrendo dei concerti gratuiti, e tra
questi il più penetrante è stato quello di Bernardo, che riempì il palcoscenico
con i suoi enormi quadri.. davvero un artista a tutto campo, tant’è che lo
coinvolsi in una cosa scritta da me, Processo a
Giulio Cesare, con attori molto bravi, e con lui nel ruolo di
Vercingetorige, parte che ricoprì mirabilmente, finendo con una canzone
selvaggia, quella di un guerriero sconfitto, ma non internamente… un numero
drammatico, non musicale, di elevato livello, per me indimenticabile.
Le contaminazioni musicali viste al VOX40 non le avevo mai
notate nel passato… molto ardite, efficaci, e lui ha il merito di avere
costruito questo clima, questa temperie culturale e musicale… penso sia una
cosa fantastica l’unione di arti differenti; io sono un uomo di cinema, contenitore
che di per se stesso riunisce un po’ tutto… arti figurative, immagini,
musica, e quindi io sono intriso di
questa filosofia, ma trasformare un concerto rock in un grande spettacolo così
variegato è stata una grande invenzione e per me una bellissima esperienza.
La musica è stata la
culla che mi ha dondolato. Mio padre era sovraintendente del Teatro Regio di
Parma, che era un po’ il tempio della musica lirica e sinfonica, ed io sono
cresciuto in questo clima musicale, che ha rappresentato per me un’iniziazione
alla vita: i ritmi e le melodie mi hanno accompagnato sin dall’infanzia, tant’è
che poi ho amato e sposato soprani, donne belle che però avevano questo
strumento che ho chiamato invisibile, la
voce, che mi ha sempre affascinato, e che per me ha rappresentato anche
sensualità, carnalità, un modo di vivere.